da: Il Fatto Quotidiano - di Marco Palombi
Al momento sono una dozzina gli ospiti della grande struttura di terapia intensiva che
Regione Lombardia ha voluto costruire alla Fiera di Milano affidandone la
gestione al Policlinico. Ora però che, a parità di ricoveri ospedalieri da
Covid-19, la pressione sulle terapie intensive, peraltro raddoppiate da inizio
marzo, diminuisce (circa 200 pazienti da lunedì 6 aprile a ieri) è lecito farsi
qualche domanda sul mega-investimento fatto da Attilio Fontana e soci: funziona o è l’ennesima cattedrale nel
deserto? Il dubbio, come vedremo, è più che lecito.
I
numeri. Ad oggi, come detto, sono una dozzina i pazienti
assistiti in Fiera da una cinquantina di persone che turnano su 24 ore:
impossibile far crescere i ricoverati senza aumentare decisamente il personale,
che però scarseggia in tutta Italia e in particolare al Nord. Le mille figure professionali necessarie
(tra cui 200 medici e 500 infermieri) secondo la Regione sono ad oggi solo un
desiderio: per coprire i turni,
dicono fonti interne, ad oggi qualche
infermiere viene addirittura spostato dal Policlinico in una sorta di gioco
a somma zero. Se l’ andazzo fosse questo, Fiera aggiungerebbe pochissimi letti
alle terapie intensive lombarde e il resto sarebbe solo una partita di giro tra
posti già esistenti.
I
letti. Dovevano essere
600, ora l’obiettivo è 205, anche se ormai è chiaro a tutti – anche in
Fiera – che a quella cifra non ci si arriverà: al momento sono stati completati
53 posti letto; un secondo lotto
da 104 posti è in via di costruzione è sarà pronto se va bene tra una o due
settimane; gli ultimi 48 posti letto nel Padiglione 2 – dicono fonti
qualificate – semplicemente non verranno mai costruiti. Insomma, 157 posti a
fine aprile per la maggior parte dei quali manca personale.
I
trasferimenti. L’idea è fare di Fiera l’hub regionale per i
malati Covid-19, svuotando gli ospedali ordinari (ma la convenzione su cui
lavora la struttura è di sei mesi per ora).
Ad oggi ci sono almeno un paio di grossi problemi: 1) le ambulanze hanno meno di tre ore di autonomia di ossigeno e arrivare
in Fiera in tempo, ad esempio, da Sondrio o Mantova è molto difficile (si
parlava di un eliporto, ma non è alle viste); 2) spostare i malati intubati vuol dire esporli a rischi enormi,
una cosa che ovviamente nessuno vuole fare se non è costretto.
L’isolamento. Ha
scritto su Facebook il 6 aprile, giorno dell’ inaugurazione, il cardiologo Giuseppe Bruschi, dirigente medico di I livello del Niguarda:
“L’idea di realizzare una terapia
intensiva in Fiera non sta né in cielo né in terra. Una terapia intensiva
non può vivere separata da tutto il resto dell’ ospedale. Una terapia intensiva funziona solo se integrata con tutte le altre
Strutture Complesse che costituiscono la fitta ragnatela di un ospedale”.
In sostanza, quel tipo di pazienti tendono ad avere anche altri problemi e c’è
bisogno “non solo di infermieri e
rianimatori, ma degli infettivologi, dei neurologici, dei cardiologi, dei
nefrologi e perfino dei chirurghi.”: in ospedale ci sono, in Fiera no.
L’alternativa.
Ancora Bruschi: “Perché costruire un
corpo a se stante, quando si sarebbe potuto potenziare l’ esistente?
Sarebbe stato più logico spendere le energie e le donazioni raccolte per
ristrutturare o riportare in vita alcuni dei tanti padiglioni ‘abbandonati’
degli ospedali lombardi (Niguarda, Sacco, Varese). Si sarebbe investito nel
sistema in essere e quanto creato sarebbe rimasto in dotazione alla Sanità
Lombarda”. Un sindacalista dei Cobas a metà marzo aveva sostenuto che l’ex
Ospedale Civile di Legnano “ha tutte le potenzialità per accogliere velocemente
nuovi pazienti”.
L’assessore al Welfare, Giulio Gallera,
rispose il 18 marzo con un parere chiesto agli uffici tecnici il giorno prima:
“Ci vorrebbero sei mesi”. In realtà il parere si riferisce al rifacimento dell’
intero monoblocco, cosa ovviamente non necessaria. Il costo. Fiera di Milano ha
creato una Fondazione molto snella (3 membri tra cui il presidente di Fiera
Enrico Pazzali) per poter usare le cospicue donazioni arrivate: 21,3 milioni.
Quanti soldi sono stati spesi per la nuova struttura, però, non
si sa: c’ è chi sostiene che il costo sia più vicino ai 50 milioni che ai 20.
Bergamo.
Un
paragone utile. Una struttura molto
simile, quella alla Fiera di Bergamo (peraltro più vicina agli ospedali
della zona), è stata creata in meno tempo con l’obiettivo di avere 72 posti in terapia intensiva e 70 in
sub-intensiva: ha già 50 posti operativi e oltre venti pazienti seguiti da
medici russi, norvegesi, di Emergency e degli alpini; al momento mancano circa
50 infermieri su un fabbisogno indicato in 130; il costo è stato assai inferiore a quello di Milano. Il 18 marzo la Regione tentò di bloccarlo:
“Manca il personale per gestirlo: è inutile creare una cattedrale nel deserto”.
Appunto.
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