da: Il Fatto Quotidiano
La
riforma del settore del credito ha fatto emergere l’agensa d’affari del
governo: silurare il capo della Consob e riprendersi la rete telefonica.
Le banche popolari sono l’inizio. A Palazzo Chigi il lato business del renzismo è molto più attivo di quello parlamentare:
c’è in atto una guerra con il capo della
Consob, Giuseppe Vegas, e si discute di un piano per riportare la Telecom sotto
il controllo del governo, quasi vent’anni dopo la privatizzazione e i
“capitani coraggiosi” di Roberto Colannino ora avanzano i “boiardi coraggiosi”
guidati da Franco Bassanini, il presidente della Cassa depositi e prestiti.
Premessa: con discrezione ma metodica
perseveranza, Matteo Renzi ha costruito
a Palazzo Chigi un governo ombra molto più coeso ed efficace di quello
vero. Il “ministro” del Lavoro è
l’economista bocconiano Tommaso
Nannicini, c’è l’economista esperta
di finanza Carlotta De Franceschi che ha curato l’operazione del Tfr in
busta paga. Un altro economista, Marco
Simoni, cerca operazioni internazionali riempiendo il vuoto lasciato da
Invitalia, l’agenzia pubblica che doveva attirare capitali ma è occupata
soprattutto a gestire sussidi in Italia.
Simoni si è occupato, tra l’altro, di
favorire l’investimento da 250 milioni della Izp Technologies sull’aeroporto di
Parma, piattaforma di esportazioni italiane verso la Cina.
Ma è sulla finanza che c’è più fermento.
Tutto accelera con il decreto sulle banche popolari, il 20 gennaio: obbligo per
gli istituti regolati dal voto capitario (ogni socio ha un voto a prescindere
dal capitale investito) di trasformarsi in società per azioni entro 18 mesi se
gli attivi superano gli 8 miliardi di euro. “Quella riforma l’ha scritta la
Banca d’Italia con il ministero del Tesoro”, dicono da Palazzo Chigi. È il calcio
di inizio: nel giro di pochi giorni governo e Bankitalia lanciano il progetto
della bad bank, una struttura pubblica che si faccia carico delle sofferenze
bancarie, in pratica delle possibili perdite su prestiti che non saranno
rimborsati. Due giorni fa la notizia che in
luglio lo Stato tornerà azionista del Monte dei Paschi, visto che la banca
di Siena non riesce a pagare gli interessi sui prestiti pubblici (Monti bond) e
quindi darà al Tesoro azioni invece di soldi. Nel mezzo l’inchiesta su Ubi banca
che ritrova vita e accelera il passaggio
a spa dell’unica banca popolare che potrebbe farsi carico di Mps. E il
ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, dopo giorni di mezze dichiarazioni e
smentite, ha deciso ieri di rendere pubblico il verbale del Consiglio dei
ministri del 20 gennaio per dimostrare che non era presente mentre si discuteva
una riforma decisiva per le sorti della Popolare dell’Etruria, di cui fino al
giorno in cui scatterà il commissariamento di Bankitalia è vicepresidente suo
padre Pier Luigi e dipendente il fratello Emanuele.
Con la riforma
delle Popolari deflagra il conflitto con il presidente della Consob Giuseppe
Vegas che nei corridoi di Palazzo
Chigi definiscono “un delinquente”. I renziani sottolineano che c’è una
ragione se la sua autorità è l’unica che è tornata da tre a cinque membri:
Vegas, già braccio destro di Giulio Tremonti e poi gran regista della fusione
Unipol-Fonsai su cui indaga la Procura di Torino, va arginato con la nomina di
altri due commissari. E, se non c’è alternativa, costretto alle dimissioni accorpando la Consob con un’altra
authority, tipo la Covip che vigila sui fondi pensione. “Renzi non vede
l’ora che se ne vada”, spiega un collaboratore del premier. Vegas ha capito il clima e due giorni
fa in un’audizione parlamentare ha presentato una dettagliata ricostruzione dei movimenti sospetti
attorno ai titoli delle Popolari in Borsa che legittimano il sospetto di una
fuga di notizie da Palazzo Chigi, notizie arrivate a qualcuno che ci ha guadagnato fino a 10 milioni di euro. Il
presidente Consob ha sottolineato il possibile coinvolgimento di Davide Serra, fondatore del fondo inglese
Algebris e da sempre vicino a Renzi. Agli uomini del premier non è piaciuta
la mossa: citare indiscrezioni riportate da giornali e siti web per avvalorare
un ruolo di Serra è stato visto come una provocazione. Come si fa a cacciare un
presidente Consob che indaga sugli amici del premier?
Ma queste sono schermaglie di fronte alla
partita più seria che è cominciata. Quella su Telecom. L’ex manager Luxottica Andrea Guerra,
oggi a Palazzo Chigi come consulente
gratuito, ha spiegato a Renzi che “il Paese si difende tutelando
l’italianità delle sue aziende”. Telecom inclusa. Il piano, ispirato da Franco
Bassanini e avversato a Palazzo Chigi da un altro consulente del premier, il
fiorentino Raffaele Tiscar, è sottile.
Telecom
sta trattando l’ingresso in Metroweb, una società che a Milano ha realizzato la
banda larga oggi usata da Fastweb. Ormai si è affermata l’idea che
ci deve essere un solo soggetto a investire sulla rete di nuova generazione per
non disperdere risorse. Telecom potrebbe comprare il 53 per cento di Metroweb
da F2i, un fondo di inestimento di cui sono azioniste la Cdp e vari soggetti
finanziari, così da creare un polo solo per l’infrastruttura (ma i cavi
milanesi di Fastweb resterebbero fuori dall’operazione). Perché il governo
incoraggia un progetto dai benefici incerti? Lo scopo non è consegnare un’azienda
para-statale come Metroweb a Telecom, ma avvicinare quest’ultima all’orbita
pubblica. Questo il passaggio decisivo: l’altro azionista di Metroweb, cioè la Cassa depositi e prestiti, fra un anno
chiederà di liquidare le sue azioni. Che verranno pagate non in contanti ma in
azioni della compagnia telefonica. E così, miracolo, i “boiardi coraggiosi” avranno riportato la Telecom sotto il controllo dello Stato, per il tramite
del suo braccio industriale, la Cdp. A comandare su Telecom Italia saranno Franco Bassanini e il governo. Basta
agitare questo piano per far scappare
i vari pretendenti internazionali al controllo
di Telecom, che oggi è di fatto senza un padrone. Così la soluzione statale risulterà
inevitabile, una profezia che si autoavvera. Per Renzi l’idea è interessante.
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