da: Il Fatto Quotidiano
Per
evitare la beffa di dover versare la prima rata del 2014, il governo fa un
decreto. Ma a regime, nel 2017, il risparmio sarà di soli 19 milioni
Avevamo detto che avremmo abolito il
finanziamento pubblico entro l’anno e l’abbiamo fatto”. Enrico Letta ha
spiegato così il decreto approvato in Consiglio dei ministri. Il nuovo testo
del governo ricalca quello approvato il 16 ottobre scorso dalla Camera e
debutterà nella commissione Affari costituzionali del Senato già mercoledì: praticamente
si sostituirà al disegno di legge che giaceva abbandonato a Palazzo Madama da
due mesi, ma con la differenza che le norme entreranno in vigore da subito. Il
sistema che si va delineando, comunque, non costerà alle casse dello Stato
molto meno di quello attuale: sostanzialmente si passa a regime, dal 2017,
dagli attuali 91 milioni di euro a 72 milioni, mentre durante la transizione
l’esborso è più o meno simile.
IL TESTO. Come detto, i contenuti sono
quelli stabiliti dalla vecchia maggioranza a Montecitorio, dove il ddl del
governo era stato approvato con qualche modifica a metà ottobre: si passa in
tre anni dai rimborsi elettorali sui voti ricevuti a un sistema basato sui
contributi dei privati (largamente incentivati).
A cosa serve il decreto? C’era il rischio,
con i tempi biblici scelti dal Parlamento, di una piccola beffa. Il fondo per
il finanziamento pubblico dei partiti (91 milioni di euro l’anno) viene infatti
sforbiciato gradualmente e del 25 per cento già dall’anno prossimo. Solo che
ritardando l’approvazione della legge oltre i primi mesi del 2014, almeno la
prima delle due rate annuali sarebbe stata piena: in soldi significa che i
partiti avrebbero incassato 46 milioni invece di 34, vale a dire 12 milioni in
più (al lordo, però, del Movimento 5 Stelle, che rinuncia comunque alla sua
quota). La decisione di Letta e Alfano annulla questa possibilità , perché i
decreti entrano subito in vigore.
AGEVOLAZIONI FISCALI. Entrerà in vigore già
dall’anno prossimo la possibilità di devolvere il 2 per mille della propria
dichiarazione dei redditi a un partito – un contributo privato, che è però
anche un mancato introito per l’erario – e di detrarre dall’Irpef il 37 per
cento delle donazioni liberali tra 30 e 20 mila euro e il 26 per cento fino a
70 mila euro. Sempre dall’imposta sul reddito saranno scaricabili al 75 per
cento (fino a 750 euro) le spese per la partecipazione a scuole o corsi di
formazione politica. Le società, infine, avranno uno sconto fiscale del 26 per
cento per i contributi versati ai partiti fino a 100 mila euro. Notevole che
questo regime di facilitazioni sia assai più vantaggioso di quello riservato
alle Onlus.
IL TETTO. Come deciso alla Camera, la
soglia massima delle donazioni è confermata a 300 mila euro annui per i privati
e a 200 mila per le imprese. Nessun contributo potrà essere comunque superiore
al 5 per cento del conto economico complessivo del partito (questo penalizza un
po’ Forza Italia, abituata al generosissimo Cavaliere).
STATUTO E BILANCI. Per accedere alle
agevolazioni, però, i partiti (e pure le fondazioni, finalmente) dovranno
iscriversi a un registro nazionale, dotarsi di uno statuto democratico e
sottoporsi ai controlli di una Commissione di garanzia. I loro bilanci, poi, dovranno
essere certificati da una società esterna. Altra condizione per accedere alle
detrazioni fiscali è, infine,avere almeno un eletto in Parlamento o in un
consiglio regionale oppure avere presentato candidati in almeno tre
circoscrizioni. Il 2 per mille, invece, è appannaggio solo di chi abbia almeno
un parlamentare eletto sotto il proprio simbolo, vale a dire solo i partiti più
grandi.
SORPRESA: il costo finale. I fondi
stanziati testimoniano che, a regime (dal 2017), il sistema costerà 72 milioni
l’anno, cioè 19 in meno rispetto all’attuale, ma avendo per di più messo i
partiti nella condizione di dipendere da privati e, soprattutto, imprese. Il 2
per mille, infatti, dal 2017 costerà al massimo 45,1 milioni l’anno, le
detrazioni 15,65 milioni e la Cigs e i fondi per i contratti di solidarietà
“11,25 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2016”.
TRANSIZIONE. Come detto, i 91 milioni
l’anno di finanziamento diretto vengono azzerati gradualmente: meno 25 per
cento l’anno prossimo, meno 50 nel 2015 e meno 75 alla fine del triennio, fino
al 100 per cento dal 2017 in poi. In soldi significa un incasso di 136,5
milioni nel triennio, cui vanno aggiunti 98 milioni circa per compensare
detrazioni e 2 per mille (che partono subito) e quasi 35 milioni per ammortizzatori
sociali ad hoc. Insomma nel periodo 2014-2016 i partiti “costeranno” all’erario
269 milioni di euro anziché 273.
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