da: Il Fatto Quotidiano
Quando non eravamo ancora “il Paese di Sottosopra” (Giorgio Bocca), in Italia vigeva almeno la logica elementare. Per esempio: se qualcuno violava una legge, il problema era lui, non la legge. Poi arrivò B. e tutto si ribaltò: se uno paga o prende mazzette, il deviato non è lui, ma il Codice penale che le vieta: bisogna cambiarlo. Se uno va con una prostituta minorenne a pagamento, l’illegalità non è la sua, ma della legge che lo punisce, anche se l’ha fatta lui. Se uno si fa una legge ad (suam) personam, non è lui che sbaglia, ma la Costituzione comunista che lo proibisce e la Consulta comunista che cancella la norma incostituzionale. Se un senatore viene condannato a 4 anni e la legge stabilisce la decadenza automatica di tutti i condannati a più di 2 anni, la colpa non è sua, ma della legge (peraltro votata anche da lui). Se uno compra una casa con i soldi di un altro, si presume che ne sia grato al benefattore: se però è un politico di Forza Italia, riesce a sostenere restando serio che non lo sapeva, insomma il donatore gli ha pagato la casa a sua insaputa.
E così, di strappo in strappo, la nostra
classe politica ha consolidato per sé una logica alternativa a quella delle
persone comuni, le sole ancora costrette a fare i conti col principio di non
contraddizione. L’altro giorno a Fiumicino è stato arrestato per
pedopornografia e prostituzione minorile un prete che fotografava
adolescenti nudi,
adescati alla stazione fingendosi un agente per film a luci rosse. Lui si
difende così: “Sono bravo a scattare foto di nudi e così diversi ragazzini mi
hanno chiesto di realizzare dei book per sfondare nel cinema erotico. Mi sono
prestato per aiutarli”. E tutti, ovviamente, a scandalizzarsi, compresi quelli
che per 20 anni hanno preso per buone le tangenti a fin di bene, le case
comprate a propria insaputa, i soldi alle Olgettine “per aiutare ragazze in
difficoltà”, fino all’apoteosi di Ruby nipote di Mubarak riempita di milioni
“perché non si prostituisse”.
Le due logiche – quella per i potenti e
quella per i comuni mortali – viaggiano in parallelo, e quando un cittadino
prova a difendersi come un potente scatta il cortocircuito. Tre anni fa,
processato per il lancio di un estintore durante una manifestazione, il celebre
Er Pelliccia si difese dicendo: “Volevo spegnere l’incendio di un cassonetto”.
Il guaio è che non si chiamava Scajola, non era un deputato di FI e non era
difeso da Ghedini né da Paniz: il giudice non gli credette e lo condannò a 3
anni. Peggio ancora vanno le cose quando l’insaputista è un immigrato: nessuno
gli crede nemmeno se l’alibi ce l’ha davvero. Abdel Touil, il marocchino
arrestato in Italia su mandato della Tunisia per l’attentato al Bardo, il
giorno della strage era a scuola vicino Milano: ma ciò non ha impedito ai
nostri sgovernanti di considerarlo un assassino e ai molto garantisti Libero e
il Giornale di chiamarlo “terrorista”: per i nostri politici la presunzione di
innocenza vale anche dopo la condanna in Cassazione, mentre per lui finisce al
momento dell’arresto.
Decisamente più fortunato Vincenzo De Luca,
condannato in primo grado per aver abusato del suo ufficio di sindaco
inventando un incarico inesistente (“project manager” di un inceneritore) per
regalare soldi pubblici a un suo fedelissimo. Per la legge Severino, ma anche
per la normativa precedente sugli enti locali, la condanna in primo grado porta
all’automatica decadenza dalla carica. Infatti De Luca è subito decaduto da
sindaco: quanto basterebbe, in un paese e in un partito minimamente attenti se
non alla legge, almeno alla logica, per impedirgli di candidarsi a un’altra
carica da cui decadrebbe all’istante. Invece no. Il Pd consente
all’ineleggibile di presentarsi alle primarie e alle elezioni per la presidenza
della Campania. Cioè per una carica che non potrà esercitare se non violando la
legge. La illogica berlusconiana ha traslocato nel campo dei suoi presunti
avversari, che ora sragionano come B.: se la legge vieta a un condannato di
fare il governatore, il problema non è il condannato, ma la legge. Che dunque
va cambiata subito dopo l’elezione dell’ineleggibile, per renderlo eleggibile
ex post. Renzi ha promesso di farlo e ieri De Luca gli ha ricordato l’impegno
di modificare la norma, o almeno di violarla.
Nel frattempo si studiano mezzucci per
tenerlo artificialmente in carica: siccome spetta al premier dichiararlo
decaduto, se De Luca fosse eletto Renzi gli darebbe qualche ora di tempo per
formare la giunta, nominarsi un vicepresidente e governare per interposta
persona per qualche mese senza ridare la parola ai cittadini. Dopodiché si
spera di trovare un Tar disponibile a infischiarsene dell’ultima sentenza della
Cassazione e a concedergli la sospensiva, anche se la competenza è del
tribunale ordinario. Poi naturalmente tutti a predicare “legalità”, a
proclamare che “noi non abbiamo impresentabili” e a ricattare gli elettori con
appelli al “voto utile”, anche se non c’è nulla di più inutile che votare un
ineleggibile che non potrà esercitare nemmeno per un giorno la sua funzione.
È la riforma del vocabolario, dopo quella
della logica: la parola vergogna è abolita per insufficienza di pudore.
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