da: https://www.scienzainrete.it/ - di Nancy Binkin, Federica Michieletto, Stefania Salmaso, Francesca Russo
Con l'invecchiamento della popolazione
italiana e l'aumento dei costi sanitari, negli ultimi due decenni i
finanziamenti e il personale dei programmi regionali di sanità pubblica sono
diminuiti. L'entità del declino è stata diversa da una regione all'altra e si
sono osservate crescenti divergenze tra le regioni per quanto riguarda l'enfasi
relativa sulla sanità pubblica o sui servizi di cura. In collaborazione con il
settore privato, alcune regioni, tra cui la Lombardia, hanno creato una vasta
rete di servizi clinici e ospedalieri, ma hanno diminuito i finanziamenti per
le attività di sanità pubblica e i laboratori pubblici. Altre, come il Veneto,
hanno continuato a sostenere una forte rete di sanità pubblica con il
coinvolgimento della comunità.
La risposta alla pandemia in queste due
regioni del Nord Italia, che hanno avuto focolai iniziali quasi simultanei,
riflette queste differenze. L'organizzazione dei servizi sanitari in Lombardia
e in Veneto, insieme ad altri fattori, ha influenzato gli approcci adottati
nelle prime, critiche, settimane. La Lombardia, infatti, ha scelto un approccio
che si è basato principalmente sulla sua rete di servizi clinici, mentre il
Veneto ha attuato una vasta strategia comunitaria che si è basata su una più
solida rete sanitaria pubblica e sull'integrazione locale dei servizi.
Abbiamo quindi messo a confronto i
risultati nella gestione dell’epidemia in Lombardia e in Veneto nel periodo
compreso tra il 24 febbraio e il primo aprile. Per farlo abbiamo ricavato i
dati per il numeratore e il denominatore dalle fonti pubbliche italiane e
calcolato le percentuali dei test effettuati su 1000, il numero dei casi su
100.000 (complessivi e per gli operatori sanitari), i decessi per 100.000, e la
percentuale di casi ricoverati negli ospedali e nei reparti di terapia
intensiva.
Caratteristiche
demografiche e del sistema sanitario della Lombardia e del Veneto
La Lombardia ha una densità di popolazione
più elevata rispetto al Veneto (420 abitanti per km quadrato, contro 270) e un
prodotto interno lordo più elevato (34.221 euro, contro i 29.516 del Veneto nel
2016). Tuttavia, tutti gli 11 indicatori di benessere, compresa la salute,
dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) sono
praticamente identici nelle due regioni, così come l'età media (45,9 contro
45,4 anni) e l'aspettativa di vita (84 anni per entrambe). Le due regioni hanno
aeroporti internazionali, sono fortemente coinvolte nel commercio
internazionale e sono destinazioni turistiche e quindi hanno probabilmente
rischi simili di esposizione ad agenti patogeni importati.
Anche il numero di posti letto ospedalieri
per acuti su 1000 è praticamente identico (3,05 in Lombardia contro 3,01 in
Veneto), mentre il numero di adulti per medico di base è leggermente superiore
in Lombardia (1.400) rispetto al Veneto (1.342). Anche la spesa sanitaria pro capite
è simile.
Nel settore della sanità pubblica, invece,
le differenze sono molto maggiori: in Lombardia ci sono tre laboratori di
sanità pubblica (circa 1 ogni 3 milioni di abitanti) mentre in Veneto sono 10
(circa 1 ogni 500.000persone). In Lombardia ci sono 8 dipartimenti di
prevenzione sanitaria pubblica (1 ogni 1,2 milioni) contro i 9 del Veneto (1
ogni 500mila persone).
L'assistenza domiciliare è più diffusa in
Veneto che in Lombardia, come dimostra la partecipazione all'Assistenza
Domiciliare Integrata che fornisce servizi domiciliari ad anziani, disabili e
persone con patologie croniche. Nel 2017, l'anno più recente per il quale sono
disponibili i dati, il programma ha servito 3,5 persone ogni 100.000 in Veneto,
contro meno della metà della Lombardia: 1,4/100.000.
L'approccio
in Lombardia
Il primo caso in Lombardia è stato
individuato il 20 febbraio a Codogno, un comune di 15.000 abitanti, che è stato
messo in isolamento dal governo nazionale il 24 febbraio. Nell'arco di 7
giorni, dal 24 febbraio al 2 marzo, il numero di casi in Lombardia è aumentato
di 6,5 volte, passando da 166 a 1077 (da 1,6 a 12/100.000 abitanti). All'inizio
sono stati identificati rapidamente tre focolai.
Gli sforzi iniziali del sistema sanitario
regionale si sono concentrati su tre obiettivi primari: la raccolta di dati per
comprendere l'epidemiologia e modellizzare l’intervento, il potenziamento della
capacità diagnostica e la promozione dell'assistenza ospedaliera. Ci si è
sforzati anche di mettere in isolamento e rintracciare i contatti. Inoltre, è
stata potenziata la forte rete regionale di terapia intensiva esistente. Sono
state emanate linee guida per i medici di base per quanto riguarda la diagnosi,
i test e il rinvio agli ospedali. La ricerca di infezioni è stata focalizzata
sulle persone con sintomi (come da raccomandazione nazionale), la ricerca di
contatti, i test a domicilio, l'assistenza e gli sforzi di follow-up sono stati
ostacolati dalla rapida esplosione del numero di casi.
