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La messa
è così importante per i cattolici?
La
risposta breve è sì, ma non tutti la pensano come la CEI
Da due giorni alcuni pezzi della Chiesa
cattolica criticano il governo per non avere incluso la messa, cioè la
principale celebrazione cattolica, fra le attività che potranno riprendere dopo
il 4 maggio, giorno in cui si allenteranno alcune delle restrizioni per il
coronavirus. La Conferenza Episcopale Italiana (CEI), l’assemblea permanente
dei vescovi, ha diffuso un duro comunicato dicendo che «esige» di «poter
riprendere la sua azione pastorale», perché vede «compromesso» l’esercizio
della libertà di culto. Il governo ha risposto che nei prossimi giorni dovrebbe
emanare un «protocollo» per riprendere a celebrare le messe «in sicurezza».
In molti, soprattutto fra i non cattolici,
si sono chiesti se la messa sia davvero così necessaria a fronte di una emergenza
sanitaria mondiale, e più in generale se sia così centrale nella dottrina. La
risposta breve è sì, ma le cose sono più complicate di così.
La tradizione di celebrare un nuovo rito
nacque nei decenni successivi alla morte di Gesù Cristo, e prendeva spunto da
elementi presenti nella religione ebraica e in alcune tradizioni pagane diffuse
in Medio Oriente. I momenti fondamentali erano due, rintracciabili ancora
oggi: la lettura e preghiera collettiva di testi sacri e il pasto. Il momento più importante del pasto era quello dell’Eucarestia, che in greco antico significa riconoscenza, e replicava un importante episodio raccontato nei Vangeli.
oggi: la lettura e preghiera collettiva di testi sacri e il pasto. Il momento più importante del pasto era quello dell’Eucarestia, che in greco antico significa riconoscenza, e replicava un importante episodio raccontato nei Vangeli.
Nell’ultima cena prima della crocifissione,
si racconta che Gesù Cristo diede da mangiare ai propri seguaci pane e vino,
dicendo loro che avevano lo stesso valore del suo corpo e del suo sangue. I
cristiani hanno continuato a replicare quel gesto – mangiare pane e bere vino –
convinti che Gesù Cristo fosse presente nei cibi che stavano consumando.
I cristiani cattolici credono quindi che
nel pezzo di pane secco (“particola”) che mangiano a messa durante il momento
dell’Eucarestia – detta anche “comunione” – sia presente Gesù Cristo: è il
concetto di transubstanziazione, rifiutato invece dalla maggior parte delle
Chiese protestanti, ed è uno dei sacramenti più importanti.
Attorno al quarto secolo d.C. il pasto
scomparve e l’Eucarestia venne definitivamente accorpata al momento della
lettura dei testi sacri e della preghiera. Durante il Medioevo, con
l’espansione dell’autorità del clero, lo spazio di partecipazione dei fedeli si
restrinse sempre di più, finché la messa recitata dal sacerdote e quella dei
fedeli diventarono due entità separate. Fino al Novecento i sacerdoti
pronunciavano la messa in latino, una lingua sconosciuta alla gran parte delle
persone, e celebravano a bassa voce dando le spalle ai fedeli. La messa come la
conosciamo oggi, più aperta e partecipata, è frutto di una riforma decisa nel
1963 dal Concilio Vaticano II, il più importante congresso riformatore tenuto
dalla Chiesa negli ultimi secoli.
Nonostante le varie modifiche alla
struttura e alla “liturgia” – cioè l’insieme di formule e cerimonie che vengono
celebrate da sacerdote e fedeli – il centro della messa è sempre rimasto
l’Eucarestia, tanto che simbolicamente la particola può essere consegnata ai
fedeli soltanto dal sacerdote oppure da alcune persone particolarmente legate
alla Chiesa. Secondo il Concilio Vaticano II l’Eucarestia è «fonte e culmine di
tutta la vita cristiana» perché mangiando la particola i cattolici credono di
incorporare Gesù Cristo, cioè Dio.
Per queste ragioni si può comprendere
perché i cattolici più osservanti soffrano l’assenza delle messe, e quindi
dell’Eucarestia. Poi c’è anche la dimensione comunitaria: per molte persone
andare a messa significa banalmente incontrare amici e conoscenti, fare quattro
chiacchiere, portare avanti una vita di comunità.
