da: https://www.glistatigenerali.com - di Marianna Vintiadis
Nel 2017 Vodafone ha presentato alla città
di Firenze una ricerca basata sui dati telefonici cellulari utilizzando
tecniche di data analytics che ha portato alla luce una serie di fatti
interessanti (ed in alcuni casi sorprendenti) inerenti ai flussi di persone nel
centro della città. Lo studio analizzava, tra le altre cose, il numero di
pendolari, le loro origini, chi pernottava in città, le nazionalità dei
turisti. Non si poneva un problema di dati personali qui, ci fu detto
all’epoca, perché lo studio era basato su dati aggregati e quindi anonimi.
Mettiamo un attimo da parte il dibattito pertinente alla possibilità di
effettivamente anonimizzare totalmente i dati e concentriamoci invece sulla
domanda seguente: i dati aggregati sono veramente innocui?
Perché crediamo che essere sottoposti a sorveglianza
24 ore su 24, a nostra insaputa, per essere studiati come gruppo ci espone a
rischi minori come individui rispetto all’essere studiati come soggetti
singoli? Consideriamo questo scenario: è programmata una grande manifestazione
politica nel centro della nostra città. Il giorno seguente, un operatore
delletelecomunicazioni locale pubblica i quartieri cittadini da cui provengono
i partecipanti alla protesta. Vi sentite un po’ più a disagio ora? E avete
davvero acconsentito a questo uso dei vostri dati quando avete acquistato la
vostra carta SIM?
La normativa per la protezione dei dati in
Europa ha una definizione troppo limitata dei dati personali ed è stata
strutturata in modo tale da seppellire le aziende nella burocrazia senza dare
il potere reale ai cittadini di prendere decisioni informate sull’uso dei loro
dati. In molti contesti, per la maggior parte delle persone non è affatto
chiaro come possano essere utilizzati i loro dati né, tantomeno, come vengano
effettivamente utilizzati.
Qual è l’utilità di ricevere avvisi
periodici dalle principali piattaforme social che i loro termini sono cambiati
e che dobbiamo dare il consenso ai cambiamenti per continuare a utilizzare il
servizio se non cappiamo cosa sono realmente questi termini?
La maggior parte delle critiche si
concentra sulla lunghezza dei documenti che dobbiamo sottoscrivere e che quindi
nessuno legge. Io sostengo che non capiamo il loro contenuto. La GDPR richiede
a chiunque desideri gestire dati personalidi fornire spiegazioni concise e
intelligibili in un linguaggio semplice in merito alla loro destinazione ed
utilizzo. Ma ormai siamo ben oltre la protezione dalla divulgazione non
autorizzata del nostro numero di telefono a un inserzionista o call center. Le
tecniche e gli usi dei dati sono complessi, tecnici, altamente sofisticati ed
estremamente noiosi da leggere quando tradotti in inintelligibili linguaggi
legali.
Ieri i cittadini residenti in Lombardia
hanno ricevuto un messaggio di testo sui loro telefoni cellulari dalle autorità
regionali che li invitavano a scaricare AllertaLOM, un’apppresentata come un
esercizio di tracciamento delle mappe di contagio di Covid. La sua scheda
informativa può anche essere chiara e concisa, ma l’utente non viene veramente
informato sull’uso che verrà fatto dei suoi dati che, ci viene detto, “non
saranno soggetti ad alcun processo decisionale completamente automatizzato”. Ma
che cosa vuol dire questa frase? Insomma, forse abbiamo la verità e nient’altro
che la verità, ma non abbiamo tutta la verità. Se l’avessimo avuta, non ci
sarebbe stato motivo di trascinare Mark Zuckerberg fino a Washington per fare
ammenda dopo lo scandalo di Cambridge Analytica. La realtà dei fatti è che non
capiamo e, quindi, non siamo in grado di prendere una decisione informata.
Covid non ha solo ucciso migliaia di
persone, ha anche messo a tacere le voci più critiche sull’uso illimitato dei
big data, la sorveglianza di massa e il loro impatto sulla libertà personale.
Immuni, l’app di tracciamento dei contatti scelta oggi dal governo italiano fa
molta strada nel tentativo di limitare la raccolta dei dati allo stretto
necessario e proteggere l’anonimato. Ma ciò non ha impedito allo stesso governo
di utilizzare i dati forniti da Facebook per mappare i movimenti dei suoi
cittadini. Non mi ero resa conto aver sottoscritto questo particolare uso dei
dati quando ho creato il mio primo profilo.
Non sto sostenendo che rinunciamo all’uso
della tecnologia o ai progressi della data science. Dobbiamo tuttavia ripensare
la struttura della nostra protezione dei dati e trovare modi migliori per
aumentare la trasparenza sul loro utilizzo. Un video di due minuti su come
funziona un beacon di un supermercato è un modo molto più semplice per spiegare
a un cliente cosa sta succedendo ai suoi dati rispetto alla descrizione tecnica
richiesta dal GDPR.
La trasparenza è fondamentale, ma questo
lascia ancora aperto il secondo problema posto dai dati aggregati che è anche
la loro premessa: per ottenere i dati di massa è necessario disporre di una
sorveglianza di massa. Size matters dicono gli anglosassoni, le dimensioni sono
una variabile importante. I dati che Facebook ha inviato al governo italiano
hanno permesso di mappare i movimenti di una percentuale sufficientemente ampia
della popolazione dell’intero paese da permettere al governo di trarre
conclusioni politiche a livello nazionale.
Poco prima che la pandemia ci colpisse,
diverse autorità antitrust stavano scrutando i giganti dei dati. Non
permettiamo che l’emergenza e le pressioni fermino questo processo e sia chiaro
che nessuna regolamentazione sull’uso dei dati può essere completa se non tiene
conto della quantità di dati coinvolti. Perché abbiamo deciso che il negozietto
di quartiere debba essere soggetto alle stesse regole sull’uso dei dati personali
di Facebook, rimane un mistero per me.
La raccolta dei dati, il loro utilizzo, la
trasparenza e il diritto dell’individuo di scegliere cosa succede ai suoi dati,
anonimi, pseudo anonimi o comunque si voglia, necessitano di una revisione
urgente. Ci viene detto che quando la pandemia sarà finita dovremo costruire un
nuovo mondo. Qualunque cosa accada, i dati rimarranno fondamentali per il
futuro che verrà. Cogliamo l’occasione per rimodellare il futuro europeo con un
profondo ripensamento delle nostre normative sui dati.
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