Pensieri su ciò che ci circonda. Media, politica, attualità, libri, film e quant’altro.
venerdì 29 novembre 2019
giovedì 28 novembre 2019
Ecco come nasce l’asse tra Grillo e i cinesi (c’entra la Casaleggio)
da: https://www.linkiesta.it/it/
- di Nicola Biondo
Beppe
Grillo fu cacciato dalla Rai per una battuta sui socialisti, ma adesso che in
Cina sono tutti grillini, come fa Pechino a non fallire? La foto con
Gianroberto e l’ambasciatore nella sede della srl milanese
La domanda è: quando nasce l'asse tra il
Movimento cinque stelle e la Cina?
La risposta è in questa foto scattata il 24 giugno 2013 nella
quale compaiono i due fondatori, Gianroberto
Casaleggio e Beppe Grillo, accanto all’ambasciatore cinese Ding Wei. Più
che una stretta di mano sembra una rimpatriata tra vecchi amici, la stipula di
un patto, una mano sopra l’altra.
È una foto poco conosciuta per una precisa volontà. Di quella visita infatti non fu data alcuna notizia, né sul blog di Grillo né agli organi di stampa. L’unica traccia è rimasta in un laconico comunicato pubblicato dall'Ambasciata cinese. Anche questo rimosso poco tempo dopo la pubblicazione (questo il link originale, http://it.chineseembassy.org/ita/xwdt/t1053951.htm).
L’ambasciatore
cinese Wei affermava di aver incontrato
i fondatori del M5s «con i quali ha scambiato
vedute sui temi di comune interesse». L’incontro era informale e avvenne,
non all’ambasciata cinese, ma nella sede
della srl in via Morone a Milano.
Due particolari che fanno supporre che il rapporto fosse solido e presistente. Quali fossero però «i temi di comune interesse» non è mai stato esplicitato. È di certo l’attivismo
mercoledì 27 novembre 2019
U.E, Corrao (M5S) non vota la Von der Leyen: “squadra peggio di quella di Junker, siamo diventati la copia sbiadita del PD”
M5s,
4 eurodeputati non votano Von der Leyen. Corrao: “Squadra peggio di quella
Juncker. Siamo diventati la copia sbiadita del Pd”
Il
gruppo 5 stelle non ha sostenuto in maniera unanime la nuova commissione.
Corrao e Pedicini si sono schierati contro, mentre Evi e D'Amato si sono
astenute. Di Maio era stato avvertito la sera precedente, al momento i vertici
non valutano sanzioni per la posizione di dissenso espressa dai parlamentari
Il Movimento 5 stelle si è spaccato in
Europa sull’elezione della commissione Ue guidata da Ursula Von der Leyen. Dopo
che avevano dato il via libera alla presidente a luglio scorso, oggi in quattro su 14 hanno deciso di far
mancare il loro voto. Ignazio Corrao
e Piernicola Pedicini hanno votato contro, mentre Eleonora Evi e Rosa D’Amato hanno deciso di astenersi. Luigi Di Maio
è stato avvertito nella serata di ieri e ha cercato di far desistere i
colleghi, ma senza successo.
La scelta nasce in un clima di forti
malumori a Roma come in Europa dentro il gruppo del Movimento 5 stelle. Al
momento i vertici dicono che non saranno valutati provvedimenti disciplinari
perché “le loro sono solo posizioni di dissenso”. Proprio Corrao, considerato uno degli esponenti di riferimento del M5s in
Europa, ha spiegato su Facebook
con un lungo post la scelta di andare in direzione contraria al
gruppo: “Me ne assumo la piena responsabilità politica“, ha esordito
l’eurodeputato. “E’ una commissione
peggio di quella di Juncker”. E ancora: “Siamo diventati la copia sbiadita del Pd”.
L’altro ad esporsi è stato Pedicini che ha messo in discussione le
nomine in Europa del Pd che “hanno escluso i 5 stelle”. In generale per il
gruppo 5 stelle è stata una scelta sofferta: “La fiducia che abbiamo deciso di
dare oggi”, si legge nella nota ufficiale, “è una fiducia condizionata al rispetto della sua linea programmatica”.
I 5 stelle e il controllo sociale modello Cina
L'emendamento
alla manovra di Bottici e Fenu, poi bocciato dalla Ragioneria generale, puntava
a far gestire allo Stato l’identità digitale degli italiani. Copiando il
sistema di sorveglianza della Repubblica popolare. Chissà se Grillo ne ha
parlato con l'ambasciatore di Pechino a Roma.
Quando si dice ispirarsi a modelli
democratici e liberali. Se per la nazionalizzazione dell’acqua pubblica
(proposta di legge Daga), il modello del Movimento 5 stelle è stato il Venezuela
di Maduro, per la gestione dell’identità digitale il modello è quello della
Cina.
IL
TENTATIVO DI NAZIONALIZZARE IL SISTEMA SPID
Due senatori grillini, Laura Bottici,
diplomata analista contabile all’Istituto professionale per il Commercio di
Carrara, e Emiliano Fenu, commercialista nuorese, hanno infatti presentato un emendamento
alla legge
di Bilancio che punta a far gestire allo Stato l’identità digitale degli
italiani. Nel piano ordito dai pentastellati, la nazionalizzazione di Spid, lo
strumento ora privato che serve a questo scopo, dovrebbe avvenire attraverso PagoPa,
struttura nata per centralizzare i pagamenti a favore della Pubblica
amministrazione. La piattaforma è un caso unico in Europa, dove le
amministrazioni hanno semplicemente optato per rapporti di concessione aperti
con i circuiti di pagamento.
