Tralascio quell’aspetto non irrilevante che
Alessandro Borghi e Patrick Dempsey sono tra gli uomini più fighi del pianeta
terra. Questo sarebbe già un ottimo motivo per vedere questa serie tv.
Se Diavoli mantiene il livello dei primi due episodi, il venerdì sera
ho degli impegni (casalinghi, ovviamente) improrogabili. Non mi telefonate, non
mi mandate wahtsapp perché non rispondo.
Ah..questa serie è prodotta oltre che da
Sky dalla Lux Vide di Bernabei. La stessa casa di produzione di Don Matteo.
Giustamente, si deve diversificare il prodotto!
Di seguito, una recensione
da: https://www.wired.it/ - di Paolo Armelli
Diavoli,
una serie sulla finanza che racconta bene ciò che sapevamo già
La
nuova serie Sky ha un respiro internazionale e un protagonista magnetico e dal
grande star power, ma soffre di un immaginario finanziario già visto e di
questi tempi ulteriormente preoccupante
Come si fa a lanciare una serie tv, per di
più importante e ambiziosa, in tempi esplosi e preoccupanti come questi
dominati dal coronavirus? Ci sono due ordini di problemi, uno dal punto di
vista tematico: agganciare l’attenzione, soprattutto con argomenti impegnativi,
delle persone in un periodo frammentato e in cui il desiderio di “evasione” è
forte, non è semplice; l’altro dal punto di vista pratico: come fare
promozione? Come rendere evidente e visibile un prodotto che non può essere
pubblicizzato nella maniera canonica? La sfida è evidente e lo sa bene Sky, che
in questi giorni sta puntando molto su Diavoli, la produzione italiana dal
respiro internazionale che parte il 17 aprile su Sky Atlantic e Now Tv e che
vede Alessandro Borghi, Patrick Dempsey e Kasia Smutniak protagonisti di un
intrigo finanziario-criminale.
Si sa che le crisi, spesso a malincuore,
sono occasioni di rinnovarsi e trovare soluzioni inedite, e questo forse è il
caso almeno per quanto riguarda la promozione seriale, spostatasi forzatamente
sul digitale. Per promuovere la serie, appunto, Sky ha allestito un’ulteriore
produzione molto ambiziosa e complessa, un live show con tutti i crismi: una
robicam a 360° di quelle che si vedono nelle telecronache calcistiche, grafiche
in realtà aumentata e poi attori, produttori e registi della serie da una parte
e giornalisti dall’altra, tutti collegati in una videocall potenziata che tenta
di sostituire le classiche conferenze stampa o roundtable con gli attori.
Sembra un dettaglio dietro le quinte poco interessante all’interno della
recensione di una serie ma lo si riporta come annotazione suggestiva: il
coronavirus sta cambiando e cambierà molte procedure che davamo per assodate,
questo ne è un esempio, anche di come i cambiamenti vadano affrontati con
inventiva e innovazione.
Molto meno innovativa, almeno
nell’impianto, è a dire il vero Diavoli stessa: tratta dal romanzo I diavoli di
Guido Maria Brera, la serie vede come protagonista Massimo Ruggero (Borghi), un
rampante head of trading in una grandissima banca finanziaria londinese, che in
un già storicamente teso 2011 si trova coinvolto in una specie di thriller che
mescola le sue ambiziosi professionali, i suoi drammi personali ma anche
(esagerando, forse) le sorti della finanza e della politica internazionali. A
giocare un ruolo ambiguo in tutto questo schema è Dominic Morgan (Dempsey), ceo
della New York-London Investment Bank e suo mentore, ma anche uomo dalle mille
ombre, anche lui segnato da un lutto che rende complicata la relazione con la moglie
Nina (Smutniak). Una morte interna alla banca e una promozione mancata saranno
le micce che fanno esplodere una sequela di intrighi, cospirazioni e
manipolazioni, da seguire con attenzione fra termini tecnici e salti temporali
talvolta disorientanti.
