da: La
Stampa
di Michele Brambilla
Nella protesta dei
cosiddetti Forconi c’è senz’altro un mix di elementi inaccettabili e
inquietanti. Inaccettabili sono i disagi creati ai cittadini (non c’è causa che
li giustifichi) e a maggior ragione le vetrine spaccate e le automobili
rovesciate. Inquietanti sono le infiltrazioni estremiste e addirittura (pare)
mafiose. Aggiungiamoci poi le strumentalizzazioni politiche, che vengono
soprattutto da destra, e le istigazioni al linciaggio, che vengono dal solito
Grillo.
Basterebbe tutto
questo per esprimere una netta condanna.
Tuttavia, bisogna
stare attenti a liquidare la questione solo come un problema di ordine
pubblico. Vanno infatti colti, a mio parere, due fenomeni nuovi, e
particolarmente preoccupanti.
Innanzitutto. Le
manifestazioni di questi giorni sono le prime, a memoria d’uomo, che in Italia
si tengono a pancia, se non vuota, quasi vuota. Diciamo più correttamente che
si tengono con la testa piena (di paura) per una pancia che potrebbe essere
presto vuota (di cibo). Nel Sessantotto e nelle sue
derivazioni, in piazza ci
si andava un po’ per ideali e un po’ per conformismo, perché come diceva
Longanesi in Italia siamo tutti estremisti per prudenza. Ma nessuno era mosso
dalla fame. Anzi, al contrario si andava in piazza perfino contro il
consumismo, come fece Mario Capanna durante le feste natalizie, mi pare, del
millenovecentosessantotto o sessantanove. Il paradosso di quegli anni, semmai,
era che nell’Italia del post-boom si prendevano a modello Paesi, come la Cina o
Cuba, molto più poveri di noi.
Oggi no. Oggi c’è la
crisi. Oggi ci sono i suicidi, i debiti, il timore di non poter più dare da
mangiare ai propri figli. Questa è la prima novità preoccupante, perché si sa
che finché si tratta di questioni ideali, le rivoluzioni cominciano per strada
e finiscono a tavola: ma quando la tavola è vuota, può davvero succedere di
tutto.
La seconda novità è
che per la prima volta (almeno in queste dimensioni) in piazza non vediamo
studenti o lavoratori dipendenti, ma imprenditori. Diciamo pure piccoli
imprenditori: padroncini, agricoltori, allevatori, ambulanti, tassisti,
negozianti, partite Iva. Ma comunque imprenditori.
È gente che in
Italia si sente, da sempre, senza patria. Come dice Daniele Marantelli, un deputato
varesino del Pd che da anni cerca di capire le ragioni della protesta nordista,
«la sinistra ha sempre avuto un pregiudizio negativo nei confronti del piccolo
imprenditore, considerato un evasore fiscale che pensa solo a fare il proprio
interesse». Nel loro sentirsi soli, l’artigiano, il commerciante, il
trasportatore e più in generale tutti i piccoli imprenditori ritengono di avere
ottime ragioni. Si considerano «lavoratori» anch’essi, e lavoratori che
rischiano un proprio capitale, piccolo o grande che sia, e creano posti di
lavoro, pochi o tanti che siano. Certo negli anni di vacche grasse guadagnano
più dei lavoratori dipendenti: ma in quelli di vacche magre non hanno
paracadute, né sindacato né cassa integrazione, e non di rado devono mettere in
azienda il patrimonio di famiglia.
Anche riguardo
all’evasione fiscale ritengono di essere vittime di faciloneria e pregiudizi.
Invocano la distinzione fra loro - che producono lavoro e sono schiacciati da
una pressa fiscale senza eguali - e i veri grandi evasori, finanzieri che
vivono di speculazioni, o professionisti che non creano occupazione. Abbiamo
evaso? Sì, dicono: ma ricordano che perfino Attilio Befera, direttore
dell’Agenzia delle Entrate, ha ammesso qualche tempo fa che in Italia esiste
«un’evasione da sopravvivenza».
Insomma. Speriamo
non succeda, ma non ci sarebbe da stupirsi se nei prossimi mesi accanto a
questo un po’ ambiguo popolo dei forconi dovessero scendere in piazza, con
eguale rabbia e violenza, tanti altri italiani ridotti allo stremo dalla crisi,
dalle tasse, dalla burocrazia. Dovesse succedere, saremo qui tutti a dire che
con la violenza si peggiorano solo le cose, che gli estremisti la mafia...
Eccetera. Ma sarebbe ormai difficile fermare una deriva barricadiera. Non
dimentichiamoci che in Grecia abbiamo visto, nelle piazze incendiate, anche
insospettabili pensionati. La disperazione può trasformare chiunque.
Scrivevamo, la
scorsa settimana, della rabbia anti-Stato che cova al Nord. Ora questa rabbia
sta cominciando a sfogarsi nelle strade e nelle piazze. C’è un solo modo per
fermarla, e per non lasciarla strumentalizzare da nessuno: venire incontro
veramente a chi cerca di creare lavoro per sé e per gli altri.
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