da: Corriere della Sera
Se la vita in ospedale, da pazienti in
lotta contro malattie che lasciano poche speranze, è dura, anche quella fuori
dalle corsie non scherza, soprattutto se si è adolescenti e si devono
affrontare tutte le sfide del passaggio all’età adulta.
Questo il punto di partenza della seconda
stagione di «Braccialetti Rossi», la fiction di Rai1 basata sulla serie
spagnola «Polsere Vermelles», prodotta da Palomar e diretta da Giacomo
Campiotti (domenica, ore 21.20).
Il gruppo dei giovani protagonisti, legato
dalla condivisione dell’esperienza tragica della malattia, sembra essersi
sgretolato, come se l’amicizia faticasse a proseguire senza la protezione delle
mura dell’ospedale, non solo un luogo d’angoscia. Leo (a cui intanto sono
ricresciuti i capelli) pare vicino alle dimissioni dal reparto di oncologia ma
le cose prendono una piega drammatica, Cris è tornata sui banchi di scuola:
nella loro storia d’amore s’intromette un nuovo compagno di classe. Vale si è
chiuso in se stesso e tutti rimpiangono Davide, morto tragicamente nella scorsa
stagione e ritornato in versione fantasma in questi nuovi episodi.
Nuovi protagonisti fanno il loro ingresso
in scena e gli adulti della fiction sembrano quasi più impreparati e fragili
dei ragazzi di fronte all’indescrivibilità della malattia. In verità,
«Braccialetti rossi» è più interessante della media delle produzioni di Rai1: è
riuscita a crearsi una sua comunità di spettatori giovani, da tempo disinteressati
alla proposta del servizio pubblico (si sa che i loro consumi tv s’indirizzano
verso altri lidi), ha cercato di rinfrescare un minimo lo stile narrativo anche
con l’uso di una colonna sonora ben studiata da Niccolò Agliardi.
Ma tutto questo non la salva dalla ricerca
della lacrima facile, dalla banalità di certi passaggi nella sceneggiatura,
dall’abuso del rallenty, dalla retorica buonista con cui tratta le
tribolazioni, molto lontana dalla cognizione del dolore.
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