da: l’Espresso
La
riforma porterà a un monopartitismo perfetto senza contrappesi. Per questo Palazzo
Madama deve essere dotato di alcuni poteri di controllo.
Senato
eletto o negletto? Dopo il successo dell’Italicum, è questa
l’ultima sfida che attende il generale Renzi. Ed è una sfida cruciale: per lui,
ma soprattutto per la democrazia italiana. Perché, diciamolo: la nuova legge elettorale non è
esattamente un elisir di lunga vita democratica. Premia la maggioranza,
però castiga la minoranza, la spappola in tanti partitini, tutti quelli che
supereranno la piccola boa del 3 per cento. Trovandosi poi di fronte un
partitone, dato che il premio va in tasca alla lista, non alla coalizione.
Sicché dal nostro bipolarismo imperfetto
rischiamo di passare mani e piedi a
un monopartitismo perfetto, senza
controlli, senza contrappesi.
Da qui l’importanza
del nuovo Senato. Dopotutto, anche il bicameralismo paritario offriva una
garanzia, nel bene e nel male: quante
leggi ad personam avrebbe incassato Berlusconi, senza la diga del Senato? Se
adesso ci rinunciamo, se la seconda Camera diventa una Camera secondaria, perderemo
un’altra difesa. Eppure l’orizzonte è questo. Senatori eletti fra i propri membri dai Consigli regionali, che per
giunta andranno a lavorare
gratis. Chi ne avrà la tentazione? E chi supererà la
selezione? I trombati a una poltrona d’assessore, oppure chi ha qualche conto
in sospeso con le toghe. Nel nuovo
Senato non ti pagano, ma almeno non t’arrestano.
E no, non
è il Bundersrat, questa è la sua caricatura. Anche perché non è affatto
vero che la riforma semplifica l’officina delle leggi. Conti alla mano, elenca
22 categorie di leggi bicamerali. Sulle altre il Senato può intervenire su
richiesta d’un terzo dei suoi componenti, e in seguito approvare modifiche che
la Camera può disattendere a maggioranza semplice, ma in un caso a maggioranza
assoluta. Pasticci forieri di bisticci. D’altronde è stata questa, fin da
subito, la parola d’ordine dei ri-costituenti: il Senato? Famolo strano. E via
con l’idea bislacca dei 21 senatori nominati dal Colle, l’equivalente di due
gruppi parlamentari. Via con il balletto dei numeri sui sindaci in Senato:
prima 108, poi 60, adesso 22. L’unica decisione irrevocabile era che i senatori
fossero eletti dagli eletti, non dagli elettori.
Ora, però vacialla anche quest’ultimo
proposito. Sembra che Renzi sia disponibile a concedere l’elezione diretta del
Senato, per riappacificarsi con la minoranza del Pd. Mica facile, dato che
l’articolo 2 della riforma è già stato approvato da ambedue le Camere nello
stesso testo, tranne che per una preposizione. O si forzano le regole da cui
dipende l’iter legis, oppure toccherà ricominciare il giro. Ma in un caso o
nell’altro, non è questo il punto decisivo. E del resto un Senato non elettivo
costituisce la regola in Europa: funziona così in Germania, Regno Unito,
Francia, Olanda, Austria, e almeno parzialmente in Spagna e in Belgio.
Dov’è, allora, lo snodo? Nelle competenze,
nei poteri. Occorre rafforzarli, perché fin qui il Senato si disegna come un
organo d’alta consulenza, una sorta di Cnel in abito da sera. Serve perciò investirlo di una missione, d’un ruolo costituzionale. E tale ruolo
non può che incidere sulle garanzie di cui il nostro sistema si è andato
impoverendo. Significa, per esempio, dotare
il Senato del potere di nomina delle authority, dei membri del Csm, dei giudici costituzionali. Significa assegnargli
un parere vincolante sulle nomine
dei dirigenti apicali dello Stato. Significa, più in generale, attribuirgli
ogni decisione sulla quale i deputati versino in conflitto d’interessi: dalle
immunità alla verifica delle elezioni, dalla legge elettorale al finanziamento
dei partiti. E significa affidargli poteri d’inchiesta e di controllo sul
governo.
Ma questa somma di funzioni non
può venire esercitata dai consiglieri
regionali, non foss’altro perché a quel punto il Senato non sarebbe più una
cinghia di collegamento fra lo Stato e le regioni. Le competenze dipendono
dalla composizione: se il Senato diventa un organo di garanzia, dovrà ospitare
persone che ci garantiscano. Ecco perciò la scelta cui verranno chiamati i
senatori, cui adesso tocca in terza lettura la riforma. E speriamo che il
Senato sia assennato.
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