da: la Repubblica
Nell’espressione “Insegnante di sostegno”, c’è un’involontaria
minorità, come di qualcuno che stia di rincalzo, aspettando di esser
chiamato all’occorrenza al fianco di ragazzi a loro voltacertificati da una
minorità.
Al contrario — sorpresa — l’insegnante di
sostegno è un insegnante che ha una specializzazione in più, grazie alla quale
può scegliere se insegnare la propria materia o fare l’insegnante di sostegno.
L’altra sorpresa è che la normativa
italiana sull’integrazione scolastica dei ragazzi con disabilità è ammirata e studiata da esperti di tutto
il mondo. Le sorprese finiscono qui. Ora, la “Buona Scuola” prevede per
il sostegno una delega (art.21) per una riforma che si vuole epocale
affidata a decreti governativi entro i prossimi 18 mesi. Nel questionario
preliminare alla BS della riforma del sostegno non si faceva parola.
C’è però una proposta di legge firmata con
altri dal sottosegretario Faraone e
sostenuta da alcune associazioni. Essa vuole offrire agli insegnanti delle
materie, oberati da classi sovraffollate e burocrazia, più formazione sulle disabilità, com’è giusto, perché non deleghino
troppo al sostegno. Tuttavia la loro riforma preoccupa molti genitori,
insegnanti e pedagogisti, perché mira a
separare
gli insegnanti di sostegno da quelli delle materie. Faraone ritiene che il
sostegno venga spesso usato come una scorciatoia per entrare in ruolo e poi
passare alla propria materia: dunque andrebbero forzati fin dall’inizio a una
scelta irreversibile. Viene da obiettare
che un insegnante che abbia lavorato sul sostegno e passi alla sua materia,
si rivelerà comunque un insegnante migliore. E se l’insegnante di sostegno
scopre di non farcela, di mancare di idee e stimoli, è meglio che possa
cambiare, passando alla sua materia, piuttosto che restare nel sostegno per
obbligo normativo. In realtà già oggi il passaggio si può fare solo dopo 5 anni
di ruolo nel sostegno. Piuttosto, le ragioni per cui i ragazzi cambiano spesso
l’insegnante di sostegno sono i ritardi burocratici, la precarietà e i tagli:
l’organico di sostegno è inadeguato, e quando, a stagione avanzata, arrivano
dei precari (che non vuol dire affatto meno capaci) estratti dal fondo della
graduatoria, l’anno dopo non riusciranno a tornare.
Ancora, secondo Faraone, il futuro personale di sostegno dovrà essere formato
specificamente sulle singole patologie.
Ma come agirà questa “specializzazione”? Lo specializzato dovrà poi viaggiare da una scuola all’altra in
cerca di una ragazza o un ragazzo con la patologia pertinente? E come si
concilieranno eventuali metodi didattici specifici per la sua patologia con il
fatto che il ragazzo deve essere incluso nella classe? E non può risultarne una
medicalizzazione, e che di fatto gli esperti itineranti appartengano più
all’ambito sanitario che a quello educativo? C’è infatti un criterio
irrinunciabile: che nessun essere umano è riducibile a una propria patologia. E
la patologia dei ragazzi disabili non è la loro caratteristica più importante,
e tanto meno l’unica. Genitori e insegnanti sanno per esperienza — il
sottosegretario Faraone è fra loro — che la diagnosi dice solo una piccolissima
parte di ciò che c’è da sapere. Due studenti con la stessa diagnosi possono
essere enormemente diversi. Lo stesso ragazzo può cambiare moltissimo secondo
il contesto, e anche semplicemente con il tempo e con la crescita. Certo, molto
dipende dalla patologia. Probabilmente ci sono patologie per le quali disporre
anche di un esperto sarebbe molto positivo. Per alcune condizioni, per esempio
la sordità, esistono già figure come gli assistenti per la comunicazione.
Ma molti ragazzi, se affiancati da un
insegnante di sostegno, sono in grado di seguire una programmazione equivamolti
lente a quella della classe, conquistando un diploma con pieno valore legale. È
dubbio che sarebbe per loro positiva una riforma che separi così nettamente gli
insegnanti di sostegno da quelli delle materie. Daniela Boscolo, già insegnante
di sostegno e oggi docente dei futuri insegnanti di sostegno a Padova, ha ricevuto
una fama improvvisa (e provvisoria, dice) dopo che la Fondazione Varkey l’ha
inserita fra i “50 migliori insegnanti del mondo”. In una lettera aperta al
governo ha scritto: «La disabilità non è
la persona, un ragazzo con sindrome di down o autistica non è la sindrome
stessa. Ho avuto ragazzi con sindrome down o autistici e tutti completamente
diversi… Noi siamo docenti, la scuola non è un ospedale né un centro diurno
come qualcuno vorrebbe diventasse, con l’insegnante specializzato trasformato
in una specie di balia con l’unico compito di contenere la persona con
disabilità».
Nel 2010 fu votata una legge (170) che riduceva il sostegno ai ragazzi con “Disturbi Specifici
dell’Apprendimento”, come la frequente dislessia, in base al principio che
debbano occuparsene gli insegnanti delle classi. Molti genitori non furono
contrari perché ritennero che non avere più il sostegno liberasse i figli da
una specie di stigma. (Avere il sostegno non dovrebbe essere uno stigma mai, e
succede anche che persone singolarmente intelligenti abbiano il sostegno per i
motivi più vari). Gli insegnanti devono stilare e seguire per ogni alunno un
piano e materiali didattici personalizzati: succede che non ce la facciano.
Così per la Direttiva del 2012 per i ragazzi
con “Bisogni Educativi Speciali” (linguistici, economici, sanitari,
famigliari ecc.) come il “Disturbo da
Deficit di Attenzione e Iperattività”, gli iperattivi, che a volte faticano
a star fermi e zitti e concentrati in classe. Boscolo: «Nel formare le classi,
è prassi comune mettere il ragazzino con Dsa o altro Bes in classe con un
compagno certificato in modo che ci sia il docente specializzato, l’unico
formato, che li possa seguire ». (Tutte queste sigle e acronimi, H, Dsa, Bes,
Adhd, sono frutto di benvenute eufemizzazioni e di esigenze scientifiche, ma
anche di una impellente burocratizzazione, che sostituisce la compilazione di
moduli al buon senso e alla responsabilità degli insegnanti, oltre che alla
cura per l’insegnamento delle materie).
È noto che le leggi hanno bisogno di
uniformare le condizioni cui si applicano. Una legge che si proponga di fare
degli insegnanti buoni rischia di rendere la vita difficile agli insegnanti
migliori. (Senza dire delle leggi che mirano soprattutto a tagliare i costi).
C’è, fra le tante persone cui la sorte o la vocazione ha messo addosso questi
problemi, una discussione appassionatissima, com’è facile immaginare. Ma non
arriva ad affiorare fino al livello della generale opinione pubblica. Peccato.
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