Non tutti però, soprattutto negli ambienti
cattolici più progressisti, concordano con il modo con cui la Chiesa cattolica italiana
ha chiesto con forza di tornare a celebrare le messe.
Don
Cristiano Mauri, cappellano dell’Università Bicocca di Milano, ha
pubblicato un lungo post per prendere le distanze dal comunicato della CEI.
Mauri ha criticato soprattutto il fatto che la CEI abbia tirato in ballo la
libertà di culto: «A nessun italiano è proibito di manifestare pubblicamente la
propria fede. […] Oltretutto, denunciare una aggressione alla libertà di culto
è irrispettoso verso coloro che nel mondo realmente non ne godono». In Italia,
per esempio, esistono pochissime moschee per un milione e 500mila fedeli
musulmani, speso costretti a celebrare i loro riti in capannoni e scantinati.
Milano non ne ha nessuna, per fare l’esempio più eclatante, a causa delle
politiche del centrodestra in comune (quando governava) e in regione.
Mauri ha aggiunto che i vescovi italiani
sbagliano quando sostengono che riprendere le messe equivalga a «riprendere
l’azione pastorale»: «l’azione pastorale non si è mai interrotta, anzi, per
certi versi si è perfino potenziata e molti, tra l’altro, si sono trovati a
inventare modalità che difficilmente avrebbero considerato». Mauri si riferisce
probabilmente alla celebrazione di messe o preghiere in streaming, ai rapporti
che sacerdoti e altri uomini della chiesa stanno cercando di mantenere con i
parrocchiani, e alle varie attività di solidarietà portate avanti da singole
chiese o diocesi.
Più in generale, Mauri scrive che «il culto cristiano, grazie a Dio, è ben più
dell’Eucaristia e questo va detto con chiarezza, pur preservando l’importanza
di quest’ultima».
La
Messa non è l’unica risposta ai “bisogni spirituali” dei credenti. Chi lo
sostiene dimostra una visione di Chiesa e di vita cristiana estremamente
limitata e riduttiva. Perché, altrimenti, tutti i discorsi che si fanno a chi
non può ricevere l’Eucaristia, dove finiscono?
È
vero che manca molto il poterci radunare a pregare insieme, ma si tratta di una
situazione temporanea. In queste settimane credo si sia davvero visto che il
culto cristiano non è solo l’Eucaristia e negarlo o comunque spazzarlo via con
un comunicato così è disperdere un patrimonio.
Secondo questa lettura, negli ultimi
decenni la Chiesa cattolica italiana ha puntato moltissimo sull’importanza
della messa e dell’Eucarestia – quindi su una dimensione associativa della fede
– trascurando per esempio di fornire ai fedeli i rudimenti per leggere in
maniera autonoma la Bibbia. Il fatto che per celebrare una messa e dare
l’Eucarestia sia necessaria la presenza di un sacerdote, inoltre, limita
moltissimo il coinvolgimento e la partecipazione dei fedeli laici nella
gestione dei riti.
Secondo alcuni, avere insistito sulla messa
come rito associativo senza possibilità di coinvolgere i fedeli in maniera più
partecipata è una delle ragioni per cui un po’ in tutta Italia le messe sono
sempre meno frequentate.
Enzo
Bianchi, teologo e fondatore della comunità monastica di Bose
(in provincia di Biella), ha scritto di recente che quando assiste a certe
messe «l’impressione che vivo è quella di “assistere”, non di parteciparvi
realmente, quale parte di un’assemblea celebrante presieduta da un presbitero.
Tutti sono spettatori passivi di un’azione dalla quale si è di fatto esclusi,
testimoni di un cerimoniale ripetitivo e poco convinto». Bianchi auspica anche
che nei prossimi anni la Chiesa avvii un totale ripensamento della messa:
«Siamo
davvero convinti che qualche ritocco della traduzione del Messale (del quale
sta per uscire in Italia la terza edizione) sarà sufficiente affinché risuoni
nella celebrazione una “lingua viva”, che per essere tale abbisogna di
creazione, invenzione, trasformazione, riformulazione, dialogo […]? Non si
tratta di invocare una creatività selvaggia e anarchica, ma perché continuare a
ripetere formule nate nel primo millennio? Perché mantenere immagini di Dio che
non corrispondono più alla nostra fede attuale?»
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