da: Il Post
Negli ultimi giorni la stampa italiana ha
scritto molto – e con toni a volte sensazionalistici – sulla presenza dello
Stato Islamico (o ISIS) in
Libia e dei pericoli che la sua espansione potrebbe creare per la sicurezza
dell’Italia. Nelle ultime ore è anche circolata molto la notizia secondo cui
l’ISIS è arrivato in Libia per poter raggiungere più facilmente le coste
italiane e compiere attentati nei paesi dell’Europa meridionale. Le cose non
stanno proprio così: diversi analisti credono che la minaccia dell’ISIS non
vada sottovalutata ma nemmeno sopravvalutata. Al momento l’ISIS controlla
piccole parti del territorio libico e i suoi miliziani non dovrebbero essere
più di qualche centinaia. Abbiamo messo in ordine alcune cose – come è arrivato
l’ISIS in Libia, che rapporti ha sviluppato con al Qaida e che pericolo esiste per
l’Italia – per capire meglio le notizie degli ultimi giorni, e anche quelle che
verranno.
Come
è arrivato l’ISIS in Libia
La scorsa estate, scrive il Wall Street Journal, il
capo dell’ISIS Abu Bakr al Baghdadi mandò in Libia alcuni suoi collaboratori
per verificare la possibilità di una collaborazione con i jihadisti locali.
L’ISIS si mise in contatto con alcuni
simpatizzanti a cui fu ordinato di
arruolare nuovi miliziani nelle moschee della Libia, soprattutto a Derna, una
piccola città portuale nell’est del paese tradizionalmente centro del jihadismo
libico. Per i primi mesi i nuovi miliziani reclutati furono mandati in Siria
per l’addestramento: dal dicembre del 2014, dice il Wall Street Journal citando
funzionari libici, l’ISIS iniziò a chiedere al gruppo che si occupava del
reclutamento di concentrarsi sugli attacchi da compiere in Libia. Col passare
delle settimane i miliziani dell’ISIS sono diventati sempre più violenti e
aggressivi: hanno cominciato a compiere esecuzioni di massa, diffondere video
violenti online e fare attentati spettacolari, come quello contro l’hotel Corinthia a Tripoli il
27 gennaio scorso in cui rimasero uccise nove persone.
I
rapporti tra ISIS e al Qaida in Libia
L’ISIS in Libia non si è rafforzato usando
lo stesso modello adottato in Siria: non ha combattuto i miliziani di al Qaida.
Ci si è alleato, almeno in parte. Il 3 febbraio del 2015 alcuni uomini armati
che hanno detto di rappresentare l’ISIS hanno attaccato un pozzo petrolifero
franco-libico vicino alla città di Mabruk, uccidendo nove guardie. Il loro
leader, un libico proveniente da Derna, faceva in realtà parte di un ramo di al
Qaida nel Maghreb Islamico (AQIM), un gruppo affiliato di al Qaida che negli
ultimi anni si è fatto conoscere nella regione per la cattura di alcuni ostaggi
occidentali. Il punto è che è difficile dire con certezza da chi sia formato
l’ISIS in Libia: ci sono i combattenti reclutati nelle moschee libiche e
addestrati in Siria, ma ci sono anche gruppi estremisti libici – come Ansar al
Sharia, accusato dagli Stati Uniti di avere organizzato l’assalto al consolato americano a Bengasi
nel settembre del 2012 dove rimase ucciso l’ambasciatore Christopher Stevens –
e i cosiddetti “foreign fighters”, cioè miliziani provenienti soprattutto dagli
altri paesi del Maghreb dove le politiche anti-terrorismo sono più rigide.
Dov’è
l’ISIS in Libia
La prima base dell’ISIS in Libia è a Derna,
che ancora oggi viene considerato il centro delle attività del gruppo. L’ISIS
opera anche in altre zone della Libia – ha degli uomini a Bengasi e Tripoli,
per esempio – e controlla Derna, Sirte e An Nawfaliyah. La sua presenza sul
territorio libico è però ancora piuttosto limitata: non si hanno informazioni
certe sul numero di miliziani che formano l’ISIS in Libia, ma secondo alcune
stime si parla di qualche centinaia di uomini (forse poche migliaia). Oggi
l’ISIS viene visto come una minaccia non solo dal governo libico
internazionalmente riconosciuto, ma anche dalla principale coalizione di forze
islamiste – “Alba della Libia”, formata da moderati ed estremisti – che
controlla l’ovest del paese. L’ISIS e “Alba della Libia” potrebbero presto
cominciare a combattersi apertamente su più fronti per la predominanza del
fronte islamico in Libia.
