da: Il Fatto Quotidiano - di Maddalena Oliva
Ieri
il governatore sul Corriere si è detto in pace con la sua coscienza: ecco il
documento che allenta le strette dopo Codogno, firmato Pirellone.
“Io sono in pace con la mia coscienza”, ha
ribadito ieri il governatore Attilio Fontana al Corriere della Sera. “Per dirla
chiara sulle Rsa – ha proseguito Fontana – la Regione non ha competenza, se non
di controllo”.
La Regione lo va ripetendo da settimane. La
convinzione è che, sulla “strage dei nonni”, sia in atto una campagna mediatica
– e politica – mirata a “cavalcare l’onda emotiva di questi giorni per
confondere il ruolo di controllo e di sorveglianza della Regione con i ruoli e
le responsabilità organizzative e gestionali delle strutture stesse”. L’ultimo
tassello alla “linea di difesa” del Pirellone nel ridimensionare il peso della
famosa delibera dell’8 marzo lo ha aggiunto, sempre dalle pagine del Corriere,
l’assessore al Lavoro Melania Rizzoli. Calcolando che “trascorrono dalle 2 alle
5 settimane per il manifestarsi complessivo della malattia virale e del suo
eventuale esito letale – ha detto l’assessore Rizzoli, che è anche medico – è
facile dedurre che tutti gli anziani ospiti delle case di cura lombarde, che
sono deceduti per coronavirus a marzo e nei primi 15 giorni di aprile, erano
venuti in contatto ben prima dell’8 marzo con il Covid-19”.
Per provare a capire davvero cosa sia
successo nelle Residenze per le anziani e in quelle per i disabili (Rsa e Rsd),
è importante certo partire dai numeri. Sappiamo però anche che i dati sui
decessi degli anziani nelle Rsa lombarde, come raccontato dal Fatto, sono
ancora parziali, per usare un eufemismo (su circa 700 strutture censite in
regione hanno risposto all’Istituto superiore di sanità che si occupa dello
specifico report solo in 266). Ecco perché – per provare a ricostruire i tempi
tra una morte e l’altra, oltre che l’incidenza – la magistratura si sta
concentrando anche sugli “ambienti”, a partire dalle testimonianze degli
operatori sanitari, e sulle direttive regionali, e i documenti che ne sono
derivati. All’elenco, si aggiunge ora un nuovo documento ufficiale della
Regione, intitolato “Chiarimenti relativi all’applicazione dell’Ordinanza del
Ministero della Salute di intesa con il Presidente di Regione Lombardia”. Data:
23 febbraio 2020, ovvero due giorni dopo lo scoppio del primo focolaio a
Codogno. È sulla base di questo documento che alcune strutture per anziani
sarebbero state costrette a riallargare la stretta, imposta da direttori
sanitari particolarmente illuminati o da sindaci lungimiranti, su due questioni
dimostratesi fondamentali per il contenimento dei contagi, e di conseguenza dei
decessi. Stiamo parlando delle visite dei parenti esterni e, soprattutto, della
chiusura dei centri diurni per anziani. Nel documento della Regione si legge:
“Le case di riposo/Rsa restano aperte a visite di parenti che devono attenersi
alla regola di accesso alla struttura in numero non superiore a 1 visitatore
per paziente. Anche i Centri Diurni rimarranno aperti. Con riferimento alle
Unità d’offerta sociali, considerato che tali strutture sono autorizzate e
eventualmente convenzionate dai singoli Comuni, si rimanda agli stessi la
valutazione in merito”.
Queste disposizioni rimarranno valide
almeno fino all’8 marzo. Permettendo di fatto così, per più di due settimane
dallo scoppio dell’epidemia, il contatto con persone che arrivando dall’esterno
hanno potuto, da asintomatiche, diffondere il virus nelle strutture. E,
soprattutto, permettendo agli anziani di incontrarsi per qualche ora nei centri
diurni, per poi ritornare dalle proprie famiglie, col rischio potenziale di un
contagio a catena.
La polemica su un certo ritardo, e sulla
mancanza di linee guida chiare a riguardo da parte della Regione, era già stata
sollevata, a partire dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Emilia Romagna e
Veneto avevano infatti emesso subito un’ordinanza regionale che imponeva la
chiusura dei centri diurni per anziani e disabili. Mentre ancora nella prima
settimana di marzo mancava una direttiva univoca su tutti i territori della
Lombardia. Ma non solo. Ci sono anche Rsa che, sulla base del documento del 23
febbraio, sono state costrette a riaprire.
Proprio sul Fatto, il 5 aprile scorso,
avevamo raccontato della casa ospitale Aresi, a Brignano Gera D’Adda, in
provincia di Bergamo, che aveva deciso di sbarrare il proprio centro diurno su
disposizione del direttore sanitario. “Ma l’Ats mandò una lettera a tutte le
strutture – ricorda Marco Ferraro, presidente della Aresi – dicendoci che
potevamo anche essere accusati di interruzione di servizio pubblico, con
conseguente revoca dell’accreditamento. Così siamo rimasti aperti fino alla
fine della prima settimana di marzo, una disposizione tardiva… Nessuno a Milano
aveva capito l’urugano che stava arrivando”. Il danno più grosso era fatto. “E
chi è riuscito ad attuare prima le azioni di contenimento, ora può contare su
una percentuale di decessi largamente più bassa di altri”, dicono
dall’Osservatorio Rsa Lombardia, che sta raccogliendo diverse centinaia di
testimonianze.
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