da: Corriere della Sera - di Federico Fubini
Il linguaggio spesso convoluto della
diplomazia europea definisce accordi come quelli di ieri sera all’Eurogruppo,
il club dei ministri finanziari dell’euro, come un esempio di «ambiguità
costruttiva». Significa che tutti sono in grado di sostenere di aver ottenuto
un piccolo pezzo del trofeo della vittoria ed esso non appartiene per intero a
nessuno. Purtroppo la vittoria per il momento in Europa arride a un organismo
circa 600 volte più piccolo del diametro di un capello, SARS-CoV-2, ma proprio
per questo è il caso di provare a spiegare quali sono le difese comuni che sul
piano delle politiche economiche e di bilancio l’Unione europea e in
particolare la zona euro stanno provando a mettere sul terreno. Con i loro
indubbi limiti, gli spiragli di qualcosa di più e i potenziali punti di forza.
Il
linguaggio
Innanzitutto le definizioni, che nel gergo
europeo sono importanti. Il comunicato
dell’Eurogruppo parla di «sfida senza precedenti come conseguenze
socio-economiche molto gravi». Per questo i ministri, ripetendo alla
lettera le parole usate per prima da Angela Merkel, si dicono «impegnati a fare
tutto il necessario» (ai tempi di Mario Draghi, in un grado di rassicurazione
impercettibilmente più alto, la Banca centrale europea si disse impegnata a
fare «qualunque cosa serve»). C’è poi anche un riconoscimento che nessun Paese
è al sicuro se altri cadono in una depressione e in una grave crisi finanziaria
a seguito della pandemia: i ministri prendono «in conto gli effetti di
spill-over (sconfinamento degli impatti economico-finanziari, ndr) e e dei
legami reciproci fra le nostre economie».
La
sostanza
L’importante è però la sostanza, oltre a quel 3% di spesa discrezionale
che (sostiene l’Eurogruppo, vedremo presto quanto sarà vero) i diversi governi
hanno già approvato. Ed è sulla sostanza che l’accordo di giovedì notte è
simile soprattutto a un macigno rimosso lungo una strada che resta in salita,
piena di buche e trappole.
Gli
aspetti fondamentali dell’accordo
Eccone gli aspetti fondamentali. Nel
complesso abbastanza poco rilevante, non certo per colpa dei banchieri della
Banca europea degli investimenti, è l’idea di costituire un nuovo fondo di
garanzia da 25 miliardi per credito addizionale per 200 miliardi nell’Unione
europea. Ma le somme sono quasi irrilevanti da un punto di vista macroeconomico
per le dimensioni dell’economia europea.
Il
supporto Mes
Si viene poi a uno dei punti più
controversi: la creazione di una sotto-linea di credito del Meccanismo europeo
di stabilità all’interno delle linee di credito “precauzionali” esistenti. Si
chiama “Pandemic Crisis Support” e sarà limitata per ogni Paese a somme non
superiori al 2% del suo prodotto lordo del 2019: per l’Italia, che però ha già
dichiarato di non essere interessata, sarebbero circa 36 miliardi di euro.
Il nodo naturalmente sono le condizioni di
riforme, risanamento o vigilanza alle quali sarebbe sottoposto l’accesso a
questa linea di credito e qui il linguaggio dell’Eurogruppo a fatica copre con
un velo pudico il profondo disaccordo fra due fronti che vedono l’Italia e
l’Olanda alle due estreme. L’assenza di condizioni macroeconomiche varrà solo
se la spesa riguarda “il finanziamento diretto e indiretto della sanità, della
cura e della prevenzione collegate ai costi della crisi Covid-19”.
In sostanza, se il denaro fosse speso per
politiche di bilancio diverse, allora il Paese che lo prende in prestito dal
Mes dovrebbe sottoporsi ai meccanismi di un programma tradizionale. Anche nella
sua forma legata al coronavirus – si ricorda – varranno comunque «i termini
standard concordati in anticipo dagli organi di governo del Mes» (cioè il
Consiglio composto dagli Stati azionisti, che dunque mantengono un diritto di
intervento).
In compenso però, sempre che il programma
resti limitato alle spese sanitarie, l’analisi di sostenibilità del debito (che
in altri casi potrebbe aprire le porte a condizioni severe o alla richiesta di
un default pilotato dello Stato in crisi) sembra quasi automatica e solo
preliminare («sulla base di valutazioni ‘up-front’ da parte delle istituzioni
europee», si legge nel comunicato).
I
programmi
Nel complesso il tema del Mes lascia
intuire due aspetti.
- Il primo è la sua irrilevanza per Paesi
come l’Italia o la Spagna, almeno finché le politiche di acquisti di titoli di
Stato da parte della Banca centrale europea faranno sì che l’accesso al mercato
per i governi più in difficoltà resti facile e a basso costo. Di fatto oggi la
Bce ha già sostituito il Mes, a condizioni infinitamente migliori per l’Italia.
- L’altro aspetto è che proprio il
«Quantitative Easing» della Bce, le politiche di acquisto generalizzato e
flessibile di titoli di Stato, hanno di fatto reso irrilevante per ora anche
programmi ad hoc per i singoli Stati. Dopo il «whatever it takes» di Mario
Draghi del 2012, si decise che un Paese avrebbe potuto avere accesso agli
acquisti illimitati della Bce con le Outright Monetary Transactions solo se
avesse sottoscritto un programma del Mes. Ora questi nuovi programmi “leggeri”
del Mes non sembrano sufficienti a dare accesso a quegli interventi della Bce
disegnati nel 2012. Ma il nuovo interventismo della banca centrale per ora ha
rimosso questo problema.
Il
fondo per la ripresa
Resta poi il nodo fondamentale
dell’Eurogruppo di giovedì notte, quello del «Recovery Fund» chiesto da
Francia, Italia e Spagna. In realtà è l’unica e ultima speranza perché la
risposta europea alla crisi da Covid-19 macroeconomicamente rilevante, dato che
il fondo «Sure» da 100 miliardi di euro per 27 Paesi non lo è. L’Eurogruppo
dichiara che l’iniziativa di quel fondo per la ripresa dovrà essere
“temporanea, mirata”, ma anche “commisurata ai costi straordinari della crisi
attuale”. Dunque, anche se nel comunicato mancano cifre, dovrà essere un fondo
che raccoglie sul mercato almeno 500 miliardi di euro a fronte di una crisi che
sta distruggendo almeno mille miliardi di reddito nell’area euro.
L’Eurogruppo parla di “strumenti finanziari
innovativi, coerenti con i Trattati europei” e accenna a legare questo fondo al
bilancio europeo. Ma quest’ultimo entrerà a regime nel nuovo ciclo solo nel
2021, troppo tardi.
Quindi i capi di Stato e di governo, non i
ministri finanziari, dovranno negoziare per trovare almeno una soluzione-ponte
per permettere al nuovo Fondo di raccogliere risorse sui mercati da
quest’estate.
Con ogni probabilità le emissioni saranno
fatte dal Mes o, più facile ancora, dalla Banca europea degli investimenti.
Significa che il debito sarà raccolto in comune fuori dai bilanci dei singoli
Stati, i quali però ne resteranno responsabili diretti ciascuno per la propria
quota di finanziamento.
Nessun commento:
Posta un commento