da: Il Sole 24 Ore - di Francesco
Prisco
Questa è la storia di un uomo e della sua
chitarra nera, una Gibson ES-355 custom. Una storia che comincia a Itta Bena,
tra i campi di cotone del Mississipi, 89 anni fa e finisce ieri, nella più
classica villa kitsch di Las Vegas, piena di cimeli che potrebbero parlare,
proprio come parlava la chitarra che ha reso celebre quest’uomo.
È qui che se n’è andato B.B. King, «The
King of the Blues» o, se preferite, l’ultimo grande vecchio del genere musicale
afroamericano per eccellenza, per sessant’anni sulle scene, prima nelle
ballroom del profondo Sud, poi sugli schermi di Mtv e davanti al Papa Giovanni
Paolo II. Secondo quanto riferisce il suo avvocato, Brent Bryson, se n’è andato
mentre dormiva, ultimo atto di una malattia – il diabete – che, complice la sua
stazza da peso massimo, lo accompagnava da 20 anni e nell’ultimo mese ne aveva
messo a dura prova il sistema cardiocircolatorio. Ma se suoni la musica del
diavolo e, dopo due divorzi e un numero imprecisato di figli, te ne vai a 89
anni, significa che con il diavolo hai fatto un patto migliore di quello che
sottoscrisse Robert Johnson.
Lucille,
chitarra che vale una vita
Una vita che potrebbe essere uscita dalla
macchina da scrivere di John Steinbeck. Nato Riley B. King, iniziò a suonare la
chitarra a 12 anni. Da ragazzo raccolse cotone e lavorò come guidatore di
trattori. Si fece le ossa cantando gospel, ma da ragazzino fu folgorato sulla
via di Jackson dal sound di Lonnie Johnson, tra i più influenti chitarristi
blues del momento. Combatté nella Seconda guerra mondiale e, dopo il ritorno in
patria, due eventi fortuiti gli cambiano la vita. Primo: un incidente col
trattore gli impedisce di continuare la sua attività sui campi di cotone.
Secondo: nel 1949, anno in cui comincia a registrare per la R.P.M. di Los
Angeles, rischia la vita per salvare la sua Gibson semiacustica. Si esibisce in
una sala da ballo dell’Arkansas, quando due uomini vengono alle mani e, nella
rissa, danno fuoco al locale. Litigavano per una donna che si chiamava Lucille.
B.B. dovrà sfidare le fiamme per salvare la chitarra che amava. «Per colpa di
Lucille a momenti ci rimettevo la vita», dirà in seguito, trasformando per
sempre quello strumento dalla voce nasale e maliziosa in quella donna capace di
far perdere la testa persino all’uomo più equilibrato.
Il
terzo «re» del blues
La svolta della sua carriera coincide con i
primi anni Cinquanta, il trasferimento a Memphis, l'amicizia con Sam Phillips
che non ha ancora fondato la Sun Records (etichetta che lancerà tra gli altri
Elvis Presley e Johnny Cash) e le apparizioni alla radio con lo pseudonimo di
Blues Boy, il cui acronimo B.B. gli rimarrà appiccicato per sempre. Il primo
successo discografico arriva nel 1951, con «3 O’ Clock Blues». Dopo anni di
tournée nel circuito della musica race, lascia la sua etichetta Modern e nel
1962 si trasferisce alla ABC-Paramount. Nel 1965 pubblica un album che sarà
fonte di ispirazione per centinaia di chitarristi blues, «Live at the Regal»,
ma per raggiungere il pubblico bianco dovrà aspettare il 1967 e quei concerti a
San Francisco per l’audience della nascente scena Flower Power. Nel 1969 aprirà
i live act dei Rolling Stones e si guadagnerà il primo dei suoi 15 Grammy
Award. Un anno più tardi i Beatles citeranno il suo nome nel divertissment di
«Dig It». All’età di 45, insieme con Albert King e Freddie King, veniva
finalmente considerato uno dei tre «King» della chitarra elettrica blues.
La
rinascita con gli U2
Se gli anni Settanta furono ricchi di
successi per il bluesman, negli anni Ottanta la sua fama si appannò, solo per
trovare di nuovo lustro nel 1987 da una serie di premi alla carriera, ma
soprattutto, nel 1988, dalla partecipazione all’album «Rattle and Hum» con una
performance straordinaria in «When Love Comes to Town». Nel 2000, a 75 anni,
raggiunse l’apice del successo commerciale con l’album «Riding With the King»,
in collaborazione con il suo ideale allievo, la star della chitarra Eric
Clapton che vendette due milioni di copie e tanto per cambiare fu premiato con
il Grammy. Ha suonato finché ha avuto fiato, regalando al suo pubblico quel
brivido («thrill» in inglese) che costituisce la cifra distintiva del suo
suono. Da ieri quel brivido se n’è andato. «The thrill is gone», come la hit
che nel 1969 lo consacrò.
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