da: Il Fatto Quotidiano - di
Carlo Tecce
Giugno
2014, l’asta, preparata per il solito inciucio, va storta. L’australiano prende
tutto, il biscione strepita e il mediatore aggiusta.
Il patto sui diritti televisivi per un
triennio di campionato di calcio siglato lo scorso giugno – un inciucio da professionisti che accontentava
Mediasete non scontentava l’onnivora Sky – non l’hanno mai smentito. Anzi,
la Lega di A e il mediatore Infront
se ne vantavano. E il sensale Claudio Lotito, spedito a trattare su mandato di
Adriano Galliani, pervaso da un inusuale imbarazzo (il conflitto d’interessi),
ha celebrato se stesso e preparato lo scacchiere per imporre Carlo Tavecchio in
Ferdercalcio. Quel bando di gara, disegnato da In-front per perpetuare la
convivenza dei monopolisti, diviene presto farsa perché le buste, vidimate dai
notai, contengono un responso che sfavorisce Mediaset.
Allora il calcio ha scelto il compromesso:
uno sfacciato patto fra le televisioni, sotto la regia di Infront. Adesso i
sospetti li mette in ordine l’Autorità di garanzia che vigila sul mercato.
Quell’asta da tre miliardi di euro in tre stagioni, fonte di salvezza per gli
squattrinati presidenti di serie A disposti a ridurre gli introiti pur di non
alterare l’equilibrio fra le famiglie Berlusconi e Murdoch, non è stata
corretta. L’Autorità s’è presa un anno di tempo per completare l’istruttoria e
valutare le sanzioni pecuniarie; soltanto la Lega Calcio, più che condizionata
da Infront, può cancellare l’assegnazione e ripristinare la concorrenza. Ma col
rischio di asfissiare le società che aspettano, entro l’estate per la campagna
acquisti, la prima rata da 945 milioni di euro.
Giugno
2014, contese legali e trucchi: nasce l’accordo
Il patto viene sancito sul finire di
giugno, epilogo di un mese di tensioni, timori di collasso di un sistema che
Infront di Marco Bogarelli, un uomo d’affari con laurea in Bocconi e di
relazioni internazionali, molto legato a Galliani e già consigliere di Milan
Channel, forgia e tutela da sei anni. Dal 2008. Quando Infront Italia, costola di
una multinazionale con al vertice Philippe Blatter (nipote di Joseph, sovrano
del pallone mondiale in Fifa), s’aggiudica la commessa per vendere le
immagini del campionato a scapito di Rothschild e Mediobanca. Il bando di gara,
in origine, non permette imprevisti: il pacchetto
A per il satellite (le otto squadre con più tifosi) è confezionato per Sky; il pacchetto B, l’equivalente sul digitale, per Mediaset Premium; il pacchetto D, i rimasugli, è l’unico
destinato a una vera contesa.
Quando i Murdoch stanno per decretare la somma da investire sul pallone
italiano scoprono che Mediaset, con
una spesa di quasi 700 milioni di euro, ha scippato
la Champions League a Sky. Lo squalo australiano conosce soltanto una vendetta:
annientare l’avversario. Così la multinazionale da 20 milioni di abbonati in
Europa fa traballare il tavolo con un’offerta totale, satellite e digitale: 779 milioni, 2,6 miliardi nel triennio.
Murdoch non vuole noleggiare la serie A: la vuole comprare ballando sul
cadavere di Mediaset. Il Biscione,
per cinque milioni, perde il pacchetto A:
non riguarda il digitale, dove si posiziona terza dietro a Fox (ancora
Murdoch), bensì il satellite.
L’invasione di campo avviene in simultanea.
A Mediaset resta il misero pacchetto D, 132 partite di scarso interesse e un
impegno da 306 milioni a stagione. Il verdetto è di facile lettura: a Sky va la
polpa del campionato per la trasmissione sul satellite e sul digitale,
territorio che Mediaset presidia in esclusiva; al Biscione va l’osso a prezzi
gonfiati.
Bogarelli
rimedia con una proposta indecente
A Cologno Monzese non sono sprovveduti,
iniziano a baccagliare, a invocare i regolamenti, la legge Melandri.
Strepitano: non potete consegnare il calcio italiano a Murdoch, l’operatore
unico è illegittimo. Infront asseconda le richieste di Mediaset, Bogarelli
innesca le trame. Oltre ai diritti tv, Infront
gestisce il marchio di decine di società
(Inter, Milan, Udinese, Genoa, Lazio) e grazie ai sodali
Tavecchio&Lotito anche la Nazionale. In assemblea di Lega, il Milan – e
dunque Mediaset – dispone di una maggioranza che non tollera la minoranza,
ristretta a Roma e Juve. A Bogarelli viene in mente una bizzarra soluzione,
nient’altro che una finzione per richiamare i duellanti nei ranghi: dice ai
Berlusconi e ai Murdoch, perché non vi scambiate
le piattaforme? Il digitale va a Sky, che ha promesso più denaro; il satellite va a Mediaset,
piazzatasi seconda con onore. Ai presidenti, poi, Bogarelli fa annusare un
assegno annuo di 1,1 miliardi, ben più ingente dei 954 stabiliti in partenza.
Perfetto, no? Sky intravede la trappola,
e reagisce con una diffida legale e una richiesta di appuntamento a Matteo
Renzi per fare pressioni.
Il
Biscione e la sub-licenza in favore dei rivali
Il 23 giugno, giorno di riunione in Lega, a
palazzo Chigi sfilano l’amministratore delegato Andrea Zappia e
il presidente James Murdoch. Con le
parti distanti e in assetto di guerra, per Infront
è un giochetto proporre il patto: a ciascuno il suo, a Sky il satellite con un prezzo calmierato (572 milioni), a Mediaset
il digitale per 373. E il pacchetto
meno ambito (D), che spetta al Biscione, viene girato a Sky in sub licenza.
I presidenti, gabbati, incassano 2,9 miliardi anziché i 3,3 favoleggiati da
Bogarelli.
L’Agcom
e l’Antitrust ratificano. Tutti tacciono.
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