Zingaretti e soci, inclusi i giornalisti che si considerano esperti di economia (tra i meno indipendenti della specie giornalistica), farebbero meglio a
leggere questa analisi di Gianfranco Polillo. Il MES “senza condizioni”, al
momento, non esiste. Vi sono contraddizioni e potenziali trappole che se non
disennescate signfiicheranno per l’Italia prenderlo nel sedere.
da: https://www.startmag.it/
- di Gianfranco Polillo
Perché
non è ancora del tutto chiaro se ci saranno o meno condizionalità, oppure se le
condizionalità sono implicite e dunque non cancellabili, nel ricorso al Mes
anche solo per le spese sanitarie anti Covid-19.
Prima del 23 aprile, data in cui si
deciderà del destino europeo, è bene soffermarsi su alcuni aspetti, che
riguardano il modo di funzionare del Mes.
Specie nel momento in cui il Fmi, con le sue previsioni, ipotizza una realtà
drammatica, che non trova precedenti negli ultimi decenni. Con l’Italia che, in
questo disastro annunciato, rischia di sprofondare in un abisso senza
precedenti. Ne deriva che prima rinunciare a prestiti agevolati, come quelli
che il Mes può fornire, è necessaria grande consapevolezza ed un bilancio
accurato circa il bilanciamento dei rischi e dei possibili vantaggi.
Una premessa è d’obbligo. Il prossimo Consiglio europeo discuterà solo
delle possibili modifiche di un istituto che esiste dal 2011. Se anche
decidesse di non toccare la relativa struttura, esso, comunque, rimarrebbe in
vita. Per cui alcune paure sono
senza fondamento. L’Italia, ad esempio, potrà essere chiamata a corrispondere l’intera quota: 125 miliardi, contro i 14 già versati? In teoria: si. Ma solo a seguito di una decisione unanime. Quindi solo con l’accordo del rappresentante italiano. Che, tra l’altro, insieme a Francia e Germania è titolare di un diritto di veto, essendo detentore di una quota superiore al 15 per cento dell’intero capitale. Qualsiasi decisione fosse presa il 23 aprile dai Capi di stato non sposterebbe di una virgola questo problema.
senza fondamento. L’Italia, ad esempio, potrà essere chiamata a corrispondere l’intera quota: 125 miliardi, contro i 14 già versati? In teoria: si. Ma solo a seguito di una decisione unanime. Quindi solo con l’accordo del rappresentante italiano. Che, tra l’altro, insieme a Francia e Germania è titolare di un diritto di veto, essendo detentore di una quota superiore al 15 per cento dell’intero capitale. Qualsiasi decisione fosse presa il 23 aprile dai Capi di stato non sposterebbe di una virgola questo problema.
Ciò chiarito, si tratta di valutare, con
maggiore attenzione, il nuovo programma che dovrà essere oggetto di scrutinio
nella nuova riunione. Programma che anche nel nome – Pandemic Crisis Support – evoca le novità intervenute, che hanno
con le regole passate un rapporto non lineare. Secondo la nuova formula, le
linee di credito saranno “standard”, definite in precedenza dagli organi
direttivi del Mes. “L’unico requisito per accedere alla linea di credito – è
poi precisato – sarà che gli Stati membri dell’area dell’euro che richiedono il
sostegno si impegnino a utilizzare questa linea di credito per sostenere il finanziamento interno dei
costi diretti e indiretti dell’assistenza sanitaria, delle cure e della
prevenzione dovuti alla crisi COVID 19”.
La coda
del diavolo rischia di essere nei dettagli. Il Mes opera, fin dall’inizio, secondo due distinte procedure: la
linea di credito condizionale precauzionale (Precautionary Conditioned Credit Line, PCCL), riservata ai Paesi che rispettano le prescrizioni del
Patto di stabilità e crescita, che non presentano squilibri macroeconomici
eccessivi e che non hanno problemi di stabilità finanziaria, e la linea di credito soggetta a condizioni rafforzate
(Enhanced Conditions Credit Line, ECCL), destinata ai paesi che non rispettano
pienamente i suddetti criteri, ai quali pertanto vengono richieste misure correttive.
Il Pandemic
Crisis Support opera sotto l’egida dell’ECCL. In altre parole, come specificato
nell’annex III la linea di credito è
concessa a quei Paesi che non rispettano i parametri di Maastricht, ma “la cui
situazione economica rimane solida ed il debito pubblico sostenibile”. In
questo caso il richiedente deve sottoscrive un Memorandum of Understanding, in cui sono definiti gli impegni che
dovranno essere assunti per correggere sia gli squilibri finanziari che quelli
macroeconomici. Obbligo che è in
evidente contraddizione con la nuova e specifica procedura che prevede, al
contrario, “condizioni standardizzate concordate in anticipo dagli organi
direttivi del MES”. Un aspetto, quindi, che andrà chiarito.
Si dovrebbe, pertanto, specificare, in modo
chiaro, che l’annex III non si
applica nell’ambito del Pandemic Crisis
Support, onde evitare qualsiasi equivoco. Tanto più che “in seguito, gli
Stati membri dell’area dell’euro – come reca lo stesso accordo – rimarranno
impegnati a rafforzare i fondamentali economici e finanziari, in linea con i
quadri di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale dell’UE, compresa
l’eventuale flessibilità applicata dalle istituzioni UE competenti”. Ed allora
è perfettamente inutile fare riferimento ad altre condizioni. Anche perché è
utile mantenere il riferimento alla ECCL, con le modifiche proposte.
A quest’ultima, infatti, è legata la
possibilità di far ricorso all’introduzione del backstop, originariamente
previsto per la fine del 2013, al Fondo di risoluzione per le banche. In caso
di crisi, onde evitare effetti di contagio, è previsto un meccanismo di
salvaguardia rappreesentato appunto dal Fondo di risoluzione, che può
intervenire ricapitalizzando l’Istituto di credito in difficoltà. Le risorse
del Fondo sono date dai versamenti di tutte le banche dell’area dell’euro
secondo un programma che sarà completato entro il 2024 e che porterà lo stesso
a disporre di risorse per circa 6 miliardi (l’1 per cento dei depositi
dell’area dell’euro). Con il backstop è data la possibilità alla BCE di poter
intervenire, nel caso i cui i fondi disponibili fossero insufficienti.
Si apre così la strada “al ruolo della Bce
come prestatore in ultima istanza di un governo in difficoltà per la pandemia”
come suggerisce Federico Fubini dalle pagine de Il Corriere della sera?
Dipenderà se si potrà dimostrare – impresa ardua – ch’esso possa essere
rubricato tra “costi indiretti dell’assistenza sanitaria, delle cure e della
prevenzione dovuti alla crisi COVID 19”. Comunque sia il problema sarà quello di capire in che modo queste diverse vie tra
loro si incrociano ed a vantaggio di chi si stanno, effettivamente,
approntando le nuove regole. Permangono,
infatti, ambiguità e contraddizioni che vanno risolte. Ma questo non può
significare buttare il bambino insieme all’acqua sporca. Per non doversi, in
futuro, rammaricare.
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