Tutto ovviamente si svolge in una Londra
frenetica e asettica, tutta grattacieli della City e case dal lusso
minimalista, in un’estetica volutamente raggelante messa in campo dai registi
Nick Hurran e Jan Maria Michelini. L’humus è ovviamente quello dei classici
broker finanziari, intatti nel nostro immaginario fin dagli anni Ottanta:
vendono e shortano azioni in modo frenetico, guidano Ferrari e giocano a
squash, sniffano cocaina e vestono abiti sartoriali, dicono frasi come “Sono
nato in basso, l’unica possibilità era salire” o “Il miglior modo di prevenire
una crisi è crearla“. In qualche modo è come se Diavoli per l’ennesima volta
remixasse elementi di The Wolf of Wall Street e American Psycho (che proprio in
questi giorni compie 20 anni), aggiornandoli però con macchinazioni alla House
of Cards e scatti d’ingegno alla Sherlock.
È interessante vedere come anche
l’approfondimento delle storture finanziare sia ben noto. Con intelligenza ogni
episodio riprende alcuni dei fatti più noti della storia economica mondiale
dell’ultimo decennio, dalla crisi argentina del 2001 allo scoppio dei subprime
2008, dalle recessioni irlandese e greca agli scandali sessuali di Dominique
Strauss-Kahn dell’Fmi passando per Subterranea, un’organizzazione di hacker e
whistleblower simile alle molte che abbiamo visto di recente. Ogni fatto è
utilizzato, a volte forzatamente altre meno, per dare solidità alle azioni dei
protagonisti, ma è anche una carrellata inquietante che ci ricorda come la
finanzia sia un meccanismo invisibile che spesso schianta gli interessi delle
persone comuni in nome di ambizioni e guadagni sterminati. Un tempismo non
certo fausto ora che la pandemia costringerà le economie mondiali alla
recessione e interrogherà molti su quali saranno le azioni dei governi e degli
operatori finanziari, nel timore che ancora una volta a pagare saranno i soliti
impotenti.
Ma al di là delle rigidità formali, Diavoli
ha anche un cuore straordinario, un cuore gelido che si scalda pian piano,
mostrando umanità oltre l’ambizione: e questo cuore è Alessandro Borghi.
L’attore, forse il più in vista del nostro cinema recente, qui dimostra
un’invidiabile stoffa internazionale: sfoggia un inglese British impeccabile,
la cui dizione non impedisce una recitazione convinta; la sua allure e il suo
aspetto magnetico (aiutato dalle giuste astuzie, come le scene sotto la doccia
o i flashback arruffati) ne dimostrano ancora una volta lo star power, che
praticamente regge sulle spalle l’intera serie, con buona pace di un Dempsey sì
ancora affascinante ma spesso monocorde. Anche Smutniak si conferma attrice di
grande intensità, pur lottando con la parte asfissiante di una madre dolente e
che si spera abbia un ruolo ancor più cruciale negli ultimi episodi (e magari
nella seconda stagione, già annunciata ufficialmente).
In molti episodi la serie sottolinea come
il diavolo sia un‘entità che fa di tutto per nascondersi in piena vista, e si
sa anche che si nasconde nei dettagli: prodotta da Sky Italia e Lux Vide per
poi essere distribuita in tutto il mondo, Diavoli è sicuramente una serie dal
respiro convintamente internazionale, che dimostra che la capacità italiana di
realizzazione seriale si sta allineando in fretta con i più alti standard
internazionali, vantando appunto anche attori che possono competere
tranquillamente a livello globale. Purtroppo certe immagini e una certa
retorica già viste, unite a un contesto d’incertezza socio-economica e anche
psicologica, le tagliano un po’ il fiato. A meno che certi dubbi e certe
preoccupazioni che instilla non possano esserci d’aiuto o ispirazione di fronte
all’ennesimo scenario finanziario destinato inevitabilmente a crollare.
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