I
COSTI A CARICO DELLO STATO
In Italia, invece, come se la burocrazia
non fosse già mortifera, si vuole creare un ulteriore
Mina e Fossati un album insieme: recensione
da: https://www.rockol.it/recensioni-musicali/
- di Gianni Sibilla
Mina
Fossati, canzone per canzone
Abbiamo
ascoltato in anteprima l'album che riporta il cantautore ligure sulle scene ad
8 anni dal ritiro, per collaborare con la grande voce
Ivano Fossati si era ritirato: l’ultimo
concerto nel 2012, poi qualche collaborazione a distanza, e qualche canzone
scritta qua e là, qualche progetto sparso. Chi avrebbe mai pensato ad un suo
disco, nel 2019? E chi ad un disco intero con Mina, con cui si era solo incrociata
qualche volta? Eppure, ha raccontato, i due avevano in progetto di lavorare
assieme 20 anni fa, non se ne fece niente, ma Mina non ha mai dimenticato e ha
tirato Fossati fuori dalla tana in cui si era ritirato.
In Mina Fossati c’è più quest’ultimo, anche
solo per il fatto che ha scritto lui le canzoni. Poi le voci si inseguono,
certe volte duettano, altre sono protagoniste quasi solitarie. Un disco d’altri
tempi nella scrittura, che guarda alla storia di entrambi nei suoni, e guarda
nel presente nei temi e nelle storie. Lo abbiamo ascoltato in anteprima:
eccolo, canzone per canzone.
1.
L’infinito di stelle
Piano e voce, molto semplice. Una canzone
fossatiana che introduce il tema del presente che permea il disco: “Un caffè in
due, qualche stella di carta/ E nel buio del cielo là fuori / È già domani/Ecco
perché siamo qui”
2.
Farfalle
Molto fossatiana anche questa canzone,
nella cadenza e nella scansione delle strofe, tanto da ricordare la sua
versione de “Le pioggia di marzo”. Ritmata e minimale, voce e chitarra, con una
piccola invettiva alla stampa: “Se ne scrivono di cose/Dalle stelle alle
stalle/Signori giornalisti Non rompeteci le.. /Farfalle farfalle/Il segno
dell’estate/Arrivano le rondini/Appaiono le fate/Farfalle farfalle”
Anche se il tono è più giocoso: Il segno
dell’estate/Arrivano le rondini/Appaiono le fate /Farfalle farfalle/L’aria
dell’estate/S’accorciano le gonne delle prime fidanzate /Farfalle farfalle
Farfalle farfalle…”
Guido Scorza: Privacy online, Tim Berners-Lee propone il ‘contratto per il web’. Ma è difficile che basti
Si chiama “contratto per il web” e si tratta di un nuovo “www” che, questa volta, non significa “world wide web” ma “web we wont”, il web che vogliamo.
È il progetto che dopo una lunga gestazione
Tim Berners-Lee – il geniale papà del
web creato e regalato al mondo poco più che trentenne – frattanto divenuto
“Sir”, propone per salvare la sua stessa creatura dalle derive che ne hanno
segnato la crescita e lo sviluppo negli ultimi decenni: “Se non riusciamo a difendere la libertà del web ‘aperto’, rischiamo
una distopia digitale di disuguaglianza radicale e abuso dei diritti.
Dobbiamo agire ora”, è l’accorato appello lanciato ieri via Twitter dal papà di
una delle invenzioni che, più di ogni altra, ha cambiato la società e il corso
della storia dell’umanità.
A year ago I called for governments, companies &
citizens to come together to protect the web as a force for good.
Today, we launch the Contract for the Web — the first
global plan of action to build the #WebWeWant.
— Tim Berners-Lee (@timberners_lee) November 25, 2019
E l’idea è, nella sostanza, quella di un nuovo contratto sociale per effetto del
quale governi, Società private – colossi del web in primis – e cittadini del
mondo potrebbero garantire uno sviluppo sostenibile della società globale
attorno al web.
martedì 26 novembre 2019
Governo Conte 2, manovra finanziaria 2020: la tassa sulla plastica è una tassa idiota
Quando nei primi giorni del 2018 - governo Gentiloni - fu introdotto il pagamento dei sacchetti biodegradabili a parecchi, me
compresa, girarono le palle.
Alcuni commentarono le reazioni nel web
come esagerate. C’era altro di cui indignarsi, per cui incazzarsi. Dopo tutto,
si trattava solo di un centesimo.
Il punto della questione non era però 1
centesimo o due o quattro. Il punto
della questione era che il costo di quei sacchetti lo pagavamo già. I
commercianti, le catene di supermercati, ribaltavano già quel costo su quello
dei prodotti. Il “solo un centesimo” significava pagare due volte il sacchetto
biodegradabile. Ergo: essere presi per il sedere.
