da: La Stampa
Sugli
insegnanti specializzati s’è acceso il dibattito: queste figure professionali
vanno riformate? Formare docenti che conoscono a fondo le singole disabilità
significaincludere meglio e di più
di Gianluca
Nicoletti
Di «Buona Scuola» si è molto parlato, ma solo da pochi giorni, e per i più quasi fosse un dettaglio di contorno, il tema dell’inclusione scolastica ha sollevato dibattito tra media ufficiali e blog di settore. Il principale oggetto del contendere è la ridefinizione dell’insegnante di sostegno, che nella legge dovrebbe assumere carattere specialistico e declinato su singole disabilità.
Fare il sostegno diventerebbe una ben precisa scelta formativa e professionale, non più
un incarico a tempo per docenti di ogni disciplina.
È veramente sconsolante rendersi però conto
che in questo dibattito i ragazzi disabili, reali soggetti bisognosi di tutela
e attenzione, non siano considerati centrali, sembrano essere solo un’entità
omogenea e astratta necessaria a giustificare la presenza degli insegnati a
loro dedicati.
Il mio punto di vista è, come noto, quello
di genitore di un ragazzo autistico e quindi disabile grave.
Insegnanti, non badanti
Desidero che mio figlio possa il più possibile avvantaggiarsi di quella stupenda
scuola inclusiva che tutto il mondo c’invidia, ma non mi posso accontentare
che il periodo scolastico si limiti a fornirmi dei «badanti» che tengano
d’occhio il ragazzo, tanto per trattenermelo fuori casa qualche ora al giorno.
Vorrei che mio figlio facesse veramente e concretamente parte di una classe di
suoi coetanei, non avesse l’impressione di essere un peso e un ostacolo
all’apprendimento degli altri, o fosse messo a fare scarabocchi su un foglio
tanto per dargli l’impressione di fare qualcosa di assimilabile a quello che fa
il resto della classe. Senza dovermi sentire in colpa e sommessamente chiedere
come favore quello che dovrebbe essere un diritto. La posizione opposta è
naturalmente quella che tende a conservare l’indubbio vantaggio del sostegno
inteso come una sorta di periodo di «servizio militare», in cui i nostri figli
vengono usati come cavalli di Troia per il miglioramento di qualche carriera.
Pari dignità
Mi ferisce l’enorme spietatezza di chi si
scopre improvvisamente paladino della dignità professionale degli insegnanti di
sostegno, che nella specializzazione si sentirebbero declassati. Mi si vuol
dire che sia un’attività minoritaria studiare per salvare un essere umano
dall’emarginazione sociale e dal baratro degli istituti che lo attendono dopo
la scuola? E’ considerabile meno dignitoso che insegnare geografia o
letteratura latina? Non mi si tiri fuori la scusa di una scuola
«medicalizzata», se si vuole dare a chi ha un handicap grave una chance reale
bisogna aver studiato a fondo gli strumenti di comunicazione per chi ha quel
tipo di problema, soprattutto se tocca il campo della psiche, del deficit
sensoriale, delle difficoltà di relazione. Altrimenti per questi figli minori
la scuola continuerà a essere un parcheggio nei corridoi, negli stanzini
rimediati, chiamati con palese controsenso «aula sostegno».
Dopo di noi
Noi genitori non ci auguriamo il ritorno
alla scuola speciale, ma una scuola che sia veramente adeguata a contenere
qualsiasi sfumatura speciale, in cui sia impegnato ogni essere umano che la
frequenti, dal preside al bidello, passando per tutti gli insegnanti e gli
alunni neurotipici e normodotati. Con la maggiore età gli altri ragazzi
lasceranno la scuola e bene o male incontreranno la vita, per i nostri invece
non ci sarà altro, la scuola che avranno frequentato sarà stata la più potente
e unica occasione per continuare a essere considerati cittadini a tutti gli
effetti. La nostra sola speranza è una buona scuola che dia loro dignità e ci
faccia sperare che per loro esista un’altra possibile chance, oltre la
segregazione in casa o in centri di raccolta per umani imperfetti.
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