Le
«Considerazioni generali» del 47° Rapporto Censis sulla situazione sociale del
Paese/2013
Una
società sciapa e infelice in cerca di connettività
Il
crollo non c'è stato, ma troppe persone scendono nella scala sociale. Nuovi
spazi imprenditoriali e occupazionali in due ambiti: revisione del welfare e
economia digitale. Il sistema ha bisogno e voglia di tornare a respirare, oltre
le istituzioni e la politica
Roma, 6 dicembre 2013 - Una
sospensione da «reinfetazione». Oggi la società ha bisogno e voglia di
tornare a respirare per reagire a due fattori che hanno caratterizzato l'anno.
Il primo fattore è lo stato di sospensione da «reinfetazione» dei soggetti
politici, delle associazioni di rappresentanza, delle forze sociali nelle
responsabilità del Presidente della Repubblica. Ma la reinfetazione, in nome
del valore della stabilità, riduce la liberazione delle energie vitali e
implica il sottrarsi alle proprie responsabilità dei soggetti che, a diverso
titolo e con differenti funzioni, dovrebbero concorrere allo sviluppo, che è
sempre un processo di molti. Il secondo fattore è la scelta implicita e ambigua
di «drammatizzare la crisi per gestire la crisi» da parte della classe
dirigente,
che tende a ricercare la sua legittimazione nell'impegno a dare
stabilità al sistema partendo da annunci drammatici, decreti salvifici e
complicate manovre. Nel progressivo vuoto di classe politica e di leadership
collettiva, i soggetti della vita quotidiana rischiano di restare in una
condizione di incertezza senza prospettive di élite.
Il crollo non c'è. Il crollo atteso da
molti non c'è stato. Negli anni della crisi abbiamo avuto il dominio di un solo
processo, che ha impegnato ogni soggetto economico e sociale: la sopravvivenza.
C'è stata la reazione di adattamento continuato (spesso il puro galleggiamento)
delle imprese e delle famiglie. Abbiamo fatto tesoro di ciò che restava nella
cultura collettiva dei valori acquisiti nello sviluppo passato (lo «scheletro
contadino», l'imprenditorialità artigiana, l'internazionalizzazione su base
mercantile), abbiamo fatto conto sulla capacità collettiva di riorientare i
propri comportamenti (misura, sobrietà, autocontrollo), abbiamo sviluppato la
propensione a riposizionare gli interessi (nelle strategie aziendali come in
quelle familiari).
Una società sciapa e infelice. Quale
realtà sociale abbiamo di fronte dopo la sopravvivenza? Oggi siamo una società
più «sciapa»: senza fermento, circola troppa accidia, furbizia generalizzata,
disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso, crescente evasione fiscale,
disinteresse per le tematiche di governo del sistema, passiva accettazione
della impressiva comunicazione di massa. E siamo «malcontenti», quasi infelici,
perché viviamo un grande, inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali. Si
è rotto il «grande lago della cetomedizzazione», storico perno della agiatezza
e della coesione sociale. Troppa gente non cresce, ma declina nella scala
sociale. Da ciò nasce uno scontento rancoroso, che non viene da motivi
identitari, ma dalla crisi delle precedenti collocazioni sociali di individui e
ceti.
Dov'è oggi il «sale alchemico»? Quel
fervore che ha fatto da «sale alchemico» ai tanti mondi vitali che hanno
operato come motori dello sviluppo degli ultimi decenni si intravede, tuttavia,
nella lenta emersione di processi e soggetti di sviluppo che consentirebbero di
andare oltre la sopravvivenza. Si registra una sempre più attiva responsabilità
imprenditoriale femminile (nell'agroalimentare, nel turismo, nel terziario di
relazione), l'iniziativa degli stranieri, la presa in carico di impulsi
imprenditoriali da parte del territorio, la dinamicità delle centinaia di
migliaia di italiani che studiano e/o lavorano all'estero (sono più di un
milione le famiglie che hanno almeno un proprio componente in tale condizione)
e che possono contribuire al formarsi di una Italia attiva nella grande platea
della globalizzazione.
Nuove energie e responsabilità in due
ambiti: revisione del welfare e economia digitale. Ci sono poi due grandi
ambiti che consentirebbero l'apertura di nuovi spazi imprenditoriali e di nuove
occasioni occupazionali. Il primo è il processo di radicale revisione del
welfare: crescono il welfare privato (il ricorso alla spesa «di tasca propria»
e/o alla copertura assicurativa), il welfare comunitario (attraverso la spesa
degli enti locali, il volontariato, la socializzazione delle singole realtà del
territorio), il welfare aziendale, il welfare associativo (con il ritorno a
logiche mutualistiche e la responsabilizzazione delle associazioni di
categoria). Il secondo ambito è quello della economia digitale: dalle reti
infrastrutturali di nuova generazione al commercio elettronico, dalla
elaborazione intelligente di grandi masse di dati agli applicativi basati sulla
localizzazione geografica, dallo sviluppo degli strumenti digitali ai servizi
innovativi di comunicazione, alla crescita massiccia di giovani «artigiani
digitali».
In cerca di connettività. Il filo
rosso che può fare da nuovo motore dello sviluppo è la connettività (non
banalmente la connessione tecnica) fra i soggetti coinvolti in questi processi.
È vero che restiamo una società caratterizzata da individualismo, egoismo
particolaristico, resistenza a mettere insieme esistenze e obiettivi, gusto per
la contrapposizione emotiva, scarsa immedesimazione nell'interesse collettivo e
nelle istituzioni. Eppure la crisi antropologica prodotta da queste propensioni
sembra aver raggiunto il suo apice ed è destinata a un progressivo superamento.
Oggi le istituzioni non possono fare connettività, perché sono
autoreferenziali, avvitate su se stesse, condizionate dagli interessi delle
categorie, avulse dalle dinamiche che dovrebbero regolare, pericolosamente
politicizzate, con il conseguente declino della terzietà necessaria per gestire
la dimensione intermedia fra potere e popolo. E la connettività non può
lievitare nemmeno nella dimensione politica, che è più propensa all'enfasi
della mobilitazione che al paziente lavoro di discernimento e mediazione
necessario per fare connettività, scivolando di conseguenza verso
l'antagonismo, la personalizzazione del potere, la vocazione maggioritaria, la
strumentalizzazione delle istituzioni, la prigionia decisionale in logiche
semplificate e rigide (dalla selva dei decreti legge all'uso continuato dei
voti di fiducia). Se istituzioni e politica non sembrano in grado di
valorizzarla, la spinta alla connettività sarà in orizzontale, nei vari
sottosistemi della vita collettiva. A riprova del fatto che questa società, se
lasciata al suo respiro più spontaneo, produce frutti più positivi di quanto si
pensi. Sarebbe cosa buona e giusta fargli «tirar fuori il fiato».
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