Novembre 2019, manovra finanziaria del 2020. Stavolta tocca alla tassa sulla plastica. Che, ovviamente, aumenterà il prezzo dei prodotti.
Il governo
Conte 2 - con l’eccezione di Renzi, impegnato giornalmente a picconarlo in
attesa di staccargli la spina - sostiene che tale tassa è “virtuosa”. In questo modo si spingerebbero le aziende a
sostituire la plastica con materiale compostabile. I contrari all’applicazione
di questa tassa sostengono che bisognerebbe introdurre incentivi anziché
applicare tasse per indurre all’abbandono della plastica. Tra i detrattori
della tassa ci sono i produttori di plastica in Emilia Romagna. Poiché le elezioni regionali in questa regione
sono a fine gennaio, la tassa sarà “rimodulata”
o abolita.
Del resto, si tratta di una tassa idiota…
La plastica
- come i sacchetti - la paghiamo già. Non ci viene certo scontato il costo
della plastica. Se verrà introdotta una tassa, il prezzo del prodotto
aumenterà. Ma anche l’incentivo impatterà nelle nostre tasche.
lunedì 25 novembre 2019
Gli odiosi pregiudizi degli italiani sulla violenza sessuale contro le donne
Il
23,9% pensa che possano essere loro a provocare lo stupro con il modo di
vestire. E il 10,3% ritiene che spesso le accuse siano false. Gli stereotipi da
abbattere fotografati dall'Istat.
Pregiudizi odiosi e stereotipi pericolosi,
da smontare pezzo dopo pezzo. Secondo l’Istat, per il 6,2% degli italiani le
“donne serie” non vengono violentate.
Il 39,3% ritiene che una donna sia in grado
di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. E il 23,9% – cioè
quasi una persona su quattro – pensa che possano essere loro a provocare lo
stupro con il modo di vestire, mentre il 15,1% è convinto che una donna che
subisce violenza quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe sia almeno in
parte responsabile.
I dati – inquietanti – sono contenuti nel
report “Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza
sessuale”, diffuso dall’istituto di statistica in occasione della Giornata
mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne.
Come se non bastasse, per il 10,3% della
popolazione italiana spesso le accuse di violenza
Chi controlla i viadotti? Non esiste una mappa precisa dei rischi
da: https://www.corriere.it/
- di Marco Imarisio
L’agenzia
per monitorare i 7.317 ponti e galleria italiani lanciata dall’ex ministro
Toninelli è rimasta sulla carta. Il dossier del Cnr e l’inchiesta della procura
genovese
A ogni emergenza meteo viene giù un pezzo
di viadotto ligure. Durante la penultima, era la fine di settembre, dal ponte
Bisagno dell’autostrada A12 si è staccato un pluviale, un tubo per lo scolo
dell’acqua piovana, che è precipitato in mezzo a una strada della periferia di
Genova. Il giorno dopo gli abitanti del quartiere hanno dato vita a un breve
corteo per chiedere lumi sulle condizioni di quella striscia di asfalto che
scorre sopra le loro teste. Peccato che non ci sia ancora nessuno a cui
chiedere, a parte i gestori privati che nel recente passato non hanno certo
dato grande prova di sé. Il passaggio
«istantaneo» dalla logica dell’emergenza delle infrastrutture a quello della
prevenzione annunciato nel trigesimo della tragedia del ponte Morandi
dall’allora ministro Danilo Toninelli
risulta ancora in corso oggi, a un anno
e mezzo di distanza da quella mattina del 14 agosto. Doveva chiamarsi Ansfisa, complicato acronimo di
Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture
stradali e avrebbe dovuto superare la vecchia e poco utilizzata Direzione
generale per la vigilanza sui concessionari, carrozza pubblica di limitate
risorse e ancor meno potere, impossibilitata com’era a operare veri controlli
sulle 7.317 «opere d’arte», ovvero tutti i ponti, i viadotti e i tunnel che
rientrano nelle concessioni dei 19 gestori autostradali in teoria monitorati
dall’Anac.
domenica 24 novembre 2019
Il M5S può (o deve) fare solo opposizione?
Secondo alcuni, come Paolo Natale, autore
dell’articolo che trovate nel post sotto, il M5S dovrebbe tornare a fare
opposizione dura e pura contro le malefatte, pena: l’estinzione.
Non sono d’accordo.
Non riguarda solo il M5S, riguarda tutti i movimenti, partiti,
associazioni che dir si voglia, che nascono
come opposizione a un sistema politico e/o culturale (ogni sistema politico ha un sistema culturale o sottoculturale che lo
supporta, lo mantiene, lo sviluppa).
Si nasce “contro” purchè si abbiano
valori, principi, idee, proposte. Ma questo paese ha l’urgenza di una classe
politica che sappia governare, gestire.
Quindi, nel momento in cui il “contro” vince e arriva nella stanza dei bottoni,
deve saper governare. Con errori, limiti, qualche contraddizione, ma dovrà
saper realizzare in tempi ragionevoli e con gli inevitabili compromessi, ciò che
lo distinguerebbe dal sistema che - temporaneamente - aveva sconfitto.