Nel conseguente approccio incentrato sul
paziente, i medici, le cliniche ambulatoriali e i pronto soccorso sono stati in
prima linea durante la pandemia. In assenza di altre opzioni, i pazienti sono
stati inviati in ospedale, sovraccaricando le risorse umane e i letti esistenti
e diluendo inevitabilmente la qualità delle cure. Sono stati identificati
centri COVID-19 dedicati, ma a causa dell'enorme numero di casi, la
segregazione degli ospedali si è rivelata impossibile. I centri di
convalescenza per coloro che non avevano bisogno di cure acute, ma che avevano
bisogno di un monitoraggio continuo non erano disponibili fino a settimane dopo
l'inizio dell'epidemia.
L’approccio
in Veneto
In Veneto i primi casi sono avvenuti a Vò
Euganeo, un villaggio rurale di 3000 persone, il 20 febbraio. Come Codogno, la
zona è stata messa in isolamento il 24 febbraio. Tra il 24 febbraio e il 2
marzo i casi in Veneto sono aumentati di 8,5 volte, passando da 32 a 271 (da
0,6/100.000 a 5/100.000).
Le autorità sanitarie del Veneto hanno
individuato ospedali e convalescenziari destinati a occuparsi dei casi di
COVID-19, hanno raddoppiato la capacità di terapia intensiva della regione e
hanno ottenuto un numero adeguato di ventilatori. Hanno gradualmente trasferito
i pazienti non COVID-19 dagli ospedali riservati all’epidemia verso gli
ospedali di comunità più piccoli, riservati ai pazienti non COVID-19. Oltre a
rafforzare la capacità di assistenza ai pazienti, tuttavia, sono state
sviluppate e attuate anche misure di salute pubblica efficaci.
L’autorità sanitaria regionale (in
coordinamento con i responsabili locali) ha attuato una strategia articolata
sul territorio, che ha incluso un'ampia tracciatura dei contatti, test rapidi
dei casi e della rete estesa dei contatti, quarantena e isolamento
supervisionati, minimizzazione dei contatti tra operatori sanitari e il
pubblico, sistemi informatici per una comunicazione rapida sulla diagnosi e la
gestione dei casi e per il monitoraggio della disponibilità dei letti. Tutte le
attività non essenziali per la salute pubblica sono state velocemente sospese
ed è stata mobilitata una forza di oltre 750 operatori sanitari pubblici in
tutta la regione.
Il confronto tra i due approcci è riassunto
nella seguente tabella.
Che
cosa ha fatto la differenza?
Anche se è troppo presto per giudicare il
successo finale della risposta, l'approccio veneto basato sulla comunità sembra
aver ridotto un'ampia gamma di esiti negativi. In Veneto, il tasso di casi, il
tasso di mortalità e le infezioni degli operatori sanitari sono stati
notevolmente inferiori rispetto alla Lombardia, nonostante gli sforzi
coraggiosi e generosi dei tanti operatori dedicati per attivare e potenziare la
loro vasta rete di assistenza centrata sul paziente.
Le differenze nella densità della
popolazione e nei fattori sociali, così come il maggior numero di casi iniziali
in Lombardia e il maggior numero di focolai iniziali, possono aver avuto un
ruolo negli esiti. Tuttavia, l'organizzazione del sistema sanitario e la
solidità dell'infrastruttura sanitaria pubblica sembrano aver avuto un ruolo
importante nelle differenze di esiti finora osservate tra Lombardia e Veneto.
Come affermato dai medici di uno degli ospedali più colpiti in Lombardia:
"i sistemi sanitari occidentali sono stati costruiti intorno al concetto
di assistenza centrata sul paziente, ma un'epidemia richiede un cambiamento di
prospettiva verso un concetto di assistenza centrata sulla comunità".
La maggiore integrazione dei servizi
sanitari e ospedalieri del Veneto a livello locale e la presenza di una forte
infrastruttura sanitaria pubblica hanno favorito l'implementazione di un
iniziale approccio comunitario, che si basava su solidi principi
epidemiologici: test a tappeto, tracciamento dei contatti e limitazione del
contatto con le strutture sanitarie, ove possibile attraverso team diagnostici
mobili e un attento monitoraggio a domicilio. Il tutto facilitato da una rapida
comunicazione attraverso un sistema informatico che collegava il laboratorio, i
medici di base e le unità sanitarie pubbliche locali.
I test precoci ed estesi per diagnosticare
COVID-19 nelle persone sospettate di contagio e nei loro contatti hanno
probabilmente giocato un ruolo critico nella traiettoria e negli esiti del
Veneto. Nella prima settimana, in Veneto il numero di accertamenti virologici,
rispetto alla popolazione presente è stato di 2,7 volte superiore a quello
della Lombardia, cosa che potrebbe aver fatto la differenza nel limitare
l'iniziale diffusione. Inoltre, anche la definizione più ampia di “contatto”,
che includeva la famiglia allargata, il lavoro e i contatti più occasionali, e
la successiva verifica e l'isolamento di questi individui, hanno probabilmente
contribuito in modo significativo alla riduzione precoce della diffusione di
Sars-CoV-2.
