da: Il Fatto Quotidiano - di Marco Palombi
J’accuse
di Arcuri: “Chiedete alle Regioni che cosa fanno...”
Da
ieri online la mappa che riporta ogni prodotto consegnato dallo Stato dal primo
marzo: circa 50 milioni di pezzi di materiale sanitario
Che la risposta, anche “industriale”, al
coronavirus sia stata lenta e inadeguata tanto a livello centrale che regionale
non è un mistero. Nella penuria di attrezzature sanitarie per far fronte
all’onda del Covid-19 in queste settimane si è scatenata una polemica quasi continua
tra il governo e le Regioni, specie la Lombardia, più esposta al virus e alle
polemiche sulla sua gestione. La novità è che i governatori finora hanno fatto
la parte degli accusatori, ma ora il gioco potrebbe essersi rovesciato: “Chiedete alle Regioni cosa stanno
distribuendo, sarebbe interessante saperlo”, ha detto ieri ai giornalisti il commissario per l’emergenza Domenico Arcuri
scatenando, come vedremo, una sorta di guerra con Attilio Fontana e il resto della
sua giunta.
UNA
PREMESSA. L’idea, a Roma, è che ormai la filiera della
produzione e degli acquisti dei “dispositivi di protezione” (dalle mascherine in
giù) e dei macchinari più complessi sia rodata dopo le iniziali defaillance:
per questo da ieri è online una mappa detta “Ada” (Analisi distribuzione aiuti)
che giorno per giorno riporta ogni singolo prodotto consegnato dallo Stato alle
Regioni nell’ambito dell’emergenza Coronavirus dal 1° marzo in poi. Aggiornato
a lunedì, si tratta di circa 50 milioni di “pezzi” di materiale sanitario di
vario genere, arrivato ovviamente in larga parte nelle regioni più colpite
(oltre il 20% alla Lombardia). La pubblicazione è stata fortemente voluta dal
governo e un po’ meno dai presidenti di Regione: a quanto risulta al Fatto,
quasi la metà si è dichiarata contraria nella video-conferenza di lunedì.
L’idea dell’esecutivo è che ora siano i
governatori a dover spiegare cosa hanno fatto col materiale consegnato: il sotto-testo, neanche troppo nascosto, è che
in questo mese i livelli locali non si siano invece organizzati a sufficienza per
far arrivare i dispositivi medici dove servono. Tanto più che il ruolo dello
Stato centrale in questa vicenda non è unico, ma concorrente con le Regioni: “E
a volte supplente”, butta lì Arcuri.
La reazione della Giunta lombarda – la cui
narrazione finora è ruotata attorno al concetto “è tutta colpa di Roma”– è
stata un clamoroso autogol: “Sto leggendo dal sito del governo la lista del
materiale che presumono di averci inviato. O si è perso qualcosa tra Roma e Milano o hanno sbagliato l’indirizzo del
destinatario”, ha detto in diretta Facebook l’assessore al Bilancio Davide Caparini.
Peccato che quella lista di oltre 10 milioni di pezzi – tra cui 6,8 milioni di
mascherine di vari tipi e 458 ventilatori per terapia intensiva e
sub-intensiva, oltre un terzo di quelli distribuiti – sia stata vidimata dalla stessa Regione: “Evidentemente
Caparini non è informato che domenica 29 marzo, alle ore 21.59, la dottoressa Maddalena Branchi (delegata della
Regione Lombardia alle relazioni con gli Uffici del commissario) con una mail ha dato conferma dei materiali
inviati dal governo nell’intero mese di marzo alla Regione”, gongola Arcuri
nella sua nota di risposta.
Il paradosso è che, essendoci una
differenza sul numero di un prodotto (i monitor), “in via prudenziale” nel sistema
sono stati immessi i numeri della Lombardia e non quelli del governo.
LO
SCONTRO tra Roma e la giunta leghista sembra essere ormai
totale. Ieri, per dire, Fontana – finito di celebrare l’ospedale costruito alla
Fiera di Milano – in Consiglio regionale è tornato a ricordare che lui ha chiesto
misure restrittive per settimane, mentre il governo spandeva ottimismo
sull’epidemia.
La replica del governo, affidata a fonti anonime, testimonia lo
stato dei rapporti: oltre a ricordare i materiali
sanitari e le decine di medici
inviati (russi, albanesi, italiani tanto civili che militari), la costruzione di due ospedali da campo (Crema
e Cremona), il trasporto di 73 pazienti gravi fuori regione, dal governo
fanno notare “che i presidenti delle Regioni sono stati sempre liberi di
intervenire con misure maggiormente restrittive. Il presidente Fontana, se lo
riteneva giusto, avrebbe ben potuto adottare misure restrittive anche in passato,
senza ridursi alla sera del 21 marzo, nelle stesse ore in cui le agenzie di stampa
davano la notizia che il governo stava per annunciare il nuovo decreto per
sospendere le attività produttive non essen ziali”.
In una giornata così non
poteva mancare nemmeno la polemica, ormai rituale, sulle mascherine: un’azienda
lombarda “può produrre 900 mila mascherine al giorno”, ha detto Fontana, ma il
prodotto non ha ancora l’autorizzazione dell’Istituto superiore di sanità.
Arcuri però, che pure ha promesso autorizzazioni più rapide, non pare
preoccupato dai numeri: “Abbiamo acquisito 300 milioni di
mascherine, che arriveranno progressivamente” e in generale “abbiamo una
dotazione di dispositivi di protezione individuale che crediamo ci serva per
due mesi”.
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