A che serve opporsi a certi partiti, a un
certo sistema politico, se non per cambiarlo. Si vuole l’opposizione permanente
o si vuole governare, legiferare in modo differente verso una società diversa? Il
potere non è amico. E’ uno strumento che devi saper usare. E’ tanto lusinghiero
quanto ingannevole. Per questo devi possedere valori, principi, idee, capacità
di proposta e di gestione. Nonché, capacità comunicativa.
Se un movimento, un partito, non sa “occupare
la stanza dei bottoni” per realizzare i cambiamenti che chiedeva e/o urlava
dall’opposizione, è condannato a perdere. A sparire.
Paolo Natale: Il declino dei 5 stelle (?)
Cosa sta accadendo al Movimento 5 stelle e,
più in generale, a quei movimenti che, nati circa un decennio fa, sembravano
poter mutare in maniera sensibile il modo di far politica, e il rapporto che si
instaura tra attori politici e cittadini?
Non solo in Italia, ma anche in alcuni
altri paesi europei (prima di tutto in Germania, con i Piraten, e poi in
Spagna, con Podemus e Ciudadanos) erano nate “dal basso” forze politiche che si
ponevano in netta ed evidente contrapposizione con i tradizionali partiti, con
l’idea che per rivalutare la politica occorresse rimettere al centro i
cittadini, gli elettori, impostando una rinascita a partire da loro stessi: uno
vale uno. Niente più caste, niente più professionisti della politica, niente
più consumati attori che recitavano su un loro palcoscenico senza interessarsi
realmente al paese e ai suoi veri bisogni.
Solo cittadini che si impegnavano a
intervenire personalmente, senza (troppi) tornaconti economici, senza sporcarsi
troppo le mani con gli antichi giochi di potere, tentando di legiferare con
azioni portate avanti dalla base, dai militanti, dagli attivisti. La politica
dal basso, sottosopra. E gli eletti dovevano essere persone qualsiasi, senza
appartenenze, dotate di senso comune e capaci di agire politicamente per
cambiare le cose realmente, senza finzioni né patti con il Palazzo, come
avrebbe detto Pasolini.
Ex Ilva: Conte conquista un tavolo, ma servirà un nuovo piano
da: Il Fatto Quotidiano -
di Salvatore Cannavò
Verso
l’azzeramento dei vecchi patti: adesso si profila la cassa integrazione
Abbiamo riaperto un tavolo, ma è solo un
punto di partenza”. A palazzo Chigi si commenta così l’incontro con
ArcelorMittal che riapre da capo i destini dell’Ilva. “Si avvierà una
negoziazione che sarà faticosa e complicata, ci saranno tanti risvolti
economici, produttivi, tecnici, giuridici...”ha detto Giuseppe Conte al termine
di un confronto serrato, durato a lungo e conclusosi poco prima di mezzanotte.
Da una parte il presidente del Consiglio,
il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e quello dello Sviluppo economico,
Stefano Patuanelli; dall’altra Lakshmie Aditya Mittal. I quali, ha annunciato
Conte, “si sono resi disponibili ad avviare immediatamente una interlocuzione
volta a definire un percorso condiviso sul futuro delle attività dello
stabilimento ex Ilva”. Ieri mattina la conferma di Mittal: “Investco conferma
che l’incontro tenutosi con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ed altri
membri del Governo per discutere possibili soluzioni per gli impianti ex Ilva è
stato costruttivo. Le discussioni continueranno con l’obiettivo di raggiungere
al più presto un accordo per una produzione sostenibile di acciaio a Taranto”.
Fin qui i convenevoli e le dichiarazioni di
intenti. Ma la strada da percorrere è lunga e non è detto che la conclusione sarà
positiva. Troppe le variabili ancora sul tavolo, troppi gli elementi da discutere,
i conti di fare e i costi da valutare.
Giuseppe Conte, per far capire il proprio
approccio, ha regalato a Lakshmi Mittal, padre di Aditya, una copia del suo libro L’impresa responsabile. Ma Mittal sembra soprattutto orientata a
minimizzare i costi e ottenere vantaggi ben superiori a quelli ottenuti con la
sigla, a settembre del 2018, del Verbale di accordo sull’Ilva.
A sentire l’umor e di palazzo Chigi, le
preoccupazioni espresse ieri dal sindaco di Taranto e i paletti posti dal
segretario della Cgil, Maurizio Landini, la preoccupazione è quanta occupazione
sarà possibile conservare. La cifra di 2 o 3000 dipendenti di troppo non sembra
campata in aria. “Quali che siano i numeri non si tratterà di esuberi, ricorreremo
agli ammortizzatori sociali” assicurano al ministero dello Sviluppo economico. Mentre
il governo si dice “disponibile a sostenere questo processo anche con misure
sociali, ove mai necessarie, in accordo con le associazioni sindacali".
Antonio Padellaro: Care sardine, attente ai falsi amici pronti a cucinarvi
da: Il Fatto Quotidiano
Adesso all’informazione tutta, e in primis a noi giornalisti, sarebbe consigliabile maneggiare con grande cautela il fenomeno delle “sardine”, esploso dieci giorni fa nella piazza di Bologna e che si avvia a spopolare da Nord a Sud, da Genova a Roma, a Napoli, a Palermo.
Chi fa questo mestiere (a cominciare da chi
scrive) dovrebbe tenere le antenne sempre alzate (o se preferite l’orecchio a
terra come gli indiani) per cogliere in tempo quelle particolari vibrazioni da
cui potrebbero scaturire sommovimenti e movimenti, soprattutto se imprevisti.
