da: http://www.linkiesta.it/
Le proposte che il governo inserirà nella
legge di stabilità non sono né di destra, né di sinistra: sono inefficienti,
illiberali, ingiuste
Il modo con cui il governo
Renzi ha deciso di combattere gli “sprechi” nella sanità non è di destra o di
sinistra: è sbagliato, da qualunque parte lo si guardi. È controproducente
perché mina il rapporto di fiducia tra i medici e i pazienti. È illiberale,
perché prevede l’inversione dell’onere della prova a danno della parte debole,
il paziente. È anti-democratico, perché non è basato su dati o evidenze
empiriche che siano state messi a disposizione dell’opinione pubblica e che siano
stati oggetto di un dibattito aperto e trasparente. È economicamente
inefficiente, perché rischia di infliggere un colpo mortale ad una delle poche
eccellenze del settore pubblico e dell’economia italiana. È ingiusto, infine,
perchè aumentando le diseguaglianze, depotenzia l’effetto di inclusione sociale
che il sistema sanitario universale ha consentito di realizzare in Italia.
La
lotta alle prescrizioni inutili non si fa con un meccanismo sanzionatorio per i
medici
Andiamo con ordine. È corretto combattere
l’uso eccessivo e inutile di farmaci e diagnostica. È corretto rendere i medici
e i pazienti più consapevoli dei vantaggi
ma anche dei limiti delle nuove
tecnologie. Ma il governo non sta
proponendo un nuovo "manualone" o corsi di aggiornamento o un’azione di controllo ex-post più
incisiva. Con la Legge di Stabilità
intende introdurre un meccanismo
sanzionatorio nei confronti dei medici che prescrivano visite o esami
ritenuti non necessari. In pratica, facendo pagare ai medici tutto o parte del
costo sostenuto dal Servizio Sanitario Nazionale.
Il paziente non deve avere il minimo dubbio
su quale sia l’obiettivo unico, senza se e senza ma, del professionista a cui
affida la cura della salute propria o dei familiari. In sé, quindi, non è una
cosa né di destra né di sinistra. È semplicemente un errore madornale. Ma le
sue conseguenze, economiche e sociali, non sono certo di sinistra. Ad esempio: se l’obiettivo è ridurre la spesa per
esami, vuol dire che i pazienti dovranno rinunciare o, altrimenti, pagare di
tasca propria. E se la domanda di cosiddetti esami “inutili” fosse
equamente distribuita per fasce di reddito, ne soffrirebbero maggiormente i più
poveri. Ma, visto che le condizioni di salute dei più poveri sono peggiori di
quelle dei più ricchi, l’effetto è addirittura maggiore e, per di più,
destinato ad ampliarsi nel tempo. La riduzione della medicina preventiva da
parte dei poveri “giovani” aumenterà il rischio di malattie con l’avanzare
dell’età.
L’inversione
dell’onere della prova è indegna di una democrazia liberale
Una maggiore consapevolezza dei propri
diritti e l’innalzamento degli standard di qualità e sicurezza hanno ovviamente
portato ad un rapporto diverso dei consumatori nei confronti dei fornitori di
servizi e di prodotti. Questo è accaduto, per fortuna, anche nella medicina.
Quando una casa automobilistica richiama migliaia di auto perché in un paio di
casi il pedale del freno si è incastrato provocando incidenti mortali,
probabilmente il 99% degli interventi di riparazione è “inutile”. Ma qualcuno
definirebbe la cosa uno “spreco”? Sicuramente, bisogna evitare un eccesso di
litigiosità. È bene limitare e regolamentare le richieste di danni. Ma quello
che il governo sta proponendo, nel campo medico, è una cosa radicalmente
diversa. Visto che la stretta sugli esami “inutili” rischia di provocare
valanghe di cause e che il timore di essere portati davanti ad un giudice è più
forte della sanzione pecuniaria del ministero, il governo sta valutando
l’opportunità di proteggere medici e strutture ospedaliere invertendo l’onere
della prova. Toccherebbe quindi al paziente, in barba a precise sentenze della
Corte Costituzionale, provare la colpa del medico. Ma in quale democrazia
liberale l’onere della prova grava sulla parte debole?
Dove
sono e cosa dicono i dati?
