da: http://www.rockol.it/
- di Alberto
Sibilla/Gianni Sibilla
Affinità elettive tra Bob Dylan e Frank
Sinatra? Se dovessimo stabilire chi è il Grande Cantante Americano, il
corrispettivo musicale del Grande Romanzo Americano, Dylan e Sinatra, sarebbero
in gara assieme a ben pochi altri candidati.
Dylan ha sempre giudicato Sinatra come un
simbolo della musica americana e ha sempre amato le canzoni di Sinatra. Già in
passato aveva cantato come un crooner in "Self portrait" e in
"Dylan", con una voce influenzata sicuramente da Elvis (terzo
candidato al Grande Cantante Americano) e appunto da Sinatra. Sempre per
restare nella tradizione, ha inciso un disco natalizio, "Christmas in the
heart", che sembra cantato dal fratello rauco (e ubriaco) di Sinatra.
Dai fan e da parte della critica gli album
di cover sono considerati come momenti di temporanea follia o di carenza di
idee. Anzi, c'è ormai un'insofferenza diffusa, dovuta alla sovraesposizione del
formato. Ma "Shadows in the night" Non è un disco di cover, non è un
disco di standard. E’ un gran disco, da ogni punto di vista: la scelta dei
brani, l’arrangiamento, l’interpretazione, l’idea.
Le recenti riedizioni discografiche ("Self
Portrait" e le "Basement tapes") rendono evidente che Dylan è
artista alla continua ricerca di tutte le componenti e delle radici della
musica americana, siano esse popolari e di protesta, provenienti dalla
tradizione ottocentesca o seguano il grande mainstream tra la canzone d’amore e
il jazz che costituisce il Great American Songbook. Queste sono le premesse per
capire che Dylan ama questa musica. Questo album è una ridefinizione o
riscoperta di Dylan verso se stesso e verso il suo pubblico. Sono molti i punti
di contatto tra Dylan e Sinatra: in particolare sono artisti accumunati dalla
ricerca di indipendenza nei confronti del business musicale e dalla continua
distruzione/reinvenzione della propria immagine. Questa autonomia ovviamente
porta alle cadute e resurrezioni che hanno caratterizzato le vite dei due
cantanti.
Come ascoltare allora l’ultimo album di Dylan? Forse la risposta sta in un ascolto comparato delle canzoni che compongono l’album nelle due versioni Sinatra e Dylan: Le versioni di Sinatra si dipanano con un’orchestrazione perfetta, mai pesante, con ogni strumento in giusta luce e con una voce incredibilmente piacevole, senza la minima sbavatura. Sono incisioni anche tecnicamente perfette. Dylan nella sua riscoperta, ha un suono aspro, mixato come se fosse registrato dal vivo con una band di cinque elementi, con qualche coloritura sullo sfondo. Nell’era digitale rifiuta qualsiasi aggiustamento tecnico. Secondo Dylan erano canzoni sepolte e il disco le riporta alla luce del giorno, cercando di cogliere la perfezione nella loro semplicità.
Come ascoltare allora l’ultimo album di Dylan? Forse la risposta sta in un ascolto comparato delle canzoni che compongono l’album nelle due versioni Sinatra e Dylan: Le versioni di Sinatra si dipanano con un’orchestrazione perfetta, mai pesante, con ogni strumento in giusta luce e con una voce incredibilmente piacevole, senza la minima sbavatura. Sono incisioni anche tecnicamente perfette. Dylan nella sua riscoperta, ha un suono aspro, mixato come se fosse registrato dal vivo con una band di cinque elementi, con qualche coloritura sullo sfondo. Nell’era digitale rifiuta qualsiasi aggiustamento tecnico. Secondo Dylan erano canzoni sepolte e il disco le riporta alla luce del giorno, cercando di cogliere la perfezione nella loro semplicità.
Perché ha scelto queste canzoni? Lo dice
Dylan stesso in una lunga intervista a Aarp.org: la
maggior parte delle canzoni attuali trattano del vizio, queste “sono canzoni di
grande virtù”. Al vizio non si sopravvive secondo Dylan.
Anche se "Tempest" era l’album del vizio, della perdizione e della morte per eccellenza; Dylan riesce sempre a rimescolare le carte, con un album che è anni luce da tutti i dischi che rileggono il “Great american songbook” che ci sono stati propinati in questi anni e dalle interpretazioni filologiche di Sinatra (tipo Mina ne "L'allieva", per rimanere in Italia).
Anche se "Tempest" era l’album del vizio, della perdizione e della morte per eccellenza; Dylan riesce sempre a rimescolare le carte, con un album che è anni luce da tutti i dischi che rileggono il “Great american songbook” che ci sono stati propinati in questi anni e dalle interpretazioni filologiche di Sinatra (tipo Mina ne "L'allieva", per rimanere in Italia).
E funziona. E in questo album Dylan
dimostra di saper cantare, quando vuole: la fragilità della voce è un'ulteriore
elemento di emozione più che di debolezza . E dimostra di sapere interpretare,
cosa che spesso ha evitato di fare, soprattutto con le proprie canzoni, volutamente
snaturate nei concerti. Qua Dylan è molto rispettoso delle melodie originali,
meno degli arrangiamenti: il risultato è un disco notturno, che tratti ricorda
il Dylan di Daniel Lanois ma che emoziona sempre, in ogni momento. Chapeau.
TRACKLIST:
I’m a fool to want you
The night we called it a day
Stay with me
Autumn leaves
Why try to change me now
Some enchanted evening
Full moon and empty arms
Where are you?
What’ll I do
That lucky old sun
The night we called it a day
Stay with me
Autumn leaves
Why try to change me now
Some enchanted evening
Full moon and empty arms
Where are you?
What’ll I do
That lucky old sun
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