Perché
l’ISIS è voluto andare in Libia
Il mese scorso ha cominciato a circolare
tra i sostenitori dell’ISIS un breve documento intitolato: «Libia: una porta strategica d’accesso per lo Stato Islamico». Il documento, diffuso solo in arabo, è
stato tradotto negli ultimi giorni dalla Quilliam Foundation, un rispettato
centro studi britannico che si occupa di anti-terrorismo: è molto utile, dice
la Quilliam Foundation, per capire i motivi che hanno spinto al Baghdadi a
occuparsi della Libia. Per quanto interessante il suo contenuto deve essere preso
con le molle, visto che si tratta di un documento di propaganda finalizzato a
convincere più miliziani possibile a unirsi all’ISIS in Libia. Nel documento si
dice per esempio che sviluppare la provincia libica dell’ISIS potrebbe portare
ad alleggerire la pressione internazionale sul Califfato in Siria e in Iraq, e
si parla dell’enorme quantità di armi facilmente recuperabile in territorio
libico (la Libia è piena di armi dalla caduta di Gheddafi). Il documento si
sofferma anche sull’importanza della posizione della Libia nella regione del
Maghreb: la Libia confina con la Tunisia, Algeria, Niger, Ciad, Egitto e Sudan,
tutti paesi che hanno regole sull’anti-terrorismo molto più rigide di quelle in
vigore in territorio libico. L’ISIS sembra vedere questo scenario come una
possibilità di attirare combattenti stranieri dall’esterno.
Il punto che è stato più ripreso dalla
stampa italiana è però quello riguardante la posizione strategica che ha la
Libia nei confronti dell’Europa meridionale: la Libia, dice il documento, «ha
una costa che si estende per moltissimi chilometri e che guarda agli stati
crociati del sud, che possono essere raggiunti facilmente anche con una barca
rudimentale». Nel documento si cita apertamente la possibilità di compiere
degli attacchi nei paesi europei. Finora, comunque, non c’è alcuna prova che
l’ISIS sia in grado di mettere in pratica azioni di questo genere.
I
bombardamenti e tutto il resto
Dopo la diffusione del video dell’ISIS
della decapitazione dei 21 copti egiziani su una spiaggia della Libia, il
governo egiziano ha cominciato a bombardare le postazioni dell’ISIS a Derna,
nell’est del paese. Gli attacchi aerei sono stati compiuti assieme
all’aviazione libica: nei giorni scorsi si è parlato di decine di miliziani
dell’ISIS uccisi, ma sono numeri non verificati e probabilmente approssimativi.
È difficile dire fin da ora che tipo di conseguenze avranno gli attacchi aerei
libici ed egiziani contro l’ISIS. Come hanno ricordato alcuni giornalisti ed
esperti, è probabile che già nell’estate del 2014 l’Egitto avesse bombardato la
Libia assieme ad alcuni aerei degli Emirati Arabi Uniti: quella volta
l’obiettivo erano le milizie islamiste che stavano combattendo per il controllo
di Tripoli. Non è escluso che nelle operazioni militari cominciate negli ultimi
giorni l’Egitto voglia colpire non solo l’ISIS, ma anche le forze di “Alba
della Libia” o altre milizie islamiste presenti nel paese.
L’Egitto sta chiedendo che in Libia
intervenga una coalizione di forze che includa anche alcuni paesi occidentali.
Ad opporsi a un eventuale intervento armato c’è il governo di Tripoli – quello
controllato dagli islamisti con poco credito internazionale – e il Qatar,
avversario del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi. Come ha scritto il New
York Times: «Gli attacchi di martedì hanno aumentato la possibilità di una
guerra aerea tra le fazioni rivali della Libia e hanno diminuito le speranze di
un accordo appoggiato dalle Nazioni Unite che metta fine alla guerra».
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