da: Il Sole 24 Ore
di Carlo
Bastasin
Può sorprendere, ma quello che Alexis Tsipras sta per affrontare è un “Monti-moment”:
il tentativo di scuotere le
incrostazioni e abitudini secolari di un Paese in pochi mesi, con le sole proprie
forze e in un quadro economico fragile. L’esperienza italiana del 2012 ha
dimostrato quanto ciò sia difficile e politicamente ingrato. Ma i partner
europei hanno deciso di far finta che ciò che è razionale sia anche reale.
Dopo che il negoziato all’Eurogruppo si è
concluso con la dura riaffermazione del programma politico-economico già
fissato per Atene, il nuovo governo greco ha dovuto inviare a Bruxelles una lista di riforme che sposta il fronte
politico greco dall’Europa all’interno del Paese.
Tsipras vuole combattere non più Berlino e
la Troika, ma l’evasione fiscale degli
oligarchi, la corruzione degli
amministratori locali, il trasferimento all’estero dei capitali, le facilitazioni fiscali dei commerci di
materie prime, il contrabbando di
energia, l’economia sommersa e gli
altri caratteri della società greca che ne frenano lo sviluppo e la rendono
così ingiusta da aver reso necessarie contromisure assistenziali che nei
decenni hanno reso incontrollabile la spesa pubblica.
Esiste nella letteratura economica una mole di studi, talvolta sbrigativi, in
cui si fa corrispondere l’arretratezza
economica e tecnologica di un Paese alla debolezza delle sue istituzioni.
Oltre alla sostanza logica, c’è però anche
un’implicazione ideologica: è il ragionamento secondo cui le economie deboli
sono il riflesso di società disordinate che fa dire che la loro voce politica
ha minor diritto di essere ascoltata e rispettata quando si confronta con le
voci dei Paesi più forti.
Nel ragionamento
dell’Eurogruppo c’è una contraddizione: in Paesi in cui le istituzioni funzionano male, la giustizia è
carente, o la pubblica amministrazione è inefficiente, perché le riforme
funzionino è indispensabile che ci sia almeno il consenso della popolazione. Come si è visto negli anni passati in
Italia e non solo, in condizioni di depressione economica questo è
particolarmente difficile, l’economia tende ad avvitarsi.
Nemmeno Tsipras ha una maggioranza
parlamentare solida, il suo partito, Syriza, è una coalizione che in passato
non è riuscita a compattare le sue componenti, inoltre l’alleato di governo è
del tutto disomogeneo ideologicamente. Ora che il fronte politico interno torna
a prevalere su quello anti-europeo, la distinzione destra-sinistra potrebbe
rendere fragile l'alleanza tra Syriza e i Greci Indipendenti. La pressione
fiscale, in particolare, farà aumentare la fuga dei capitali. L’Eurogruppo sottovaluta le difficoltà di Tsipras.
Ha solo concesso più flessibilità
sul bilancio pubblico di quest’anno. Ma ben
poco ha proposto come aiuto alla crescita dell’economia greca. La sfiducia
è evidente: l’estensione del programma di quattro mesi, anziché sei, fa sì che
Atene debba negoziare il nuovo programma entro giugno proprio quando sarà in
condizione di fragilità negoziale perché dovrà ripagare i prestiti della Bce
senza i quali è fuori dall’euro. La stessa lista delle riforme è soggetta come
prima ad approvazione della ex-Troika anche se almeno i testi di legge non
saranno più scritti a Washington o a Bruxelles. Ogni esborso degli aiuti
europei dipenderà dal via libera che Ue-Bce-Fmi daranno in ragione del grado di
adempimento al programma (ex-programma...). I problemi di cash-flow per lo
Stato greco restano inalterati e sotto questa pressione il Parlamento di Atene
deve tradurre le riforme concordate in leggi entro fine aprile.
L’esemplificazione dello squilibrio politico si è avuta venerdì quando il
ministro delle Finanze tedesco Schäuble ha telefonato al leader socialdemocratico
Gabriel per assicurare l’approvazione del Bundestag al pacchetto greco, mentre
ad Atene il partito di maggioranza si lacerava. Tsipras ha certamente sbagliato
strategia fin dall’inizio nel trattare in modo antagonistico e unilaterale con
i partner europei. È difficile inoltre dire che le condizioni che sono state
imposte ad Atene non siano politicamente giustificate nell’ottica del confronto
democratico europeo. In fondo, mi è stato fatto notare, la decisione
dell’Eurogruppo è frutto di un voto a maggioranza tra i governi e il dibattito
europeo che ha accompagnato la decisione si è orientato lungo l’asse
convenzionale destra-sinistra, con la prevalenza, anche in questo caso secondo
il principio della maggioranza, della parte conservatrice che governa attualmente
molte capitali europee. Tuttavia, la
democrazia non è il dominio della maggioranza sulla minoranza, nemmeno quando questa è rappresentata da un Paese un po’ disordinato o molto
indisciplinato. La sfiducia non può
essere l’unica base della convivenza.
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