Diciamo la verità, eravamo così concentrati
a spaccare in quattro ogni sospiro di Salvini, Di Maio o Zingaretti che non ci
siamo accorti di quanto stava maturando nel corpo di una generazione ormai
lontana anni luce dai teatrini della politica, e dalle edicole. Ragion per cui
eviteremo analisi tardive del sorprendente fenomeno in atto dedicandoci
piuttosto a rievocare (con qualche flash soltanto) ciò che accadeva diciassette
anni fa nelle strade e nelle piazze italiane. Protagonisti di allora potevano
essere i padri o gli zii di chi oggi si ispira ai simpatici pesciolini azzurri:
si chiamavano girotondi.
Per non farla tanto lunga ricorderò che il
14 settembre del 2002 piazza San Giovanni a Roma si riempì a tal punto che la
folla invase altre strade e altre piazze nei dintorni e fu calcolata in
centinaia di migliaia di persone. Una manifestazione convocata nell’arco di
pochi giorni
venerdì 22 novembre 2019
giovedì 21 novembre 2019
MES (Meccanismo Europeo di Stabilità): Salvini e Di Maio, la “coppia” ritrovata ciurla nel manico…
La
riforma che non piace a Salvini e Di Maio, senza che si capisca perché
Stanno
attaccando duramente la riforma di un trattato europeo – il MES – che loro
stessi avevano avviato e votato più di un anno fa
Il secondo
governo Conte sta ricevendo molte
critiche dall’opposizione ma anche da una parte importante della maggioranza a
causa delle nuove regole in discussione
in Europa per cambiare il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), il fondo
incaricato di aiutare i paesi in crisi che adottano l’euro, che da oltre un
anno sta subendo un complesso processo di riforma.
Il primo a criticare la riforma è stato il
capo della Lega Matteo Salvini, che
ne ha parlato ieri così: «Il “Sì” alla
modifica del MES sarebbe la rovina per milioni di italiani e la fine della
sovranità nazionale». Il Movimento 5
Stelle ha reagito quasi immediatamente all’attacco di Salvini. Prima un
gruppo di parlamentari ha criticato la riforma e chiesto al presidente del
Consiglio Giuseppe Conte di riferire sulla materia. Il capo politico Luigi Di
Maio si è subito schierato con i suoi deputati e oggi ha detto al Corriere
della Sera che «una riforma del MES che stritola l’Italia non è accettabile».
Gli attacchi
di Salvini e Di Maio sono arrivati in maniera abbastanza inaspettata, non
solo perché in questo momento non ci
sono novità particolari su questo fronte, ma anche poiché è la prima volta
che i due leader politici – prima avversari, poi alleati, oggi di nuovo
avversari – criticano una riforma con
cui hanno avuto a che fare sin dall’inizio del suo percorso, nel giugno del
2018. I principi su cui si basa il testo
in
lunedì 18 novembre 2019
Papa Francesco: il danno sociale dei dilitti economici, il peccato di ecocidio
Ecco un eccellente discorso - pieno di
Verità - che non piacerà agli stolti. Cattolici o laici che siano.
Solo Papa Francesco riesce ad analizzare la
società attuale, ad affrontare con verità le distorsioni, le incoerenze, le ingiustizie.
Quindi, non può piacere ai farisei.
Discorso
ai partecipanti al XX Congresso Mondiale dell’Associazione Internazionale di
Diritto Penale
Circa
lo stato attuale del diritto penale
Da vari decenni, il diritto penale ha
incorporato – soprattutto da contributi di altre discipline – diverse
conoscenze circa alcune problematiche legate all’esercizio della funzione
sanzionatoria. Ad alcune di esse mi sono riferito nell’incontro precedente.
Tuttavia, malgrado questa apertura
epistemologica, il diritto penale non è riuscito a preservarsi dalle minacce
che, ai nostri giorni, incombono sulle democrazie e la piena vigenza dello
Stato di diritto. D’altro canto, il diritto penale spesso trascura i dati della
realtà e in questo modo assume la fisionomia di un sapere meramente speculativo
Vediamo
due aspetti rilevanti del contesto attuale.
1. L’idolatria
del mercato. La persona fragile, vulnerabile, si trova
indifesa davanti agli interessi del
mercato divinizzato, diventati regola assoluta (cfr Evangelii
gaudium, 56; Laudato
si’, 56). Oggi, alcuni settori
economici esercitano più potere che gli stessi Stati (cfr Laudato
si’, 196): una realtà che risulta ancora più evidente in tempi di
globalizzazione del capitale speculativo. Il principio di massimizzazione del profitto, isolato da ogni altra
considerazione, conduce a un modello
di esclusione – automatico! - che infierisce con violenza su coloro che
patiscono nel presente i suoi costi sociali ed economici, mentre si condannano
le generazioni future a pagarne i costi ambientali.
domenica 17 novembre 2019
Gianni Bessi: Ex Ilva? Diventi fulcro del sistema di economia circolare
Mi chiedo, dopo aver letto questo articolo
scritto da un consigliere regionale del Pd in Emilia Romagna, se i ministri
chiamati da Conte a “portare idee” per gestire la patata bollente ArcelorMittal-ex
Ilva, nonché il presidente del consiglio medesimo, abbiano delle proposte
pertinenti e significative come quelle di Bessi, o brancolino nel buio totale della loro ignoranza e
incapacità.
