sabato 14 febbraio 2015

Stefano Feltri: “Popolari, Vegas e Telecom, merchant bank Palazzo Chigi”



da: Il Fatto Quotidiano

La riforma del settore del credito ha fatto emergere l’agensa d’affari del governo: silurare il capo della Consob e riprendersi la rete telefonica.

Le banche popolari sono l’inizio. A Palazzo Chigi il lato business del renzismo è molto più attivo di quello parlamentare: c’è in atto una guerra con il capo della Consob, Giuseppe Vegas, e si discute di un piano per riportare la Telecom sotto il controllo del governo, quasi vent’anni dopo la privatizzazione e i “capitani coraggiosi” di Roberto Colannino ora avanzano i “boiardi coraggiosi” guidati da Franco Bassanini, il presidente della Cassa depositi e prestiti.

Premessa: con discrezione ma metodica perseveranza, Matteo Renzi ha costruito a Palazzo Chigi un governo ombra molto più coeso ed efficace di quello vero. Il “ministro” del Lavoro è l’economista bocconiano Tommaso Nannicini, c’è l’economista esperta di finanza Carlotta De Franceschi che ha curato l’operazione del Tfr in busta paga. Un altro economista, Marco Simoni, cerca operazioni internazionali riempiendo il vuoto lasciato da Invitalia, l’agenzia pubblica che doveva attirare capitali ma è occupata soprattutto a gestire sussidi in Italia.

Simoni si è occupato, tra l’altro, di favorire l’investimento da 250 milioni della Izp Technologies sull’aeroporto di Parma, piattaforma di esportazioni italiane verso la Cina. 

Ma è sulla finanza che c’è più fermento. Tutto accelera con il decreto sulle banche popolari, il 20 gennaio: obbligo per gli istituti regolati dal voto capitario (ogni socio ha un voto a prescindere dal capitale investito) di trasformarsi in società per azioni entro 18 mesi se gli attivi superano gli 8 miliardi di euro. “Quella riforma l’ha scritta la Banca d’Italia con il ministero del Tesoro”, dicono da Palazzo Chigi. È il calcio di inizio: nel giro di pochi giorni governo e Bankitalia lanciano il progetto della bad bank, una struttura pubblica che si faccia carico delle sofferenze bancarie, in pratica delle possibili perdite su prestiti che non saranno rimborsati. Due giorni fa la notizia che in luglio lo Stato tornerà azionista del Monte dei Paschi, visto che la banca di Siena non riesce a pagare gli interessi sui prestiti pubblici (Monti bond) e quindi darà al Tesoro azioni invece di soldi. Nel mezzo l’inchiesta su Ubi banca che ritrova vita e accelera il passaggio a spa dell’unica banca popolare che potrebbe farsi carico di Mps. E il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, dopo giorni di mezze dichiarazioni e smentite, ha deciso ieri di rendere pubblico il verbale del Consiglio dei ministri del 20 gennaio per dimostrare che non era presente mentre si discuteva una riforma decisiva per le sorti della Popolare dell’Etruria, di cui fino al giorno in cui scatterà il commissariamento di Bankitalia è vicepresidente suo padre Pier Luigi e dipendente il fratello Emanuele.  

Con la riforma delle Popolari deflagra il conflitto con il presidente della Consob Giuseppe Vegas che nei corridoi di Palazzo Chigi definiscono “un delinquente”. I renziani sottolineano che c’è una ragione se la sua autorità è l’unica che è tornata da tre a cinque membri: Vegas, già braccio destro di Giulio Tremonti e poi gran regista della fusione Unipol-Fonsai su cui indaga la Procura di Torino, va arginato con la nomina di altri due commissari. E, se non c’è alternativa, costretto alle dimissioni accorpando la Consob con un’altra authority, tipo la Covip che vigila sui fondi pensione. “Renzi non vede l’ora che se ne vada”, spiega un collaboratore del premier. Vegas ha capito il clima e due giorni fa in un’audizione parlamentare ha presentato una dettagliata ricostruzione dei movimenti sospetti attorno ai titoli delle Popolari in Borsa che legittimano il sospetto di una fuga di notizie da Palazzo Chigi, notizie arrivate a qualcuno che ci ha guadagnato fino a 10 milioni di euro. Il presidente Consob ha sottolineato il possibile coinvolgimento di Davide Serra, fondatore del fondo inglese Algebris e da sempre vicino a Renzi. Agli uomini del premier non è piaciuta la mossa: citare indiscrezioni riportate da giornali e siti web per avvalorare un ruolo di Serra è stato visto come una provocazione. Come si fa a cacciare un presidente Consob che indaga sugli amici del premier?  
Ma queste sono schermaglie di fronte alla partita più seria che è cominciata. Quella su Telecom.  L’ex manager Luxottica Andrea Guerra, oggi a Palazzo Chigi come consulente gratuito, ha spiegato a Renzi che “il Paese si difende tutelando l’italianità delle sue aziende”. Telecom inclusa. Il piano, ispirato da Franco Bassanini e avversato a Palazzo Chigi da un altro consulente del premier, il fiorentino Raffaele Tiscar, è sottile.  
Telecom sta trattando l’ingresso in Metroweb, una società che a Milano ha realizzato la banda larga oggi usata da Fastweb. Ormai si è affermata l’idea che ci deve essere un solo soggetto a investire sulla rete di nuova generazione per non disperdere risorse. Telecom potrebbe comprare il 53 per cento di Metroweb da F2i, un fondo di inestimento di cui sono azioniste la Cdp e vari soggetti finanziari, così da creare un polo solo per l’infrastruttura (ma i cavi milanesi di Fastweb resterebbero fuori dall’operazione). Perché il governo incoraggia un progetto dai benefici incerti? Lo scopo non è consegnare un’azienda para-statale come Metroweb a Telecom, ma avvicinare quest’ultima all’orbita pubblica. Questo il passaggio decisivo: l’altro azionista di Metroweb, cioè la Cassa depositi e prestiti, fra un anno chiederà di liquidare le sue azioni. Che verranno pagate non in contanti ma in azioni della compagnia telefonica. E così, miracolo, i “boiardi coraggiosi” avranno riportato la Telecom sotto il controllo dello Stato, per il tramite del suo braccio industriale, la Cdp. A comandare su Telecom Italia saranno Franco Bassanini e il governo. Basta agitare questo piano per far scappare i vari pretendenti internazionali al controllo di Telecom, che oggi è di fatto senza un padrone. Così la soluzione statale risulterà inevitabile, una profezia che si autoavvera. Per Renzi l’idea è interessante.

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