da: Il Fatto Quotidiano
di Salvatore
Cannavò
Stefano Rodotà ha seguito con interesse la
polemica nata attorno alle proposte di Maurizio Landini. Il termine “coalizione
sociale” è di suo conio e qualche settimana fa, proprio con Il Fatto, aveva
spiegato il senso della proposta. Dopo il clamore suscitato dall’intervista del
segretario Fiom, torna sull’argomento.
Le
sembra che quella lanciata da Landini sia una proposta politica?
Assolutamente sì. Anche perché, questa
“coalizione sociale”, che io stesso avevo proposto, è una formula che aiuta a
fare chiarezza. Non si possono ripercorrere le vie del passato, quelle
fallimentari della lista Arcobaleno, della lista Ingroia o, su altri piani, della
listaTsipras. Il chiarimento migliore mi pare che sia venuto da Sergio
Cofferati nell’intervista di ieri al Fatto.
Cosa
l’ha convinta di quella intervista?
Tre elementi. Primo: dobbiamo guardare
fuori dall’Italia ma né Podemos né Syriza sono modelli che possiamo importare.
Secondo, il problema principale è individuare i temi e i princìpi dai quali
partire per un lavoro comune. Il terzo passaggio messo in evidenza da Cofferati
è che solo fatti questi primi due passi
si può individuare il tema della rappresentanza
e poi anche quello del leader.
Fuori
dai partiti, dunque?
Non ho in mente un movimentismo al
quadrato. Ma la coalizione sociale significa in primo luogo riconoscere quel
lavoro consolidato e forte di molti soggetti che esiste già da diverso tempo e
che è stato già vincente.
Esempi?
Quando si fa riferimento a Luigi Ciotti si fa riferimento a un’esperienza, Libera, che anche con campagne come Miseria Ladra ha determinato un grande lavoro comune. Quando si fa riferimento al lavoro di Gino Strada, si fa riferimento a laboratori che già operano anche in Italia. Terzo caso possibile, i comitati per l’acqua e i beni comuni sono i più vincenti di tutti con il risultato del referendum.
Quando si fa riferimento a Luigi Ciotti si fa riferimento a un’esperienza, Libera, che anche con campagne come Miseria Ladra ha determinato un grande lavoro comune. Quando si fa riferimento al lavoro di Gino Strada, si fa riferimento a laboratori che già operano anche in Italia. Terzo caso possibile, i comitati per l’acqua e i beni comuni sono i più vincenti di tutti con il risultato del referendum.
E
la Fiom?
In questo progetto la Fiom è un aggregatore
che ha fatto una delle lotte più importanti per veder riconosciuti dei diritti.
La sentenza della Corte costituzionale che l’ha riammessa nelle fabbriche del
gruppo Fiat ha anticipato di sei mesi la sentenza che ha dichiarato illegittimo
il “porcellum”. Entrambe quelle sentenze dicevano che non si può negare la
rappresentanza ai lavoratori o ai cittadini.
Ma
a Landini si rimprovera di voler fare un partito, anche se ha sempre chiarito.
Si tratta di un altro equivoco. Quando
Landini dice che fa politica ma che non fa un partito, dice qualcosa che la
cultura debole di questo periodo ha perduto: la politica non si chiude tutta
dentro i partiti. Oggi c’è una società in cui i partiti sono diventati
oligarchia e hanno espropriato i cittadini.
Conferma
quel giudizio di “zavorra” che diede dei partiti alla sinistra del Pd?
Qui ci sono due equivoci che vanno evitati.
Il primo è ragionare in termini di ‘spazio a sinistra del Pd’. Il Pd prova a
ribadire, spasmodicamente, che sta realizzando cose di sinistra ma si tratta di
una excusatio non petita. Sulla base di provvedimenti come il Jobs Act o la
responsabilità civile dei giudici ne viene fuori una grande restaurazione di
centro. Più che uno spazio ‘a sinistra’, oggi ci sono una serie di principi e
diritti che non trovano copertura politica.
E
l’altro equivoco?
Riguarda il mondo della politica
organizzata: qui siamo di fronte o a un problema di sopravvivenza (Prc e Sel) o
a un problema di appartenenza (minoranza Pd). Noi invece abbiamo bisogno di un
nuovo inizio. Non possiamo portarci dietro tutto quello che c’è stato
nell’ambito della sinistra.
Lei
è critico anche con la lista Tsipras?
È stata una buona occasione che non doveva
essere perduta. Ma oggi abbiamo bisogno di una chiara discontinuità. Quello che
lega le formazioni politiche esistenti non mi sembra adeguato alla situazione
nuova.
Quali
saranno i primi passi di questa coalizione?
È necessario che i diversi soggetti
proponenti concordino un cammino che richiederà forme di contatto permanente,
con la Costituzione come bussola ma calata nella lotta politica attuale.
E
come porsi di fronte alle elezioni?
In questi anni diverse esperienze, penso a
quella di Alba, sono state travolte dalle elezioni. Solo quando sarà maturato
qualcosa di importante si può accettare di non tirarsi indietro.
Quali
sono le cose concrete da fare?
Un lavoro comune potrebbe essere quello
della legge di iniziativa popolare di modifica dell’articolo 81 che prevede il
pareggio di bilancio.
E
che tempi immagina?
Ragionevolmente brevi.
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