da: Il Fatto Quotidiano - di Loretta Napoleoni
Mentre nel mondo la terza guerra mondiale
miete vittime e produce la più grande migrazione nella storia dell’umanità e
l’Europa è ancora in piena crisi finanziaria, a Milano gli italiani celebrano il cibo. E lo fanno in un contesto
tipicamente nostrano sullo sfondo di scandali, corruzione, speculazioni
edilizie selvagge e così via.
Nella grande abbuffata milanese non
potevano mancare i volti celebri, le star della moda ed i politici di turno
loro amici. Il tutto sotto la
benedizione delle grandi multinazionali dell’alimentazione e del fast-food,
dalla Coca Cola a McDonald. Persino Slow Food, un tempo simbolo della
semplicità mondo contadino, rischia di finire in questo tritacarne.
Ciononostante ci si meraviglia della contestazione -il No Expo -, e degli scontri di
piazza. Questa è una manifestazione
contestatissima perché costosissima, uno
spreco in un momento in cui i soldi servirebbero a ben altro. Lo stesso
ragionamento ha alimentato la contestazione poche settimane fa nei confronti
dell’apertura della nuova sede della Banca centrale europea. La celebrazione
della grande abbuffata del cibo globale e la costruzione della
nuova cattedrale
della finanza europea sono completamente fuori luogo in un contesto di
austerità dove ai pensionati europei sono state ridotte le pensioni, già da
fame, ed i giovani sono destinati ad una vita magra da precari.
Queste contraddizioni sono frutto della polarizzazione sociale regalataci
dall’economia neo-liberista, da una parte ci sono le élite, inclusa quella
del cibo, ed i politici di turno che con loro si abbuffano, dall’atra parte c’è
il resto della società, coloro che dovrebbero come tante formichine varcare i
cancelli dell’Expo, per ammirare i tempi del cibo di paesi lontani.
A questo punto bisogna porsi alcune
domande.
In un mondo globalizzato dove tutti sanno
tutto degli altri, dove non esistono più misteri culinari e dove la cucina
fusion ha portato in oriente cibi e spezie occidentali e viceversa, a che serve l’Expo del cibo? Anzi a che
serve l’Expo come concetto di scoperta e scambio di innovazioni tra i popoli?
Basta accendere uno smartphone per rendersi conto dell’inutilità di questi
eventi, tutto ciò che desidero sapere o vedere è sempre a portata di mano e
gratis ma se lo voglio acquistare o mangiare allora il portafoglio mi dice che
non si può.
Seconda domanda: quante bocche avremmo potuto sfamare con i soldi spesi per questa
vetrina di prodotti legati alla gastronomia, tutti privi di sorprese? E se
questi soldi fossero stati risparmiati per combattere la fame nel mondo, oggi
l’Italia e Milano avrebbero potuto usarli in Nepal per sfamare milioni di
persone.
Certo i
neoliberisti italiani obietterebbero che dar da mangiare ai terremotati nel
Nepal non aumenta il Pil italiano mentre l’Expo…Tutta quella cementificazione intorno alla stazione
Garibaldi, sostengono, ha fatto gravitare
il valore degli immobili della zona, e poi c’è l’indotto del turismo,
alberghi, ristoranti, taxi ecc. ecc., persino la corruzione fa bene al Pil,
alla fine i soldi sono finiti nelle tasche di imprese italiane non nelle pance
dei poveri. Peccato che questa favola
non sia a lieto fine. Gli alberghi
a Milano non sono pieni, i ristoranti
non traboccano ed i prezzi degli
appartamenti che si vendono sono sempre più bassi.
E quelle formichine umane che dovevano
correre verso l’Expo non lo stanno facendo perché non hanno i soldi. Certo chi
ci vuole credere a questa favola, chi ha bisogno di questa illusione, è libero
di continuare a farlo.
Terza domanda: la riflessione sul cibo nel contesto del XXI secolo davvero non serve a
nulla? E la risposta è si, certo che serve, ed è importante ma va
fatta in contesti completamente diversi.
A Verona
il 1 maggio si è svolto un convegno
organizzato dalle donne veronesi WE EXPO
e dal MAG, un’iniziativa sociale attivissima sul territorio. Si è trattato di
una sfida all’interno del carrozzone
dell’Expo tutta femminile. E vi hanno partecipato anche contadine venete del movimento No Expo,
aderenti al movimento mondiale Via Campesina, che rappresenta 400 milioni di
piccole aziende, che sin dall’inizio ha preso le distanze dall’Expo di Milano.
Mentre
a Milano si beveva Coca-Cola e si mangiavano hamburger di McDonald, a Verona si
è parlato della dieta occidentale che ci
uccide e dei costi altissimi da
questa prodotti in termini di salute pubblica ed inquinamento del pianeta.
Mentre a Milano si gustavano dolci di tutti i tipi, le contadine venete ci
raccontavano come le multinazionali dell’agricoltura chimica hanno ridotto a
tre le varietà di semi di granoturco.
Chi il primo maggio degustava vini e prosecchi all’Expo non sapeva che i pesticidi di cui
si serve l’agricoltura meccanicizzata stanno uccidendo le api, senza le
quale il 40 per cento della produzione agricola mondiale scomparirà. Nessuno a Milano ha conosciuto Maria Teresa
Padovani, un’artista che con una donazione di poche decine di euro ha dato da mangiare a 187 bambini dello
Zambia.
Fortunatamente lontano dai riflettori, dai
volti celebri e dalla politica esiste un movimento mondiale che vuole
riconquistare il diritto al cibo sano e sfamare così chi ha fame, per ascoltare
la sua voce basta accedere alla rete, è facile, rapido, e non bisogna
acquistare nessun biglietto d’ingresso.
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