martedì 17 febbraio 2015

Frequenze tv: rispunta lo sconto a Mediaset, vantaggi anche per la Rai


da: la Repubblica

Frequenze tv, rispunta lo sconto a Mediaset
Salta l’emendamento al decreto Milleproroghe, che avrebbe sottratto all’AgCom la competenza sul canone. Il gruppo che fa capo a Silvio Berlusconi verserà 13 milioni l’anno contro i 20 del 2012.
di Aldo Fontanarosa

E’ caos sul canone frequenze. E Mediaset è oggi più vicina all’obiettivo che persegue da quasi due anni. E cioè pagare meno, molto meno come fitto allo Stato per le frequenze televisive che utilizza. Nella peggiore delle ipotesi, il gruppo Berlusconi verserà all’erario 13 milioni di euro l’anno (contro gli oltre 20 che ha pagato nel 2012).
Da dicembre, il governo Renzi ha lavorato ventre a terra su questo dossier. Ma ieri, nel momento della verità, è saltato l’emendamento al decreto Milleproroghe, all’esame alla Camera, che avrebbe impresso una svolta alla vicenda. L’emendamento – scritto al ministero dello Sviluppo – avrebbe tolto la competenza a decidere sul canone al Garante per le Comunicazioni (AgCom) e la avrebbe restituita al governo, legittimato così a scrivere una legge in materia. E questa legge, almeno nelle dichiarazioni pubbliche, avrebbe

cancellato o quantomeno attenuato ogni sconto a Mediaset e alla stessa Rai. Ma il percorso, caduto l’emendamento di ieri, sembra interrotto.
In queste ore ha pesato la volontà del ministero della Economia che ha fermato l’emendamento. Per capire le ragioni di via Venti Settembre, bisogna fare un passo indietro a settembre dell’anno scorso quando il nostro Garante delle Comunicazioni (dove la destra è in maggioranza) riforma le modalità di pagamento del canone (come è in suo potere). La delibera del Garante cancella la norma della Finanziaria del 2000 che aveva imposto agli editori di versare allo Stato l’1% del loro fatturato come canone per antenne, ripetitori e frequenze. Il meccanismo aveva portato Mediaset e Rai a sganciare fino a 20 milioni l’anno, in ragione del maggiore fatturato.
A settembre 2014, dunque, il Garante stabilisce che il canone dovrà essere calcolato sulla base delle frequenze che si detengono, e non più in base al fatturato. Per gli editori storici si profila uno sconto; per quelli emergenti una stangata. Sul piano operativo, il Garante rimette l’ultima decisione al governo che potrà scegliere tra due soluzioni. La prima strada prevede che lo Stato incameri meno soldi che in passato dal tributo. Il minor gettito servirà ad alleviare il peso sugli editori emergenti, che arriveranno a versare cifre importanti poco alla volta e non prima di 8 anni. La seconda strada è più brusca. Gli editori emergenti avrebbero pagato subito il massimo – 13 milioni l’anno proprio come Rai e Mediaset – in modo da garantire un gettito complessivo di 44 milioni.
Chiamato a scendere in campo, il governo fa una prima mossa a Natale 2014. Un decreto ministeriale (dello Sviluppo Economico) neutralizza la delibera del Garante (di settembre). Questo decreto ministeriale chiede a tutti gli editori di versare un anticipo del canone, in attesa che l’esecutivo vari una legge definitiva. E il 5 febbraio il governo fa la sua seconda mossa: propone un emendamento al decreto Milleprioroghe, in commissione Affari Costituzionali della Camera. Ma subito deflagra la polemica politica, con Forza Italia che accusa Renzi di intervenire solo perché è appena saltato il Patto del Nazareno sulle riforme. L’esecutivo prende fiato e lavora a un secondo emendamento. Ieri sera, però, tutto si ferma per volontà del ministero della Economia. Il ministero ritiene che la delibera del Garante, per quanto imperfetta, assicuri un gettito sicuro all’erario fino a 44 milioni. L’emendamento si limita a trasferire il potere in materia dal Garante al governo, senza certezze sulle entrate. Di qui lo stop. E il caos è servito.

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