giovedì 19 febbraio 2015

Bruno Tinti: Falso in bilancio, ancora non basta



da: Il Fatto Quotidiano
  È una consolazione che il patto scellerato con B. sia decaduto. I frutti cominciano a vedersi: il “nuovo” falso in bilancio è molto migliore di quanto sembrava dovesse essere. Niente soglie di punibilità (forse una soglia “oggettiva” per società di piccole dimensioni, ci può stare) e niente procedibilità a querela.
Sono variazioni importanti rispetto all’obbrobrio giuridico ed etico del duo Ghedini-B.; e dimostrano la consapevolezza delle conseguenze criminali che da quello derivavano: la legalizzazione del “nero” (che significa l’accettazione implicita della corruzione e dell’evasione fiscale) e la sostanziale impunità consentita dalla querela.
Anche le pene sono accettabili (al di là delle conseguenze di un sistema generale che garantisce l’impunità a tutti i condannati a pene sotto i 4 anni): il massimo edittale di 6 anni consente la carcerazione preventiva e le intercettazioni telefoniche; nel rispetto dei requisiti richiesti dalla legge, si tratta di strumenti investigativi indispensabili.
Ma manca ancora qualcosa perché la riforma sia davvero significativa, rispettosa della legalità e non dei delinquenti: la riforma della prescrizione e il ritorno alla fattispecie di reato di pericolo.


Con l’attuale prescrizione, il falso in bilancio, anche se ben ristrutturato, resta impunito. Verifica Guardia di Finanza: 1-2 anni; indagini Procura: 1 anno - 1 anno e mezzo; Tribunale: 2 anni; Appello: 3 anni; Cassazione: arriva già prescritto. I tempi non sono comprimibili, soprattutto quelli per le indagini preliminari: i processi per questi reati sono molto complessi. Sicché, o si elimina l’Appello (scelta preferibile, per questo come per tutti i reati) o si allunga la prescrizione.
Quanto al tipo di reato. Il falso in bilancio classico era strutturato come reato di pericolo: non era necessario che taluno, socio o creditore, ne riportasse un danno. Era sufficiente che le falsità fossero idonee a ingannare “il pubblico”, quello che si dice il mercato; e – naturalmente – anche i soci o i creditori. Questa tecnica legislativa è conosciuta come “tutela avanzata”: siccome è noto che certe condotte, nel nostro caso il falso in bilancio, sono idonee a provocare gravi danni, le si sanziona autonomamente, prescindendo dal fatto che il danno sia stato arrecato in concreto. È un po’ come l’eccesso di velocità: chi guida può essere un pilota eccezionale, avere tutto sotto controllo e non cagionare alcun incidente; poco importa, la sua è una condotta pericolosa, presto o tardi qualcuno ci lascerà le penne; se lo si individua, la contravvenzione è certa.
Ma Ghedini e B. ne hanno cambiato la struttura: il “loro” falso in bilancio è un reato di danno, limitato ai soci e ai creditori; se questi non subiscono danni, il reato non sussiste.
Il che è un ossimoro: il falso in bilancio è commesso per conseguire un vantaggio; forse solo per alcuni soci (e allora il problema è che gli altri non se ne accorgono, di norma) ma magari per tutti; chi non sarà felice, ad esempio, di risparmiare sulle imposte o di ottenere un finanziamento che, con il bilancio veritiero, mai sarebbe stato concesso? In questi casi, dove sarebbe il danno?
Ecco perché dal 2002 a oggi processi per falso in bilancio non se ne sono fatti più: nessuno aveva interesse a lamentarsene; e comunque chi ne avrebbe avuto non riusciva a rendersene conto.
Quando, nel 1930, entrò in vigore la legge sul falso in bilancio, così la spiegò il ministro della Giustizia Alfredo Rocco: “La straordinaria mitezza del precedente codice trova spiegazione nella sua concezione nettamente individualistica che non fa vedere, in materia di società, oltre i singoli individui, azionisti o creditori e, negli abusi commessi dai dirigenti, solo i fatti che incidono su interessi privati. Ma questi fatti sono gravemente lesivi dell’economia pubblica in quanto, facendo venir meno la fiducia sull’attività delle società commerciali, scuotono uno dei cardini fondamentali su cui poggia la struttura economica del Paese”.
Renzi e Orlando potrebbero trarne ispirazione.

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