da: https://www.glistatigenerali.com/ - di Jacopo Tondelli
Dal 5 aprile, in Lombardia, è obbligatorio
uscire con la mascherina. Per la verità – scrivono nell’ordinanza – “in
subordine”, visto che di mascherine non ce ne sono e c’è scritto fuori da ogni
farmacia, vanno bene anche la bocca e gli occhi coperti alla meglio. Anche con
un foulard o una sciarpa, dicono testualmente. Non ci fossero 25 gradi, sempre
oggi, farebbe quasi ridere.
A
non far ridere, ma proprio per niente, è però un’altra coincidenza. Sempre
oggi (5 aprile), su Repubblica, esce
un’importante inchiesta giornalistica,
firmata da Gad Lerner, che riguarda diverse decine di morti – l’articolo
parla di 70 accertate, ma lascia
intendere che possono essere di più – al Pio
Albergo Trivulzio, la storica Baggina, casa di riposo per antonomasia dei
milanesi. La storia merita di essere letta per intero, ma qui ne sintetizziamo
gli elementi salienti: ai primi di marzo
un geriatra di chiara fama, il professore Luigi Bergamaschini, subisce un procedimento di esonero, reo di aver
richiesto (in realtà solo permesso) per tutto il personale medico e
infermieristico che opera al Trivulzio di indossare
le mascherine. Gli dicono che mascherine non ce ne sono, ad arrabbiarsi “su tutte le furie” con lui
è Giuseppe Calicchio, dg del Pio Albergo, legato all’assessore Stefano
Bolognini, salviniano di stretta osservanza, che sarebbe anche l’uomo
scelto dal Capitano per la sfida di Milano nel 2021. Solo che adesso dovrà
vedersela col collega di giunta Gallera:
quando si dice “l’imbarazzo” della
scelta.
Il professor
Bergamaschini viene giubilato, con mail, nero su bianco, e poi reintegrato per
evitare una causa minacciata dalla Statale di Milano, spiega Lerner. Ma intanto i morti si contano a decine, anche se i tamponi positivi sono poche
unità. Fatto sta che oggi il
Trivulzio è blindato, interi reparti isolati e, senza fare un plissè, le
ultime dichiarazioni pubbliche della direzione generale dell’istituto,
risalenti a qualche giorno fa, sono un autoelogio per la prontezza con cui si è
predisposta la telemedicina in mezzo all’emergenza. Ancora più curiosa una
dichiarazione del 16 marzo, riportata sempre da Repubblica, con Calicchio che
commentava la possibilità dei ricoverati di parlare via Whatsapp coi parenti:
“L’emergenza sanitaria in corso ci ha
spinti ad andare oltre alla cura assistenziale consueta. Per questo abbiamo
pensato a un’alternativa che fosse in grado di mettere totalmente al centro la
sicurezza degli ospiti senza penalizzare il legame con le loro famiglie,
favorendo quel clima familiare che vogliamo sempre garantire, anche e
soprattutto in momenti difficili come questo”.
A colpire, in questa ennesima vicenda, è un’altra coincidenza temporale non
particolarmente piacevole. In quei giorni
di fine febbraio, proprio i giorni in cui Bergamaschini permette le mascherine
e per questo viene licenziato, il
presidente lombardo Attilio Fontana posta l’ormai celeberrimo video della
mascherina. Sono i giorni della
mancata zona rossa di Bergamo, quella che la Lombardia imputa al governo,
dal governo lasciano intendere che tutta questa volontà non la mostravano
neanche a Milano (che in quei giorni peraltro “non si fermava”, assieme a
Bergamo, e senza che nessuno però dicesse beh) e l’unica certezza è la netta contrarietà di Confindustria
Lombardia. Altra vicenda su cui bisognerà fare chiarezza, è davvero
distribuire in maniera precisa le responsabilità politiche, giuridiche e
morali. Come bisognerà fare chiarezza sulle dichiarazione di Angelo Giupponi, dirigente della sanità
bergamasca, che dall’assessorato di
Gallera, cui chiedeva con urgenza di istituire reparti per soli pazienti
Covid, ha spiegato di essersi sentito
dire: “non abbiamo tempo per le tue cazzate”. La notizia è stata riportata
da Internazionale in un’accurata ricostruzione, nei giorni scorsi. Come,
ancora, bisognerà capire come è stato possibile che l’8 marzo, la Regione di
Fontana chiede alle RSA di diventare “ospitali” per i pazienti Covid, nello
sbigottimento generale ben raccontato dal settimanale
Vita. (Qui il testo della delibera)
Ma torniamo alla mascherina di Fontana. “Volevo lanciare un grido di allarme”,
spiegó in quei giorni, un grido che giunge al suo culmine oggi: in assenza di mascherine le mascherine
diventano obbligatorie per qualsiasi uscita, anche all’aperto. Piace pensare, però, che mentre obbliga
i cittadini a precauzioni estreme; mentre è stato tra i massimi fautori della
caccia al runner; mentre ha accentuato ogni polemica politica con sindaci e
governo, come nella speranza che non si pensasse a vicende come quella del
Trivulzio (e sono tante, e tutte lombarde); piace pensare, dunque, che Attilio Fontana trovi il tempo di convocare
(anche con Zoom o Teams, si intende) l’assessore
Bolognini per dirgli una sola, semplice parola: “Dimettiti”.
