da: Il Fatto Quotidiano
Nessuno avrebbe mai potuto pensare che in
un Paese già fanalino di coda europeo
in termini di diffusione di Internet ed appena uscito da quasi un
ventennio di governo del Signore del telecomando, Silvio Berlusconi, sarebbe
stato possibile allontanare ancora di più i cittadini e le imprese dalle nuove
tecnologie e dal futuro. Eppure ci siamo riusciti.
Sono bastati una manciata di giorni a Parlamento, ministri, Governo ed Autorità per
le Garanzie nelle Comunicazioni per riuscire in un’impresa inedita e,
probabilmente, unica al mondo: mettere
Internet in un sacco tricolore e gettarla lontana dai cittadini e dalle imprese
del Bel Paese.
Un’asciutta
rassegna di quanto accaduto nell’ultima settimana è, purtroppo, sufficiente a
supportare una tanto amara conclusione.
La Camera dei Deputati, ha detto si
alla c.d. webtax – creatura dell’On. Francesco Boccia (Pd)
– che impone alle imprese italiane di acquistare
servizi online solo ed esclusivamente da soggetti dotati di una partita Iva
italiana.
Un’iniziativa, quella del parlamentare del
Partito democratico, duramente criticata dallo stesso Ministero dell’Economia
che l’aveva bollata come incostituzionale e contraria al diritto europeo.
Ora tra i fornitori di servizi online del
mondo intero e il nostro Paese c’è un fossato fatto di burocrazia e un
indistricabile – persino per un’impresa italiana – groviglio di leggi e leggine
fiscali che, difficilmente, contribuirà a rendere l’Italia una meta ambita
delle grandi Internet company.
Il 12
dicembre, l’Autorità per le Garanzie
nelle Comunicazioni ha varato la sua personalissima nuova legg(ina) sulla tutela del diritto d’autore online,
attribuendosi – in un’inedita sintesi dei tre poteri dello Stato (legislativo,
esecutivo e giudiziario, ndr) – il potere di vita o di morte su qualsiasi
genere di contenuto pubblicato online e ripromettendosi di esercitarlo
nell’ambito di procedimenti sommari da codice militare di guerra e previo
sostanziale esautoramento dei Giudici che, sino ad oggi, si sono occupati di
far rispettare le leggi in materia online come offline.
L’Autorità potrà anche ordinare ai nostri Internet services provider di dirottare il
traffico diretto verso talune piattaforme, contribuendo così – se la web
tax non bastasse – all’ulteriore isolamento telematico del nostro Paese.
Altro
che Internet nuova agorà e piazza pubblica telematica:
chiunque potrà ottenere la rimozione
della nostra “parola in digitale” in una manciata di ore, semplicemente
scrivendo all’Agcom e sostenendo – a torto o a ragione – che stiamo usando un
sottofondo musicale che gli appartiene.
Sempre ieri, frattanto, il Consiglio dei ministri ha approvato il c.d.
Decreto Destinazione Italia, titolo che suona quasi ironico, almeno in relazione alle cose di Internet.
Anche se il testo del provvedimento – nel
pieno rispetto delle politiche di open gov – non è ancora noto, nel pacchetto
ci sono due disposizioni che lasciano senza parole.
Una prima stabilisce che per linkare, indicizzare, embeddare,
aggregare un contenuto giornalistico occorre prima chiedere il permesso alle
associazioni di categoria degli editori e pagare il prezzo che dovrà essere
concordato con queste ultime o, qualora ciò non risultasse possibile, stabilito
dalla solita onnipresente Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Una
manciata di caratteri per riscrivere radicalmente le dinamiche di circolazione
delle informazioni online e trasformare la Rete in una piccola – e neppure
troppo moderna – televisione nella quale pochi decidono chi può dire cosa.
L’altra disposizione contenuta nel piano
“Destinazione italia”, nato per attrarre le imprese estere verso il nostro
Paese, dice, più o meno, che la lettura
dei libri verrà incentivata
attraverso un opportuno programma di benefici fiscali che, tuttavia, non riguarderanno i libri elettronici.
Davvero una disposizione illuminata in un’epoca storica nella quale, ormai, ci
siamo tutti abituati a leggere, quel poco che leggiamo, su un tablet. C’è solo
da chiedersi quale impresa editrice di carta straniera si voglia invitare a far
rotta sul nostro Paese attraverso una simile corbelleria protezionistica.
Una
pioggia di provvedimenti che basterebbero a fare di quella che si sta per
concludere la settimana nera di Internet in Italia, ma non basta ancora.
Negli stessi giorni, infatti, è trapelata
anche la notizia che il Ministro dei
beni e delle attività culturali, Massimo Bray, stia per varare un nuovo
decreto – sembrerebbe trasmessogli via mail con tanto di correzioni in rosso –
dalla Siae, attraverso il quale, nelle prossime ore, stabilirà che, nel 2014, i prezzi di smartphones, tablet e
PC – oltre ad una lunga serie di altri supporti e dispositivi di
registrazione – in Italia, aumenteranno complessivamente,
di oltre cento milioni di euro.
Un’altra misura illuminata in un Paese di
analfabeti digitali e che sconta un gap senza eguali in Europa in termini di
uso delle nuove tecnologie.
Tutto considerato, pare proprio che la
novella Arca di Noè che traghetterà il mondo verso il futuro e lontano da un
sistema economico e politico prossimo alla fine, salperà senza il nostro Paese
a bordo.
Altro
che “Yes we can”, in Italia stiamo dicendo, a voce alta, “Bye, Bye Internet!”.
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