Una bottiglia di acqua minerale, da 2 litri, per Claudio Tito. La leccata a Renzi gli ha tolto la salivazione.
No. Dico. Non fare cazzate non sarebbe
politica migliore? E questo “metodologia” da uomo solo al comando che
interviene cosa avrebbe di diverso dalla modalità di conduzione di Berlusconi?
Lo chiedo a Tito o ad altri del gruppo Espresso-la Repubblica a corto si
salivazione da quando sognano che con Renzi vinceranno.
da: la Repubblica
Il “correttore”.
Probabilmente è una figura nuova nella
politica italiana. Matteo Renzi, però, in questi giorni sta assumendo
proprio questo ruolo. “Corregge” la linea e i provvedimenti del governo. Ieri è
accaduto con la Legge di Stabilità, ma non è il primo caso. Non si tratta di
semplici interventi nei fisiologici negoziati che accompagnano la vita di tutte
la maggioranze di governo. Bensì di modifiche sostanziali.
Il punto è che con la sua nomina alla segreteria del Pd è cambiato
l’equilibrio politico in Parlamento e all’interno dell’esecutivo. Sicuramente il leader democratico sta beneficiando indirettamente dell’uscita di Silvio Berlusconi dal perimetro delle larghe intese. Non ha più un avversario capace di giocare tatticamente e di puntare pragmaticamente al risultato. Il Cavaliere, da questo punto di vista, è stato per venti anni imbattibile. Renzi non deve dunque fare i conti con un alleato in grado di alzare la posta e spiazzare continuamente. Anche Enrico Letta è alleggerito dal fardello di un alleato difficile e ingombrante. E in una certa misura ha dimostrato che la sua azione si è affrancata con la nascita di questa nuova maggioranza con Angelino Alfano.
l’equilibrio politico in Parlamento e all’interno dell’esecutivo. Sicuramente il leader democratico sta beneficiando indirettamente dell’uscita di Silvio Berlusconi dal perimetro delle larghe intese. Non ha più un avversario capace di giocare tatticamente e di puntare pragmaticamente al risultato. Il Cavaliere, da questo punto di vista, è stato per venti anni imbattibile. Renzi non deve dunque fare i conti con un alleato in grado di alzare la posta e spiazzare continuamente. Anche Enrico Letta è alleggerito dal fardello di un alleato difficile e ingombrante. E in una certa misura ha dimostrato che la sua azione si è affrancata con la nascita di questa nuova maggioranza con Angelino Alfano.
Il risultato però, nelle condizioni date,
resta evidente: Renzi impone al governo
l’agenda sua e del Partito democratico. Il centrosinistra aveva subito nei
primi otto mesi di legislatura i diktat del Cavaliere. Il bilancio di Palazzo
Chigi era stato marchiato dall’aut aut del Pdl sull’abolizione dell’Imu. Le
richieste del Pd sbiadivano dinanzi al protagonismo berlusconiano. Magari
alcune — poche — venivano accolte ma nessuno aveva la forza o il coraggio di
intestarsele.
L’esito
delle primarie ha invece affidato a
Renzi una forza di cui deve tenere conto anche questo governo, sostenuto da
una strana maggioranza e protetto istituzionalmente dal capo dello Stato. Una
circostanza che in realtà può diventare un’occasione per il premier. Può
diventare un aiuto vero per Letta che fino a un mese fa era costretto ad
arginare Berlusconi senza la sponda del suo partito. Ora il presidente del
Consiglio può sentirsi più forte e con più decisione rispettare gli impegni
assunti con il suo elettorato.
Certo, si tratta solo di pochi giorni
rispetto all’insediamento ufficiale del nuovo segretario. Per qualcuno è il
vigore che connota ogni “luna di miele”, ogni avvio di una nuova esperienza
partita con un consenso elettorale o popolare. Sta di fatto che il braccio di
ferro tra il premier e il sindaco di Firenze è diventata la vera chiave di
questo ciclo politico.
La
“fase due” dell’esecutivo è iniziata di fatto.
Basti pensare a quel che è accaduto: ieri il
segretario ha imposto la retromarcia sui tagli ai fondi da destinare ai
comuni. Nei giorni scorsi ha chiesto e
ottenuto di occuparsi in prima persona delle riforme, quella elettorale e
quella costituzionale. Palazzo Chigi e il ministro competente hanno dovuto
rinunciare a presentare due disegni di legge ad hoc su questa materia. Anche
l’inversione ad U che il Tesoro e il ministero delle Infrastrutture hanno fatto
sulle slot-machines e sulla vicenda Alitalia sembrano — almeno in apparenza —
il frutto del pressing di Renzi: scegliere per la compagnia di bandiera un
partner asiatico anziché Air France.
Il segretario
del Pd pretende dunque di essere concretamente il socio di maggioranza di questa coalizione. Si muove facendo valere
in modo spregiudicato e senza pudore i numeri parlamentari del suo partito.
Mette in agenda il tema spinoso delle unioni civili e sfida uno dei tabù della
sinistra: il rapporto con la Cgil e la riforma del mercato del lavoro.
Ai tempi della Prima Repubblica il tutto
sarebbe stato confezionato con la nascita di una nuova compagine governativa o
con un rimpasto. Quando cambiava il segretario della Dc o del Psi la liturgia
di quei tempi lo esigeva. Adesso, in questa fluttuante transizione dalla seconda
alla terza Repubblica, ogni passaggio è appesantito dall’incertezza del futuro.
Dall’assenza di una legge elettorale degna di questo nome, da un sistema
politico continuamente in evoluzione e da una situazione economico-sociale che
non autorizza scommesse o manovre senza paracadute.
Le tensioni provocate nel Paese dal reale
impoverimento degli italiani, dalla crescita esponenziale della disoccupazione,
dalla sostanziale destrutturazione del sistema imprenditoriale e dall’ampliarsi
di una generazione che teme di non avere futuro, costituiscono nello stesso
tempo il carburante che accende il cambiamento e il freno che lo rallenta.
Nelle “correzioni”
che fino ad ora sono state suggerite da
Renzi manca ancora il tassello fondamentale dell’Europa. Il presidente del
Consiglio in questi mesi si è rivelato un autorevole negoziatore nelle
trattative all’interno dell’Unione europea e un interlocutore credibile nei
rapporti con gli Stati Uniti. Il segretario del Pd deve però ancora mostrare la
sua capacità di incidere anche nei dialoghi
internazionali.
L’agenda del governo intanto è cambiata. A
gennaio probabilmente verrà firmato un altro “contratto di coalizione” e i
punti saranno in larga parte stabiliti dal Partito democratico. A quel punto
davanti alla legislatura si profilerà un bivio: o verrà assecondata l’istanza
di cambiamento del Pd o si imboccherà la strada delle elezioni a maggio.
L’unica cosa che Renzi non può accettare è quella di vivacchiare o nuotare nella palude della inattività. Come diceva
l’Enrico VIII di Shakespeare: «Parlare non è fare. Il bel parlare è già, in un
certo modo, un bene agire eppure le parole non sono fatti».
Il match tra il segretario e il premier è
all’inizio. La coabitazione sarà
probabilmente difficile. Ma solo se il
governo farà, allora la convivenza sarà praticabile. E solo se si passerà
dalle parole ai fatti, l’alleanza tra il Pd e il pezzo di centrodestra che fa
capo ad Alfano risulterà digeribile per gli elettori del centrosinistra e anche
per quelli post-berlusconiani.
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