giovedì 19 febbraio 2015

Cosa ci fa l’ISIS in Libia?




da: Il Post 


Negli ultimi giorni la stampa italiana ha scritto molto – e con toni a volte sensazionalistici – sulla presenza dello Stato Islamico (o ISIS) in Libia e dei pericoli che la sua espansione potrebbe creare per la sicurezza dell’Italia. Nelle ultime ore è anche circolata molto la notizia secondo cui l’ISIS è arrivato in Libia per poter raggiungere più facilmente le coste italiane e compiere attentati nei paesi dell’Europa meridionale. Le cose non stanno proprio così: diversi analisti credono che la minaccia dell’ISIS non vada sottovalutata ma nemmeno sopravvalutata. Al momento l’ISIS controlla piccole parti del territorio libico e i suoi miliziani non dovrebbero essere più di qualche centinaia. Abbiamo messo in ordine alcune cose – come è arrivato l’ISIS in Libia, che rapporti ha sviluppato con al Qaida e che pericolo esiste per l’Italia – per capire meglio le notizie degli ultimi giorni, e anche quelle che verranno.

Come è arrivato l’ISIS in Libia
La scorsa estate, scrive il Wall Street Journal, il capo dell’ISIS Abu Bakr al Baghdadi mandò in Libia alcuni suoi collaboratori per verificare la possibilità di una collaborazione con i jihadisti locali. L’ISIS si mise in contatto con alcuni
simpatizzanti a cui fu ordinato di arruolare nuovi miliziani nelle moschee della Libia, soprattutto a Derna, una piccola città portuale nell’est del paese tradizionalmente centro del jihadismo libico. Per i primi mesi i nuovi miliziani reclutati furono mandati in Siria per l’addestramento: dal dicembre del 2014, dice il Wall Street Journal citando funzionari libici, l’ISIS iniziò a chiedere al gruppo che si occupava del reclutamento di concentrarsi sugli attacchi da compiere in Libia. Col passare delle settimane i miliziani dell’ISIS sono diventati sempre più violenti e aggressivi: hanno cominciato a compiere esecuzioni di massa, diffondere video violenti online e fare attentati spettacolari, come quello contro l’hotel Corinthia a Tripoli il 27 gennaio scorso in cui rimasero uccise nove persone.

I rapporti tra ISIS e al Qaida in Libia
L’ISIS in Libia non si è rafforzato usando lo stesso modello adottato in Siria: non ha combattuto i miliziani di al Qaida. Ci si è alleato, almeno in parte. Il 3 febbraio del 2015 alcuni uomini armati che hanno detto di rappresentare l’ISIS hanno attaccato un pozzo petrolifero franco-libico vicino alla città di Mabruk, uccidendo nove guardie. Il loro leader, un libico proveniente da Derna, faceva in realtà parte di un ramo di al Qaida nel Maghreb Islamico (AQIM), un gruppo affiliato di al Qaida che negli ultimi anni si è fatto conoscere nella regione per la cattura di alcuni ostaggi occidentali. Il punto è che è difficile dire con certezza da chi sia formato l’ISIS in Libia: ci sono i combattenti reclutati nelle moschee libiche e addestrati in Siria, ma ci sono anche gruppi estremisti libici – come Ansar al Sharia, accusato dagli Stati Uniti di avere organizzato l’assalto al consolato americano a Bengasi nel settembre del 2012 dove rimase ucciso l’ambasciatore Christopher Stevens – e i cosiddetti “foreign fighters”, cioè miliziani provenienti soprattutto dagli altri paesi del Maghreb dove le politiche anti-terrorismo sono più rigide.

Dov’è l’ISIS in Libia
La prima base dell’ISIS in Libia è a Derna, che ancora oggi viene considerato il centro delle attività del gruppo. L’ISIS opera anche in altre zone della Libia – ha degli uomini a Bengasi e Tripoli, per esempio – e controlla Derna, Sirte e An Nawfaliyah. La sua presenza sul territorio libico è però ancora piuttosto limitata: non si hanno informazioni certe sul numero di miliziani che formano l’ISIS in Libia, ma secondo alcune stime si parla di qualche centinaia di uomini (forse poche migliaia). Oggi l’ISIS viene visto come una minaccia non solo dal governo libico internazionalmente riconosciuto, ma anche dalla principale coalizione di forze islamiste – “Alba della Libia”, formata da moderati ed estremisti – che controlla l’ovest del paese. L’ISIS e “Alba della Libia” potrebbero presto cominciare a combattersi apertamente su più fronti per la predominanza del fronte islamico in Libia.

