La cultura ecologica non si può ridurre a
una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo
al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento.
Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma
educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una
resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico. Diversamente,
anche le migliori iniziative ecologiste possono finire rinchiuse nella stessa
logica globalizzata. Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema
ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono
connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale.
È possibile, tuttavia, allargare nuovamente
lo sguardo, e la libertà umana è capace di limitare la tecnica, di orientarla,
e di metterla al servizio di un altro tipo di progresso, più sano, più umano,
più sociale e più integrale. La liberazione dal paradigma tecnocratico
imperante avviene di fatto in alcune occasioni. Per esempio, quando comunità di
piccoli produttori optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo
un modello di vita, di felicità e di convivialità non consumistico. O quando la
tecnica si orienta prioritariamente a
risolvere i problemi concreti degli
altri, con l’impegno di aiutarli a vivere con più dignità e meno sofferenze. E
ancora quando la ricerca creatrice del bello e la sua contemplazione riescono a
superare il potere oggettivante in una sorta di salvezza che si realizza nel
bello e nella persona che lo contempla. L’autentica umanità, che invita a una
nuova sintesi, sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi impercettibilmente,
come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa. Sarà una promessa permanente,
nonostante tutto, che sboccia come un’ostinata resistenza di ciò che è
autentico?
Ciò che sta accadendo ci pone di fronte
all’urgenza di procedere in una coraggiosa rivoluzione culturale. La scienza e
la tecnologia non sono neutrali, ma possono implicare dall’inizio alla fine di
un processo diverse intenzioni e possibilità e possono configurarsi in vari
modi. Nessuno vuole tornare all’epoca delle caverne, però è indispensabile
rallentare la marcia per guardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli
sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i
grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane.
La critica all’antropocentrismo deviato non
dovrebbe nemmeno collocare in secondo piano il valore delle relazioni tra le
persone. Se la crisi ecologica è un emergere o una manifestazione esterna
della crisi etica, culturale e spirituale della modernità, non possiamo
illuderci di risanare la nostra relazione con la natura e l’ambiente senza
risanare tutte le relazioni umane fondamentali. Quando il pensiero cristiano
rivendica per l’essere umano un peculiare valore al di sopra delle altre
creature, dà spazio alla valorizzazione di ogni persona umana, e così stimola
il riconoscimento dell’altro. L’apertura ad un “tu” in grado di conoscere,
amare e dialogare continua ad essere la grande nobiltà della persona umana.
Perciò, in ordine ad un’adeguata relazione con il creato, non c’è bisogno di
sminuire la dimensione sociale dell’essere umano e neppure la sua dimensione
trascendente, la sua apertura al “Tu” divino. Infatti, non si può proporre una
relazione con l’ambiente a prescindere da quella con le altre persone e con
Dio. Sarebbe un individualismo romantico travestito da bellezza ecologica e un
asfissiante rinchiudersi nell’immanenza.
Dal momento che tutto è in relazione, non è
neppure compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto.
Non appare praticabile un cammino educativo per l’accoglienza degli esseri
deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si
dà protezione a un embrione umano benché il suo arrivo sia causa di disagi e
difficoltà: «Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza
di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si
inaridiscono».
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