L'approccio veneto di proteggere i medici
di medicina generale nella comunità, privilegiando le visite telefoniche
piuttosto che quelle di persona e utilizzando un'équipe sanitaria pubblica
mobile per ottenere campioni e valutare le condizioni dei pazienti in
monitoraggio domiciliare, sembra avere consentito alla regione di poter proteggere
la salute dei professionisti e contribuito a limitare il loro ruolo
nell'amplificazione della diffusione del virus nella comunità.
Gli ambulatori dei medici di medicina
generale concentrano le persone anziane e quelle con condizioni di salute
croniche. Anche se non è possibile dimostrare la trasmissione da parte dei
medici di medicina generale ai loro pazienti, è evidente che molti medici in
Lombardia sono stati infettati. Sulla base dei dati dell'anagrafe dei decessi
correlati al COVID-19 tra i medici, realizzata dall'associazione nazionale dei
medici e riportata in un registro internazionale, 17 medici elencati come MMG
nella regione Lombardia sono deceduti al 1° aprile 2020, rispetto a zero in
Veneto.
Gli
ospedali come fattori di diffusione
La trasmissione nosocomiale sembra aver
avuto un ruolo importante in Lombardia. Gli sforzi per tenere i pazienti di
COVID-19 lontani dalle strutture sanitarie nel processo di diagnosi e fornire
un follow-up a domicilio per i pazienti, laddove possibile, sembrano aver
ridotto in Veneto il rischio di infezione per gli operatori sanitari. Qui,
infatti, dove solo un quarto dei diagnosticati sono stati ricoverati in
ospedale, meno del 5% dei casi riguarda gli operatori sanitari. In Lombardia,
dove oltre la metà dei casi diagnosticati è stata ricoverata in ospedale, il
valore corrispondente è stato del 14%. In Veneto, il tasso di infezione nel
personale sanitario è stato quasi quattro volte superiore a quello del resto
della popolazione, suggerendo chiaramente che si stava verificando una
trasmissione nosocomiale, ma è stato molto più basso rispetto alla Lombardia,
dove gli operatori sanitari avevano 19 volte più probabilità di essere
infettati rispetto alla popolazione generale.
La natura esplosiva dell'epidemia in Lombardia
ha rapidamente travolto gli sforzi iniziali per mantenere separate le strutture
COVID-19, e si è reso necessario ricoverare le persone contagiate in ospedali
che contenevano pazienti non COVID. Al contrario, la presenza di strutture
dedicate a COVID-19 in Veneto nelle prime settimane dell'epidemia, che ha
comportato il trasferimento di pazienti non soggetti a COVID in altre strutture
per consentire la creazione di ospedali e centri di convalescenza specifici,
può a sua volta aver contribuito a limitare l'infezione degli operatori
sanitari e la diffusione nella comunità di pazienti vulnerabili non soggetti a
COVID e dei loro visitatori. Questa strategia ha anche permesso agli operatori
sanitari esposti di utilizzare in modo più efficiente ed efficace gli scarsi
dispositivi di protezione individuale (DPI).
Inoltre, è stata documentata una forte
contaminazione ambientale nei luoghi in cui vengono fornite cure ai pazienti
COVID-19 e il mantenimento di una protezione adeguata a prevenire la
trasmissione a pazienti non infetti può essere particolarmente difficile in
ospedali sovraccarichi che hanno limitate forniture di DPI.
L'approccio basato sulla comunità in Veneto
sembra essere associato a tassi di casi, ricoveri, decessi e infezioni negli
operatori sanitari sostanzialmente ridotti rispetto all'approccio incentrato
sul paziente in Lombardia. Certamente il nostro è uno studio osservazionale
basato sull'esperienza di due sole regioni e, a causa di questa sua natura, è
difficile trarre relazioni causali incontestabili. La Lombardia ha sperimentato
una più rapida esplosione iniziale di casi, e se l'esordio fosse stato più
lento, ci sarebbe stato, probabilmente, il tempo di organizzare e attuare più
misure di salute pubblica per ridurre la trasmissione nella comunità.
Le nostre osservazioni suggeriscono,
tuttavia, che l'impatto di COVID-19 può essere ridotto attraverso un forte ed
esteso sforzo di sanità pubblica per confermare e isolare i casi e i contatti
in modo tempestivo e per ridurre al minimo i contatti non necessari tra gli
operatori sanitari e le persone contagiate attraverso test e un follow-up
proattivo realizzati a domicilio. La descrizione dell’inizio dell’ondata
epidemica e dei fattori associati alle sue dimensioni e dinamiche è importante
per l’organizzazione delle capacità di sorveglianza e controllo nella fase in
cui l’isolamento generalizzato, introdotto in Italia dal 12 marzo, verrà
allentato. Imparare rapidamente dall’esperienza recente sarà cruciale.
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