Perché l’ISIS è voluto andare in Libia
Il mese scorso ha cominciato a circolare tra i sostenitori dell’ISIS un breve documento intitolato: «Libia: una porta strategica d’accesso per lo Stato Islamico». Il documento, diffuso solo in arabo, è stato tradotto negli ultimi giorni dalla Quilliam Foundation, un rispettato centro studi britannico che si occupa di anti-terrorismo: è molto utile, dice la Quilliam Foundation, per capire i motivi che hanno spinto al Baghdadi a occuparsi della Libia. Per quanto interessante il suo contenuto deve essere preso con le molle, visto che si tratta di un documento di propaganda finalizzato a convincere più miliziani possibile a unirsi all’ISIS in Libia. Nel documento si dice per esempio che sviluppare la provincia libica dell’ISIS potrebbe portare ad alleggerire la pressione internazionale sul Califfato in Siria e in Iraq, e si parla dell’enorme quantità di armi facilmente recuperabile in territorio libico (la Libia è piena di armi dalla caduta di Gheddafi). Il documento si sofferma anche sull’importanza della posizione della Libia nella regione del Maghreb: la Libia confina con la Tunisia, Algeria, Niger, Ciad, Egitto e Sudan, tutti paesi che hanno regole sull’anti-terrorismo molto più rigide di quelle in vigore in territorio libico. L’ISIS sembra vedere questo scenario come una possibilità di attirare combattenti stranieri dall’esterno.
Il punto che è stato più ripreso dalla stampa italiana è però quello riguardante la posizione strategica che ha la Libia nei confronti dell’Europa meridionale: la Libia, dice il documento, «ha una costa che si estende per moltissimi chilometri e che guarda agli stati crociati del sud, che possono essere raggiunti facilmente anche con una barca rudimentale». Nel documento si cita apertamente la possibilità di compiere degli attacchi nei paesi europei. Finora, comunque, non c’è alcuna prova che l’ISIS sia in grado di mettere in pratica azioni di questo genere.

I bombardamenti e tutto il resto
Dopo la diffusione del video dell’ISIS della decapitazione dei 21 copti egiziani su una spiaggia della Libia, il governo egiziano ha cominciato a bombardare le postazioni dell’ISIS a Derna, nell’est del paese. Gli attacchi aerei sono stati compiuti assieme all’aviazione libica: nei giorni scorsi si è parlato di decine di miliziani dell’ISIS uccisi, ma sono numeri non verificati e probabilmente approssimativi. È difficile dire fin da ora che tipo di conseguenze avranno gli attacchi aerei libici ed egiziani contro l’ISIS. Come hanno ricordato alcuni giornalisti ed esperti, è probabile che già nell’estate del 2014 l’Egitto avesse bombardato la Libia assieme ad alcuni aerei degli Emirati Arabi Uniti: quella volta l’obiettivo erano le milizie islamiste che stavano combattendo per il controllo di Tripoli. Non è escluso che nelle operazioni militari cominciate negli ultimi giorni l’Egitto voglia colpire non solo l’ISIS, ma anche le forze di “Alba della Libia” o altre milizie islamiste presenti nel paese.
L’Egitto sta chiedendo che in Libia intervenga una coalizione di forze che includa anche alcuni paesi occidentali. Ad opporsi a un eventuale intervento armato c’è il governo di Tripoli – quello controllato dagli islamisti con poco credito internazionale – e il Qatar, avversario del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi. Come ha scritto il New York Times: «Gli attacchi di martedì hanno aumentato la possibilità di una guerra aerea tra le fazioni rivali della Libia e hanno diminuito le speranze di un accordo appoggiato dalle Nazioni Unite che metta fine alla guerra».

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