La
proposta di Gianni Bessi, consigliere
regionale Pd in Emilia-Romagna e autore del libro “Gas naturale. L’energia di domani” (Innovative
Publishing), sull’ex Ilva
La vicenda Ilva finisce in tribunale ed è
in buona posizione per diventare la causa del secolo. Ma i tempi della
giustizia non si accordano con l’urgenza della situazione: dal primo gennaio
l’Italia sarà priva di uno stabilimento che nel 2012 ha sfornato quasi 9
milioni di tonnellate di acciaio e deteneva oltre il 60 per cento delle quote
del mercato. Ancora oggi, pur con la produzione ridotta, copre almeno al 40 per
cento della richiesta italiana.
Il piano
di spegnimento è stato comunicato ai sindacati ed Arcelor Mittal ha ufficialmente avviato la chiusura
produttiva di quello che era il più grande stabilimento siderurgico
europeo. Basterebbe qualche telefonata agli operatori del settore per capire
che è già iniziata la corsa all’acquisto
di acciaio da altri siti produttivi
per coprire i fabbisogni che Ilva a breve non sarà più in grado di soddisfare.
Il primo effetto ovviamente riguarda i prezzi, che hanno ricominciato a salire per effetto delle contromosse
degli altri produttori nazionali ed internazionali. È il momento di avere idee
chiare e di fare presto. Perché oggi è già tardi.
È
POSSIBILE SALVARE L’ILVA CON L’ECONOMIA CIRCOLARE
U.E, salvataggio banche: sì, se sono tedesche…
NordLb,
per il salvataggio della banca tedesca interverrà lo Stato. L'Italia ancora una
volta umiliata dalle "regole comuni"
Salvataggi
bancari. Berlino può, gli altri muoiano…
di Claudio
Conti - Contropiano
Quelli che l’Unione Europea ci insegnerà a
rispettare le regole comuni, oh yeah…
Qualche tempo fa, qui in Italia, un bel
gruppo di banche è andato ad un pelo dal fallimento e il salvataggio – essendo
vietato l’intervento dello Stato, secondo le regole europee – è costato un
patrimonio soprattutto a chi aveva depositanto i propri risparmi presso quelle
banche. Particolarmente rilevante il caso di Banca Etruria – casualmente
vicediretta dal padre di Maria Elena Boschi, fedele “fiancheggiatrice” di tal
Matteo Renzi – che aveva convinto-costretto-turlupinato parecchi correntisti
facendo loro sottoscrivere obbligazioni emesse dalla stessa banca e non
vendibili sul mercato.
Si disse: per casi come questi le “regole
europee” sono chiarissime: in sostanza, cavoli loro… Il meccanismo è diventato
famoso come bail in, e Crozza – da buon genovese – ci ha costruito su diversi
sketch.
Si dirà: beh, una regola dura, ma è una
regola uguale per tutti, italiani e non…
Manco per niente. I tedeschi sono tedeschi,
mica italiani. E quindi, se debbono salvare la NordLb – una della più grandi
landesbanken del paese – possono fare come vogliono, con l’approvazione della
Commissaria alla concorrenza, la presunta “dura” Margrete Vestager.
Lo smog è tra le principali cause di morte in Italia
da: https://www.agi.it/
- di Vincenzo Castellano
Secondo un report pubblicato da Lancet, tra
le principali minacce per il Paese ci sono anche le ondate di calore e la
riduzione del potenziale di resa delle colture
"Le principali minacce per l'Italia
sono le morti per inquinamento atmosferico, le ondate di calore e la riduzione
del potenziale di resa delle colture". Lo ha detto all'AGI Marina
Romanello della University College London, una delle autrici del report
pubblicato su The Lancet.
"Dagli anni '60, il potenziale di resa
delle colture per il mais si è ridotto del 10,2 per cento, quello per il grano
invernale è diminuito del 5 per cento, il potenziale del grano primaverile si è
ridotto del 6 per cento, quello della soia è diminuito del 7 per cento e il
potenziale di resa del riso è diminuito del 5 per cento", riferisce la
scienziata, secondo la quale i numeri parlano chiaro.
"L'Italia è esposta a livelli molto
elevati di inquinamento atmosferico, che portano a circa 46.000 decessi
prematuri a causa dell'esposizione al PM2,5. E' il più alto tasso di mortalità
d'Europa - riferisce Romanello - e l'undicesimo più alto del mondo e ha causato
una perdita di 20,2 milioni di euro in Italia".
Niente norma anti-Benetton, ora bisogna “salvare ” Alitalia
da: Il Fatto Quotidiano - di
Carlo Di Foggia
L’emendamento
Toninelli voleva una modifica che rendesse più facile la revoca delle
concessioni autostradali: pure i 5 Stelle hanno detto di no
Due semplici commi da inserire nella
manovra, ma con un effetto dirompente: eliminare
lo scudo che oggi protegge la generosa concessione della Autostrade dei
Benetton. Uno dei principali ostacoli
alla revoca ipotizzata dal governo gialloverde, 5Stelle in testa, all’indomani del disastro del ponte Morandi, e
oggi impossibile visto che il governo ha
accettato di far salvare Alitalia anche ad Atlantia, la holding controllata
dalla famiglia veneta.