Nelle democrazie moderne, scelte così
importanti come quelle che riguardano la salute dei cittadini, dovrebbero
essere basate su evidenze empiriche. Poi si prendono le decisioni. Nelle repubbliche delle banane le decisioni
vengono prese in base al sentito dire. Il ministro Beatrice Lorenzin in parecchie interviste ha parlato di 13 miliardi di euro di “sprechi” relativamente
ad esami e analisi diagnostiche “inutili”. Secondo il ministro, i medici li
prescrivono non per scrupolo ma per puro scopo “difensivo”, cioè per evitare
cause da parte dei pazienti. Non si hanno fonti o studi da cui dedurre le stime
e le supposizioni del ministro. Quindi, bisogna fare un po’ di conti per
verificare se i “numeri” del ministro hanno senso.
La spesa sanitaria pubblica in Italia è
pari circa a 110 miliardi di euro, il 7% del Pil. Da notare che è stabile su
tale livello dal 2008, nonostante nel frattempo la popolazione sia
ulteriormente invecchiata. In rapporto al Pil siamo su livelli medio-bassi tra
i paesi avanzati. Stando alla Ragioneria Generale dello Stato, l’assistenza
specialistica, all’interno della quale rientrano “attività clinica, attività di
laboratorio ed attività di diagnostica strumentale e per immagini”, pesa
l’1,02% del Pil, ovvero 16 miliardi di euro.
Forse il Ministro si è confuso. Forse hanno
capito male i giornalisti. Ma è plausibile ritenere che su 16 miliardi ben 13
miliardi (l’81%) siano uno spreco inutile? In realtà, recuperando vecchie slide
di una presentazione del Ministero della Salute, si trova una stima in 10
miliardi di euro per il costo della medicina “difensiva”, di cui 3,2 miliardi
attribuibili a visite specialistiche e analisi. La fonte probabilmente è
l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) che nell’aprile
del 2015 ha dedicato un Quaderno Agenas alla medicina difensiva. Domanda: tutto
ciò che viene definito medicina preventiva è uno spreco?
La
medicina difensiva è solo uno spreco?
No, non siamo d’accordo. La tecnologia e il
ricorso agli specialisti rappresentano comunque una carta in più per il medico
di base e una garanzia per il paziente. Senza nulla togliere ai medici di base,
crediamo veramente che nel 2010 la medicina sia l’ultima professione in cui si
possa fare a meno della tecnologia e della specializzazione? Gli standard
richiesti dai consumatori si sono alzati nel tempo in tutti i campi. Basti
pensare alle emissioni inquinanti delle automobili. Solo trent’anni fa, non
esistevano nemmeno le marmitte catalitiche. A occhio e sulla base della
“esperienza” non si valuta più nemmeno la sicurezza di una caldaia o di un
impianto elettrico, figuriamoci la salute di una persona.
Per valutare quanta parte della medicina
difensiva è uno spreco, bisognerebbe quindi esaminare a campione gli esiti
negativi e ricostruire la storia clinica del paziente. Verificando dove si sia
trattato di incapacità del professionista (che è un caso diverso dalla medicina
difensiva) o di un eccesso di scrupolo (e questo va solo bene) o di un vero e
proprio esame ingiustificato. Invece, sembra prevalere un bias ideologico
nei confronti della medicina difensiva, che viene accomunata al tout court allo
“spreco”. Questo è evidente nel testo e in numerose tabelle del Quaderno di
Agenas citato prima. Anche ammettendo che tutta la medicina difensiva sia uno
spreco, in termini percentuali siamo su livelli enormi: il 20% rispetto al
costo di tutta la specialistica.
Il
sospetto è che per stimare il costo si sia fatto riferimento a studi su una
realtà diversa da quella italiana. Il sospetto viene
confermato da una nota in corpo 8 alla tabella 1 del Quaderno Agenas. La fonte
a cui hanno attinto le slides sopraccitate del Ministero.
Ebbene, nella nota c’è scritto che la stima
di 22 miliardi di sprechi causati dalla medicina difensiva - il 20% circa di
tutta la spesa sanitaria italiana, comprese spese amministrative, lavoro, oneri
finanziari - deriva dalla proiezione di uno studio americano fatto sul sistema
sanitario americano. Ora, il sistema americano è il più costoso e il più
inefficiente al mondo. Gli americani spendono, a causa di un sistema
privatistico, una cifra spaventosa - il 16,9% del Pil, quasi il doppio di
quanto si spende in Italia- con risultati miseri – la loro aspettativa di vita
è da paese in via di sviluppo. È ovvio che negli Usa ci siano sprechi
giganteschi. Ma con quale criterio è possibile proiettare i risultati di uno
studio americano su un sistema totalmente diverso come quello italiano?
