venerdì 20 dicembre 2013

Claudio Tito: “Renzi il correttore”

Una bottiglia di acqua minerale, da 2 litri, per Claudio Tito. La leccata a Renzi gli ha tolto la salivazione.
No. Dico. Non fare cazzate non sarebbe politica migliore? E questo “metodologia” da uomo solo al comando che interviene cosa avrebbe di diverso dalla modalità di conduzione di Berlusconi? Lo chiedo a Tito o ad altri del gruppo Espresso-la Repubblica a corto si salivazione da quando sognano che con Renzi vinceranno.


da: la Repubblica

Il “correttore”. Probabilmente è una figura nuova nella politica italiana. Matteo Renzi, però, in questi giorni sta assumendo proprio questo ruolo. “Corregge” la linea e i provvedimenti del governo. Ieri è accaduto con la Legge di Stabilità, ma non è il primo caso. Non si tratta di semplici interventi nei fisiologici negoziati che accompagnano la vita di tutte la maggioranze di governo. Bensì di modifiche sostanziali.

Il punto è che con la sua nomina alla segreteria del Pd è cambiato
l’equilibrio politico in Parlamento e all’interno dell’esecutivo. Sicuramente il leader democratico sta beneficiando indirettamente dell’uscita di Silvio Berlusconi dal perimetro delle larghe intese. Non ha più un avversario capace di giocare tatticamente e di puntare pragmaticamente al risultato. Il Cavaliere, da questo punto di vista, è stato per venti anni imbattibile. Renzi non deve dunque fare i conti con un alleato in grado di alzare la posta e spiazzare continuamente. Anche Enrico Letta è alleggerito dal fardello di un alleato difficile e ingombrante. E in una certa misura ha dimostrato che la sua azione si è affrancata con la nascita di questa nuova maggioranza con Angelino Alfano.

Il risultato però, nelle condizioni date, resta evidente: Renzi impone al governo l’agenda sua e del Partito democratico. Il centrosinistra aveva subito nei primi otto mesi di legislatura i diktat del Cavaliere. Il bilancio di Palazzo Chigi era stato marchiato dall’aut aut del Pdl sull’abolizione dell’Imu. Le richieste del Pd sbiadivano dinanzi al protagonismo berlusconiano. Magari alcune — poche — venivano accolte ma nessuno aveva la forza o il coraggio di intestarsele.

L’esito delle primarie ha invece affidato a Renzi una forza di cui deve tenere conto anche questo governo, sostenuto da una strana maggioranza e protetto istituzionalmente dal capo dello Stato. Una circostanza che in realtà può diventare un’occasione per il premier. Può diventare un aiuto vero per Letta che fino a un mese fa era costretto ad arginare Berlusconi senza la sponda del suo partito. Ora il presidente del Consiglio può sentirsi più forte e con più decisione rispettare gli impegni assunti con il suo elettorato.

Certo, si tratta solo di pochi giorni rispetto all’insediamento ufficiale del nuovo segretario. Per qualcuno è il vigore che connota ogni “luna di miele”, ogni avvio di una nuova esperienza partita con un consenso elettorale o popolare. Sta di fatto che il braccio di ferro tra il premier e il sindaco di Firenze è diventata la vera chiave di questo ciclo politico.

La “fase due” dell’esecutivo è iniziata di fatto. Basti pensare a quel che è accaduto: ieri il segretario ha imposto la retromarcia sui tagli ai fondi da destinare ai comuni. Nei giorni scorsi ha chiesto e ottenuto di occuparsi in prima persona delle riforme, quella elettorale e quella costituzionale. Palazzo Chigi e il ministro competente hanno dovuto rinunciare a presentare due disegni di legge ad hoc su questa materia. Anche l’inversione ad U che il Tesoro e il ministero delle Infrastrutture hanno fatto sulle slot-machines e sulla vicenda Alitalia sembrano — almeno in apparenza — il frutto del pressing di Renzi: scegliere per la compagnia di bandiera un partner asiatico anziché Air France.

Il segretario del Pd pretende dunque di essere concretamente il socio di maggioranza di questa coalizione. Si muove facendo valere in modo spregiudicato e senza pudore i numeri parlamentari del suo partito. Mette in agenda il tema spinoso delle unioni civili e sfida uno dei tabù della sinistra: il rapporto con la Cgil e la riforma del mercato del lavoro.

Ai tempi della Prima Repubblica il tutto sarebbe stato confezionato con la nascita di una nuova compagine governativa o con un rimpasto. Quando cambiava il segretario della Dc o del Psi la liturgia di quei tempi lo esigeva. Adesso, in questa fluttuante transizione dalla seconda alla terza Repubblica, ogni passaggio è appesantito dall’incertezza del futuro. Dall’assenza di una legge elettorale degna di questo nome, da un sistema politico continuamente in evoluzione e da una situazione economico-sociale che non autorizza scommesse o manovre senza paracadute.

Le tensioni provocate nel Paese dal reale impoverimento degli italiani, dalla crescita esponenziale della disoccupazione, dalla sostanziale destrutturazione del sistema imprenditoriale e dall’ampliarsi di una generazione che teme di non avere futuro, costituiscono nello stesso tempo il carburante che accende il cambiamento e il freno che lo rallenta.

Nelle “correzioni” che fino ad ora sono state suggerite da Renzi manca ancora il tassello fondamentale dell’Europa. Il presidente del Consiglio in questi mesi si è rivelato un autorevole negoziatore nelle trattative all’interno dell’Unione europea e un interlocutore credibile nei rapporti con gli Stati Uniti. Il segretario del Pd deve però ancora mostrare la sua capacità di incidere anche nei dialoghi internazionali.

L’agenda del governo intanto è cambiata. A gennaio probabilmente verrà firmato un altro “contratto di coalizione” e i punti saranno in larga parte stabiliti dal Partito democratico. A quel punto davanti alla legislatura si profilerà un bivio: o verrà assecondata l’istanza di cambiamento del Pd o si imboccherà la strada delle elezioni a maggio.

L’unica cosa che Renzi non può accettare è quella di vivacchiare o nuotare nella palude della inattività. Come diceva l’Enrico VIII di Shakespeare: «Parlare non è fare. Il bel parlare è già, in un certo modo, un bene agire eppure le parole non sono fatti».

Il match tra il segretario e il premier è all’inizio. La coabitazione sarà probabilmente difficile. Ma solo se il governo farà, allora la convivenza sarà praticabile. E solo se si passerà dalle parole ai fatti, l’alleanza tra il Pd e il pezzo di centrodestra che fa capo ad Alfano risulterà digeribile per gli elettori del centrosinistra e anche per quelli post-berlusconiani.

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