da: la Repubblica
Una grandinata di critiche e di beffe si
riversa sull’attore Gabriel Garko, che piuttosto di vedere invecchiare la sua
bellissima faccia ha preferito alterarla con un lifting davvero molto drastico.
Perfino un volto pubblico ha diritto alle scelte private; ed è sempre
sgradevole sindacare su ciò che ognuno fa di se stesso e del proprio corpo. Ma
in questo caso colpisce, e devo dire conforta, il tono prevalentemente
addolorato di molti degli “oooh!” di meraviglia che hanno accolto la
metamorfosi della star. Si legge, nell’accoglienza popolare al nuovo volto di
Garko, così rassomigliante a quello dell’esercito dei rifatti e delle rifatte,
così distante dal suo originale, una malinconia autentica, come se la manomissione
del tempo biologico fosse infine vista, con impressionante chiarezza, come una
debolezza, una sconfitta, una resa. Non come una conquista ma come una perdita
irrimediabile, la perdita del sé che quando matura e invecchia, come gli alberi
in autunno, può anche essere splendido. Spesso il lifting, svelando l’ansia
(vana) di rimanere giovani, la rivela tutta d’un colpo, perché la mette in
scena, la drammatizza. Ci rendiamo conto che la nostra amica, il nostro amico è
invecchiato quando lo vediamo rifatto, a volte quasi snaturato, e non riusciamo
più a leggere i suoi lineamenti, che sono la sua storia, e per riflesso anche
la nostra.
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