Tra l’altro, l’autore principale dello
studio, Donald Berwick, responsabile sotto la Presidenza Obama dei programmi
Medicaid e Medicare, rivolge esplicitamente la propria critica al sistema
sanitario americano. E per farlo indica come esempio un sistema sanitario
europeo, quello inglese, che è pubblico e universale come quello italiano e che
ha livelli di spesa leggerissimamente superiori ai nostri. Curioso, no?
Negli Stati Uniti si utilizza un modello di sanità simile a quello italiano per
tagliare gli sprechi della sanità, mentre noi italiani utilizziamo il loro
modello per valutare le nostre inefficienze.
I
risparmi previsti nella legge di stabilità
Veniamo allora ai numeri, un po’ più
modesti e ragionevoli, contenuti nella prossima legge di stabilità. Anche in
questo caso non ci sono studi a disposizione dell’opinione pubblica e dobbiamo
rifare un po’ di conti. In un articolo di Repubblica del 25 settembre scorso,
una fonte evidentemente ministeriale riferisce che il numero di Tac eseguite in
Italia a carico del Servizio Sanitario Nazionale sono state 3,8 milioni nel
2014. Visto che in Italia siamo 60 milioni, fa circa 63 esami ogni 1.000
abitanti. Orbene, la media europea delle Tac, stando ai dati Ocse-Eu, era 7
anni fa (2008) pari a 140 ogni mille abitanti! Con 63 esami siamo al minimo
europeo del 2008. Se si vuole avere un termine di confronto: Francia 130,
Danimarca, Repubblica Ceca, Slovacchia 84, Lussemburgo 175. La Grecia svettava
allora con 321 esami all’anno, ma il sospetto è che ci fosse di mezzo più la
truffa ai danni dello Stato che non la medicina difensiva.
Altro dato, sempre preso dall’articolo di Repubblica:
si ipotizza che il 25% delle risonanze magnetiche sia inutile, cioè circa 1
milione di esami per un risparmio massimo per lo Stato stimato in 165 milioni
di euro. Questo torna con il costo medio (per il SSN) di una Tac articolare che
è sui 169 euro. Tuttavia, ci si dimentica che esiste il ticket e che questo è
pari a circa 66 euro, per chi non è esente per reddito o per malattia. Ma, se
teniamo conto del ticket, anche se fosse vero che il 25% delle risonanze è
inutile, il risparmio potrebbe ridursi a 100 milioni di euro. Sommando i
risparmi su diagnostica vengono insomma cifre modeste anche ipotizzando
percentuali “americane” di spreco.
Conclusioni
Alla fine quindi che senso ha incidere sulla relazione paziente-medico in questa maniera? Per uno spreco tutto da dimostrare di 100-200 milioni, che non è nulla in una manovra finanziaria da 27 miliardi, si va a colpire una delle poche cose di cui l’Italia deve andare fiera, il suo servizio sanitario. Il sistema sanitario italiano è considerato da Bloomberg- in base ai dati forniti da Banca Mondiale, FMI e Organizzazione Mondiale della Sanità - il primo in Europa e il terzo al mondo. La Francia è all’ottavo posto. Gli Usa oltre il quarantesimo.
Alla fine quindi che senso ha incidere sulla relazione paziente-medico in questa maniera? Per uno spreco tutto da dimostrare di 100-200 milioni, che non è nulla in una manovra finanziaria da 27 miliardi, si va a colpire una delle poche cose di cui l’Italia deve andare fiera, il suo servizio sanitario. Il sistema sanitario italiano è considerato da Bloomberg- in base ai dati forniti da Banca Mondiale, FMI e Organizzazione Mondiale della Sanità - il primo in Europa e il terzo al mondo. La Francia è all’ottavo posto. Gli Usa oltre il quarantesimo.
Ma perché, al posto di incentivare
l’acquisto di chissà quale inutile macchinario o la costruzione di un’altra
autostrada deserta, il governo non dedica qualche miliardo di euro ad
acquistare nuove Tac e ad assumere nuovo personale specializzato? Perché non
focalizzare la politica industriale sulla diagnostica e il biomedicale? Questa
sì che sarebbe spesa produttiva, che fa aumentare il Pil. E poi sediamoci e
discutiamo se è il caso di innalzare i ticket per i più abbienti.
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