Non è un caso che che il tentativo di riaprire la guerra ai Benetton si arrivato proprio
da uno dei più contrari a quella scelta, Danilo
Toninelli. Nei giorni scorsi l’ex ministro dei Trasporti ha cercato di
presentare un emendamento alla legge di
Bilancio, in discussione al Senato. Il tentativo in commissione Trasporti è
però andato a vuoto: l’emendamento -
hanno fatto intendere a Toninelli gli stessi senatori 5 Stelle - è
“inopportuno”.
Il testo si aggancia all’articolo 91 della
legge di bilancio, che riduce la
deducibilità degli ammortamenti operati dai concessionari (vale 340 milioni
nel 2020). Ci aggiunge due commi
esplosivi. Il primo elimina l’approvazione per legge delle
convenzioni, in primis quella di Autostrade, operata dal governo Berlusconi nella primavera
2008, appena insediato, in sede di conversione di un decreto del governo Prodi.
La mossa blindò per legge dei contratti privati e servì a superare le critiche
degli organi tecnici di controllo, col Parlamento tenuto all’oscuro della portata
della novità.
Bologna, sardine» contro Salvini: come sono nate e perché si chiamano così
da: https://www.corriere.it/
- di Valentina Santarpia
L’idea
di 4 trentenni non impegnati in politica, lanciata su Facebook, è diventata la
protesta di migliaia di persone in piazza
Le sardine sono diventate il simbolo della
protesta anti-Salvini, dopo la mobilitazione di giovedì sera a Bologna. Ma
perché si chiamano così? E da dove viene l’idea? A spiegarla sono i quattro
ideatori della chiamata, 4 trentenni- Mattia Santori, Andrea Garreffa, Giulia
Trappoloni e Roberto Morotti- che in sei giorni hanno ideato uno slogan
(«L’Emilia Romagna non abbocca», ma anche «Bologna non si Lega») a sostegno di
un simbolo, le sardine, piccoli pesci che si stringono e si spostano in gruppo.
Di fronte allo «squalo» dell’ex ministro dell’Interno, le sardine rappresentano
pesci piccoli e indifesi, che insieme però si muovono compatti e fanno quindi
«massa». I partecipanti erano stati invitati a presentarsi in piazza con una
sardina, disegnata su cartone. La mobilitazione era stata lanciata qualche
giorno fa via Facebook, poi è stata rilanciata con volantinaggi e campagne
social, tramite gruppi WhatsApp, e ha trasformato la piazza di Bologna da un
raduno informale in una massa di protesta che adesso è già pronta al bis, a
Modena.
La
chiamata su Facebook
Il lancio era divertente quanto geniale: «Partecipa al primo flash mob ittico della
storia», si leggeva sul gruppo «6000
sardine contro Salvini». La premessa era cronachistica: «L'ultima volta che
Salvini è venuto a Bologna ha dichiarato
che in Piazza Maggiore c’erano 100.000
persone a sostenerlo - scrivevano gli organizzatori - Una bufala colossale (saranno stati si e no
10.000) che però è in linea con lo stile della Lega di costruire consensi a
partire dalla pancia e dalle bugie. Giovedì 14 novembre Salvini torna a Bologna
e questa volta fa sul serio: vuole l’Emilia Romagna, vuole noi. Ma questa volta
non può barare sui numeri. Già. Perché il Paladozza
ha una capienza massima di 5.570 persone. Non puoi andare oltre, per
problemi di sicurezza e soprattutto di spazio.
venerdì 15 novembre 2019
Venezia allagata: le città che possono insegnare come difendersi dall'acqua
da: https://www.agi.it/
- di Veronique Virgilio
Le
città che possono insegnare a Venezia come difendersi dall'acqua
L'Olanda,
la Russia, la Gran Bretagna e gli Usa possono ispirare la futura difesa della
città lagunare attraverso modelli virtuosi e funzionanti
Dighe, polder, dune, sbarramenti: sono
tanti gli impianti in servizio nel mondo per proteggere città e intere
regioni da un eventuale innalzamento del livello delle acque, che in questi
giorni infligge danni incalcolabili a Venezia: dall'Olanda, modello in questo
settore, alla Gran Bretagna passando per Russia e Stati Uniti.
Olanda
Con un territorio per il 40% sotto il
livello del mare, senza i suoi 18 mila chilometri di dighe, dune e sbarramenti
l'Olanda sarebbe solo una grande palude e non la quinta economia dell'Eurozona.
Da decenni non solo si sta proteggendo da un potenziale innalzamento del
livello delle acque del Mare del Nord ma sta anche esportando le sue soluzioni
in tutto il mondo, con 7 miliardi di fatturato annuo.
Nei Paesi Bassi, dopo la grande inondazione
della Zelanda nel 1953, è stato realizzato il mega progetto del Piano
Delta, andato avanti tra il 1954 e il 1997. Si tratta del più grande
sistema al mondo di protezione dal mare a tutela della zona densamente popolata
della foce del Reno, della Mosa e della Schelda. Il Piano Delta è costituito da
13 opere idrauliche diverse e innovative: 3 chiuse, 6 dighe e 4 barriere anti
mareggiata. Sono tutt'ora una grande attrattiva e caratteristica dell'Olanda,
oltre a collegare tra loro in maniera innovativa le isole.
