venerdì 22 maggio 2015

Pensioni: Renzi annuncia maggiore flessibilità….



da: la Repubblica

Quota 62, penalità a chi anticipa, prestiti, le molte strade per la pensione flessibile
Si va dalle proposte Damiano, che resuscitano il requisito dei 35 anni di contributi, a quelle dei tecnici dell’Inps che abbattono la quota retributiva, fino all’estensione della sperimentazione attuale che riguarda le donne.
di Roberto Mania

La legge Fornero non andrà in pensione facilmente. Perché quella legge garantisce fino al 2022 circa 80 miliardi di minore spesa previdenziale. E in un Paese che destina ancora oggi oltre il 16% del Pil alle pensioni (avrebbe superato il 18 per cento senza la riforma), che nei prossimi anni continuerà a registrare tassi di crescita molto contenuti e nel quale l’occupazione resterà in debolissima risalita (dai contributi di chi lavora arrivano le risorse per sostenere il sistema pensionistico), è difficile immaginare un ritorno al passato. D’altra parte lo stesso governo ha fatto capire che non intende smontare l’impianto della legge del 2011 ma a provare a introdurre un po’ di flessibilità per andare in quiescenza, non ad abbassare l’età per il pensionamento di vecchiaia. Ci sarà un ritocco, la cui dimensione dipenderà appunto dalle disponibilità finanziarie.
Da queste, ovviamente, dipenderà anche la platea dei potenziali beneficiari. Ma allontanarsi dalle rigidità anagrafiche della Fornero (ormai abbiamo superato i 66 anni) non sarà semplice. Per ora le ipotesi sul tavolo sono cinque.

RICALCOLO RETRIBUTIVO
Entro il mese di giugno l’Inps presenterà una «proposta completa», come l’ha definita il suo presidente Tito Boeri. E lì ci sarà anche un’ipotesi su come ripensare le rigidità della legge Fornero. Il ragionamento che stanno sviluppando i tecnici dell’Istituto parte dalla considerazione che per rendere più flessibile il pensionamento basterebbe estendere la logica del contributivo anche alla quota retributiva della pensione. Nel contributivo infatti la pensione è calcolata sulla base dei versamenti e, quindi, se si lascia prima il lavoro si prende un assegno inferiore. Nel retributivo non è così e attualmente le pensioni sono ancora pro quota contributive. L’idea è di introdurre dei correttivi sulla parte determinata con le regole precedenti. Si immagina un’uscita a 62 anni calcolando l’importo (per la quota retributiva) con una penalizzazione derivante dai nuovi coefficienti di trasformazione del montante contributivo (la somma di ciò che si è versato). Alla fine, stando a queste simulazioni, il trattamento scenderebbe tra il 20 e il 30 per cento. Secondo Giuliano Cazzola, esperto di questioni previdenziali, già sindacalista della Cgil e poi parlamentare del Pdl passato all’Ncd, però, il ricalcolo con il contributivo «sarebbe insostenibile» e a rischio di essere dichiarato incostituzionale.

LE PENALIZZAZIONI DI DAMIANO
Penalizzazioni anche nella proposta di legge presentata dal presidente della Commissione Lavoro, Cesare Damiano (Pd), e sulla quale c’è una significativa convergenza bipartisan. L’idea è di introdurre un range di uscita tra i 62 e i 70 anni purché si abbiano almeno 35 anni di versamenti contributivi e che l’importo della pensione sia almeno pari a 1,5 volte quello dell’assegno sociale. Per ogni anno che ci si allontana dai 66 anni, fissati come età di riferimento, si subisce una penalizzazione del 2 per cento. Che può arrivare fino all’8 per cento nel caso si opti per l’uscita dal lavoro con la prima finestra possibile, cioè a 62 anni. Ricalcando il sistema contributivo, la proposta di Damiano prevede un aumento dell’assegno pensionistico crescente ancora del 2 per cento man mano che ci si avvicina ai 70 anni di età. La soluzione Damiano viene considerata molto costosa, fino a 7-8 miliardi a regime.

ESTENSIONE DELL’OPZIONE DONNA
Per le sole lavoratrici è possibile in via sperimentale (fino alla fine di quest’anno) andare in pensione con 57 anni e 3 mesi di età (58 e 3 mesi per le lavoratrici autonome) e 35 anni di contributi. A una condizione, però: che l’intera pensione venga calcolata con il metodo contributivo. In questo caso l’ipotesi è di estendere la possibilità anche ai lavoratori uomini.

QUOTA 100
“Quota 100” è invece una proposta che non distingue tra donne e uomini. Si va in pensione se si raggiunge “quota 100” sommando l’età anagrafica con gli anni di versamenti contributivi. In questo caso c’è una doppia soglia di partenza: quella di 62 anni di età e quella di 35 di contributi. Dunque con 62 anni si può andare in pensione se si sono versati i contributi per 38 anni. Oppure 63 anni e 37 di contributi e così via.

IL PRESTITO PENSIONISTICO
Più articolata la proposta del cosiddetto prestito pensionistico avanzata dall’ex ministro del Lavoro, Enrico Giovannini. Chi si trova a 2—3 anni di distanza dall’età standard per la pensione potrebbe chiedere di lasciare il lavoro e ottenere una sorta di sussidio intorno ai 700 euro, come anticipo del trattamento pensionistico, che restituirebbe in mini rate una volta in quiescenza. Per non far sostenere tutto il costo dell’operazione al lavoratore ed essendo piuttosto basso l’assegno da 700 euro è stata presa in considerazione da una parte la possibilità che lo Stato integri l’importo (per esempio con 100 euro al mese) con un trasferimento di tipo assistenziale cioè da non restituire, dall’altra l’eventualità che l’azienda, di cui il lavoratore è dipendente, paghi una parte del pensionamento anticipato (per esempio aggiungendo 300 euro). Non va sottovalutato il fatto che a spingere dietro le quinte per abbassare l’età di fatto della pensione siano proprio le imprese che puntano con questo al ricambio della forza lavoro, avendo a disposizione oggi anche i vantaggi previsti dal Jobs act per le nuove assunzioni. Secondo alcune stime il prestito pensionistico potrebbe interessare, nei primi anni, circa 20-30 mila persone.

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