da: la Repubblica
Quota
62, penalità a chi anticipa, prestiti, le molte strade per la pensione
flessibile
Si
va dalle proposte Damiano, che resuscitano il requisito dei 35 anni di
contributi, a quelle dei tecnici dell’Inps che abbattono la quota retributiva,
fino all’estensione della sperimentazione attuale che riguarda le donne.
di Roberto
Mania
La legge Fornero non andrà in pensione
facilmente. Perché quella legge garantisce fino al 2022 circa 80 miliardi di
minore spesa previdenziale. E in un Paese che destina ancora oggi oltre il 16%
del Pil alle pensioni (avrebbe superato il 18 per cento senza la riforma), che
nei prossimi anni continuerà a registrare tassi di crescita molto contenuti e
nel quale l’occupazione resterà in debolissima risalita (dai contributi di chi
lavora arrivano le risorse per sostenere il sistema pensionistico), è difficile
immaginare un ritorno al passato. D’altra parte lo stesso governo ha fatto
capire che non intende smontare l’impianto della legge del 2011 ma a provare a
introdurre un po’ di flessibilità per andare in quiescenza, non ad abbassare
l’età per il pensionamento di vecchiaia. Ci sarà un ritocco, la cui dimensione
dipenderà appunto dalle disponibilità finanziarie.
Da queste, ovviamente,
dipenderà anche la platea dei potenziali beneficiari. Ma allontanarsi dalle
rigidità anagrafiche della Fornero (ormai abbiamo superato i 66 anni) non sarà
semplice. Per ora le ipotesi sul tavolo sono cinque.
RICALCOLO
RETRIBUTIVO
Entro il mese di giugno l’Inps presenterà
una «proposta completa», come l’ha definita il suo presidente Tito Boeri. E lì
ci sarà anche un’ipotesi su come ripensare le rigidità della legge Fornero. Il
ragionamento che stanno sviluppando i tecnici dell’Istituto parte dalla
considerazione che per rendere più flessibile il pensionamento basterebbe
estendere la logica del contributivo anche alla quota retributiva della
pensione. Nel contributivo infatti la pensione è calcolata sulla base dei
versamenti e, quindi, se si lascia prima il lavoro si prende un assegno inferiore.
Nel retributivo non è così e attualmente le pensioni sono ancora pro quota
contributive. L’idea è di introdurre dei correttivi sulla parte determinata con
le regole precedenti. Si immagina un’uscita a 62 anni calcolando l’importo (per
la quota retributiva) con una penalizzazione derivante dai nuovi coefficienti
di trasformazione del montante contributivo (la somma di ciò che si è versato).
Alla fine, stando a queste simulazioni, il trattamento scenderebbe tra il 20 e
il 30 per cento. Secondo Giuliano Cazzola, esperto di questioni previdenziali,
già sindacalista della Cgil e poi parlamentare del Pdl passato all’Ncd, però,
il ricalcolo con il contributivo «sarebbe insostenibile» e a rischio di essere
dichiarato incostituzionale.
LE
PENALIZZAZIONI DI DAMIANO
Penalizzazioni anche nella proposta di
legge presentata dal presidente della Commissione Lavoro, Cesare Damiano (Pd),
e sulla quale c’è una significativa convergenza bipartisan. L’idea è di
introdurre un range di uscita tra i 62 e i 70 anni purché si abbiano almeno 35
anni di versamenti contributivi e che l’importo della pensione sia almeno pari
a 1,5 volte quello dell’assegno sociale. Per ogni anno che ci si allontana dai
66 anni, fissati come età di riferimento, si subisce una penalizzazione del 2 per
cento. Che può arrivare fino all’8 per cento nel caso si opti per l’uscita dal
lavoro con la prima finestra possibile, cioè a 62 anni. Ricalcando il sistema
contributivo, la proposta di Damiano prevede un aumento dell’assegno
pensionistico crescente ancora del 2 per cento man mano che ci si avvicina ai
70 anni di età. La soluzione Damiano viene considerata molto costosa, fino a
7-8 miliardi a regime.
ESTENSIONE
DELL’OPZIONE DONNA
Per le sole lavoratrici è possibile in via
sperimentale (fino alla fine di quest’anno) andare in pensione con 57 anni e 3
mesi di età (58 e 3 mesi per le lavoratrici autonome) e 35 anni di contributi.
A una condizione, però: che l’intera pensione venga calcolata con il metodo
contributivo. In questo caso l’ipotesi è di estendere la possibilità anche ai
lavoratori uomini.
QUOTA
100
“Quota 100” è invece una proposta che non
distingue tra donne e uomini. Si va in pensione se si raggiunge “quota 100”
sommando l’età anagrafica con gli anni di versamenti contributivi. In questo
caso c’è una doppia soglia di partenza: quella di 62 anni di età e quella di 35
di contributi. Dunque con 62 anni si può andare in pensione se si sono versati
i contributi per 38 anni. Oppure 63 anni e 37 di contributi e così via.
IL
PRESTITO PENSIONISTICO
Più articolata la proposta del cosiddetto
prestito pensionistico avanzata dall’ex ministro del Lavoro, Enrico Giovannini.
Chi si trova a 2—3 anni di distanza dall’età standard per la pensione potrebbe
chiedere di lasciare il lavoro e ottenere una sorta di sussidio intorno ai 700
euro, come anticipo del trattamento pensionistico, che restituirebbe in mini
rate una volta in quiescenza. Per non far sostenere tutto il costo
dell’operazione al lavoratore ed essendo piuttosto basso l’assegno da 700 euro
è stata presa in considerazione da una parte la possibilità che lo Stato
integri l’importo (per esempio con 100 euro al mese) con un trasferimento di
tipo assistenziale cioè da non restituire, dall’altra l’eventualità che
l’azienda, di cui il lavoratore è dipendente, paghi una parte del pensionamento
anticipato (per esempio aggiungendo 300 euro). Non va sottovalutato il fatto
che a spingere dietro le quinte per abbassare l’età di fatto della pensione
siano proprio le imprese che puntano con questo al ricambio della forza lavoro,
avendo a disposizione oggi anche i vantaggi previsti dal Jobs act per le nuove
assunzioni. Secondo alcune stime il prestito pensionistico potrebbe
interessare, nei primi anni, circa 20-30 mila persone.
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