Luca Casarini: "Basta fare di Venezia un luna park"
da: https://www.huffingtonpost.it/ - di Giuseppe Colombo
Intervista
a Luca Casarini, veneziano e attivista No Mose: "Se è successo questo è
colpa dell’incuria, dei miliardi buttati in una grande opera inutile come il
Mose, solo un volano per intascare tangenti"
“Mi fa male vedere Venezia così perché
Venezia è la mia città. Ma c’è anche tanta rabbia perché se è successo questo è
colpa dell’incuria, dei miliardi buttati in una grande opera finta e inutile
come è il Mose, solo un volano per intascare tangenti. Si dovrebbe smettere di
trattare Venezia come un luna park”. Luca Casarin, volto storico del movimento
no global e attivista No Mose, è uno che conosce bene Venezia. Perché a Venezia
ci è nato. E proprio lui, quindici anni fa, da una spiaggia occupata nella zona
di San Nicoletto, ha guidato l’occupazione dei cantieri della grande opera.
“Già allora - dice in un’intervista a Huffpost - avevamo capito cosa sarebbe
successo”.
Casarini,
sono passati quindici anni da quella famosa occupazione. Venezia oggi ha
rischiato di affondare e il Mose è ancora un’opera incompiuta, però da più
parti è indicato come la soluzione. Pensa ancora che sia un’opera inutile?
“Mi lasci dire innanzitutto che anche se
sono lontano da Venezia da tanti anni mi fa male vedere la città ridotta così
perché Venezia è un bene inestimabile dell’umanità. Ed è sempre la mia città.
Sono vicino ai veneziani, in queste ore penso a quello che stanno
passando”.
A che punto è il MOSE a Venezia?
Pochi
giorni fa era stato rinviato uno degli ultimi collaudi, e ad oggi la consegna è
prevista per la fine del 2021
Con l’allagamento straordinario di
mercoledì a Venezia, dove l’acqua alta ha raggiunto i 187 centimetri sfiorando
il massimo storico registrato durante l’alluvione del 1966, si è tornati a
parlare del MOSE, l’imponente struttura in costruzione ormai da oltre quindici
anni che dovrebbe riparare la città dall’alta marea. Secondo i suoi progettisti
il MOSE, che sta per MOdulo Sperimentale Elettromeccanico, è quasi finito: ma
anche gli ultimi cinque anni della sua storia sono stati caratterizzati da
grandi ritardi e imprevisti che hanno aumentato lo scetticismo intorno a
un’opera già controversa.
Attualmente l’opera è realizzata al 94 per
cento, secondo i suoi costruttori, e la data annunciata per la sua entrata in
funzione è la fine del 2021. Ancora mercoledì, dopo l’acqua alta, il sindaco di
Venezia Luigi Brugnaro ha ribadito l’urgenza dell’entrata in funzione
dell’impianto.
Gli ultimi ritardi sono molto recenti.
Soltanto a fine ottobre, infatti, era stato rinviato a data da definirsi un
collaudo che prevedeva il sollevamento completo di una delle barriere che
costituiscono la diga mobile del MOSE, quella della bocca di porto di
Malamocco, uno dei tre passaggi che collegano la laguna di Venezia al mare,
insieme a quelle del Lido e di Chioggia.
mercoledì 13 novembre 2019
Internet: C’è un’emergenza invisibile da affrontare, guai a voltarsi dall’altra parte
da: https://www.ilfattoquotidiano.it -
di Guido Scorza
È inquietante e fa riflettere l’edizione
2019 del rapporto Freedom on the net pubblicata nei giorni scorsi da Freedom
House, think tank americano fondato nel 1941 da Eleonor Roosevelt.
L’immagine complessiva del web – social
network in particolare – che ne esce è quella di un’enorme riserva di pesca nella quale gli utenti giocano il ruolo dei
pesci e una pletora di soggetti
pubblici e privati, in tutto il mondo, quello dei pescatori che, lanciando
grandi reti a strascico, raccolgono
quantità industriali di dati personali per gli scopi più disparati – anche
se il rapporto si concentra quelli pubblici – e con esche di ogni genere
orientano i banchi di pesci in una direzione o nell’altra a seconda delle
esigenze politiche del momento. O, se si preferisce, per usare una metafora più
digitale, l’immagine potrebbe essere quella della Rete e dei social network in
particolare come un videogioco, il Pacman di altri tempi con i nostri dati
personali nella veste dei puntini gialli dei quali è ghiotta la creatura sferica
protagonista del gioco ormai cult.
Ma che l’immagine sia l’una oppure l’altra
Freedom House non ha dubbi: la Rete,
complessivamente, oggi, per il nono anno consecutivo, è meno libera che in
passato e diritti e libertà fondamentali come quello alla privacy, alla
parola e alla manifestazione del pensiero sono più in pericolo di sempre.
Sui 65
Paesi oggetto dello studio, nell’ultimo anno, in 47 le forze dell’ordine hanno
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