Il 18 dicembre l’Organizzazione per la
proibizione di armi chimiche (Opac), ha reso noti i dettagli del piano per
distruggere l’arsenale chimico siriano fuori dal paese. Il piano è stato
presentato al consiglio esecutivo dell’Opac, costituito da 41 stati, il 17
dicembre.
Le operazioni, che hanno lo scopo di
smaltire circa 1.300 tonnellate di materiale, prevedono la partecipazione di
diversi paesi e la distruzione delle sostanze chimiche a bordo di una nave,
dato che trasferire il materiale in un altro paese e eliminarlo lì è troppo
rischioso.
Gli agenti chimici più pericolosi (circa
cinquecento tonnellate) saranno prelevati da dodici siti sparsi in Siria e
trasferiti nel porto di Lattakia, il più grande del paese, da veicoli blindati
russi con la sorveglianza satellitare statunitense e l’assistenza cinese e
finlandese. Danimarca e Norvegia hanno messo a disposizione navi cargo per
trasportare il materiale dal porto siriano a uno italiano (non è stato ancora
precisato quale). Da lì le sostanze saranno caricate sulla Cape Ray,
un’imbarcazione statunitense, e portate in acque internazionali per essere
neutralizzate attraverso idrolisi.
Entro il marzo del 2014 questi agenti
chimici più pericolosi dovranno essere distrutti. Per l’eliminazione delle
altre sostanze meno tossiche, affidata invece a imprese private, il termine
fissato è giugno del 2014.
Le pressioni internazionali. Il piano è
stato fortemente voluto dopo l’attacco chimico che ad agosto ha ucciso
centinaia di persone vicino a Damasco. Gli Stati Uniti e altri paesi hanno
accusato il presidente siriano Bashar al Assad di essere il mandante di quella
strage. Assad, che non ha mai ammesso la sua responsabilità, ha accettato di
consegnare il suo arsenale chimico a settembre. L’Opac ha dichiarato che la
Siria non è più in grado di produrre armi chimiche da ottobre, quando ha
smantellato i macchinari e le attrezzature necessari per realizzarle.
È la prima volta che l’Opac, vincitrice del
Nobel per la pace nel 2013, supervisiona un piano di disarmo chimico che
riguarda uno stato ancora in guerra.
Il direttore generale dell’organizzazione,
Ahmet Üzümcü, ha dichiarato che finora sono stati stanziati quasi 14 milioni di
dollari per coprire i costi dell’operazione, ma i costi rischiano di essere
molto più alti. Il Giappone si è offerto di donare una cifra quasi equivalente,
mentre altri fondi (750mila dollari in totale) potrebbero venire da Finlandia e
Corea del Sud.
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