Attendiamo, fiduciosissimi.
ps: l’ultima coincidenza è un “a margine”,
che non mi sento di trascurare. È il tentativo,
storia di questi giorni, di esentare da
ogni responsabilità i direttori generali delle strutture ospedaliere e
sociosanitarie. Quelli come Calicchio,
per capirci. Il primo firmatario –
ennesima coincidenza, in un contesto che vede fautori della
deresponsabilizzazione anche altrove, invero – è il capo del suo capo.
Nella giornata di domenica 5 Aprile il
Pio Albergo Trivulzio ha diramato una nota di diffida che pubblichiamo qui
integralmente:
Il presidente Maurizio Carrara e il
direttore generale Giuseppe Calicchio, dell’ASP IMMS Pio Albergo Trivulzio
hanno incaricato i propri legali di procedere alla diffida nei confronti del
quotidiano la Repubblica, a seguito dell’articolo in prima pagina, firmato da
Gad Lerner, dal titolo “La strage nascosta del Trivulzio”. Ai legali è stato
altresì dato mandato di tutelare, nelle sedi opportune, l’immagine del
Trivulzio e l’onorabilità professionale dei responsabili sanitari.
Nell’articolo infatti si sostiene che la “strage nascosta’ nel mese di marzo
riguarderebbe 70 pazienti. Tale dato, presente sul sito dell’Istituto e ripreso
da altri organi di stampa, si riferisce al numero complessivo dei decessi nel
mese di marzo, in parte probabilmente riconducibili a Covid 19 senza però che
sia stato possibile effettuare i tamponi per accertare la presenza del virus.
Il dato del primo trimestre 2020, che tiene conto anche dei decessi di ospiti
trasferiti ai Pronto Soccorsi, è in linea con i decessi avvenuti al PAT nel
corrispondente trimestre 2019 (170 contro 165), mentre nello stesso periodo
sono risultati 15 contro 13 alla RSA Principessa Jolanda. Nel mese di marzo
2020 al PAT sono risultati 18 decessi in più rispetto al corrispondente mese
del 2019. Una situazione che non si configura come strage nascosta ma conferma
che al PAT non vi sia una situazione fuori controllo. Operativamente il Pio
Albergo Trivulzio si è sempre attenuto rigorosamente alle disposizioni delle
Autorità sanitarie (OMS, Istituto Superiore di Sanità e Regione Lombardia) per
quanto riguarda l’uso dei dispositivi di protezione individuale, così come sui
tamponi oro-faringei si è e si attiene alle disposizioni di Regione Lombardia e
dell’Agenzia di Tutela della Salute. Disposizioni che riteneva di poter
ignorare il prof. Bergamaschini, sospeso anche a tutela della sua salute
connessa all’età, e rientrato solo a seguito della sua autocertificazione a
proseguire nella collaborazione. E’ grave, inoltre, che il giornalista si sia
affidato alle sole dichiarazioni di un rappresentate sindacale interno, senza
avvertire la necessità di verificarne l’attendibilità con la dirigenza
dell’Istituto e con i responsabili dell’ufficio stampa in contatto
quotidianamente con le redazioni dei media non solo cittadini.
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