“Il
Paese di Tartuffe combatte i boss da morti e i magistrati da vivi”
da: Il Fatto Quotidiano – 22 agosto
Il
Paese di Tartuffe si
vergogna perché le immagini del Funeral Party a Casamonica fanno il giro
del mondo, ma ha già dimenticato quando B. definì nella campagna elettorale
2008 il boss Vittorio Mangano “un eroe” perché non aveva parlato di lui né di
Marcello Dell’Utri. Dopodiché rivinse le elezioni e tornò al governo per tre
anni, poi fu richiamato in servizio da Napolitano nel 2013 per le larghe intese
con Letta e nel 2014 da Renzi per il Patto del Nazareno in veste di padre
costituente.
Il
Paese di Tartuffe s’indigna per il Funeral Party al presunto boss
Casamonica, ma non dice una parola
sul sicuro mafioso Dell’Utri che,
dopo la fuga in Libano, risiede da 14 mesi nel carcere di Parma a poche celle
di distanza da Riina, per scontarvi una condanna definitiva a 7 anni di
reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Motivo: aver propiziato nel 1974 “un patto”
tra “Berlusconi, Cinà, Bontade e Teresi (gli ultimi tre sono boss mafiosi, ndr)
in base al quale l’imprenditore milanese avrebbe effettuato il pagamento di
somme di denaro a Cosa Nostra
per ricevere in cambio protezione”; e “in virtù
del patto i contraenti (Cosa Nostra da una parte e Berlusconi dall’altra) e il
mediatore contrattuale (Dell’Utri), legati tra loro da rapporti personali,
hanno conseguito un risultato concreto e tangibile, costituito dalla garanzia
della protezione personale dell’imprenditore mediante l’esborso di somme di
denaro che Berlusconi ha versato a Cosa Nostra tramite Dell’Utri che, mediando
i termini dell’accordo, ha consentito che l’associazione mafiosa rafforzasse e
consolidasse il proprio potere sul territorio”. Il tutto “nell’arco di un
ventennio”. Poi Dell’Utri creò Forza Italia, di cui fu 4 volte parlamentare e 2
eurodeputato.
Il
Paese di Tartuffe se la prende col parroco che ha celebrato il
Funeral Party, con i vigili che hanno scortato il feretro, con le autorità che
non hanno vietato l’immondo show e addirittura con l’elicotterista che ha
sganciato petali di fiori sul corteo funebre (ecco: è lui il colpevole di
tutto), ma non fece una piega quando
il presidente della Repubblica Napolitano, il presidente del Senato Grasso e il
presidente del Consiglio Letta –prima, seconda e quarta carica dello Stato
omaggiarono la salma di Giulio Andreotti, di cui la Cassazione aveva detto
molto peggio che di Casamonica: cioè che era stato mafioso fino al 1980, “reato
commesso” ma prescritto.
Il
Paese di Tartuffe si scandalizzò quando scoprì che Renatino De Pedis, boss
e killer della Magliana, era sepolto nella basilica vaticana di
Sant’Apollinare, ma sorvolò sui rapporti
con la Banda intrattenuti dal clan Andreotti ed ereditati da decine di politici
e funzionari di ogni colore fino al blitz di Mafia Capitale.
Il
Paese di Tartuffe non alza un sopracciglio se il Ros
arresta Riina ma non perquisisce il suo covo, poi fa scappare Bagarella a Terme
di Vigliatore, poi fa fuggire pure Provenzano a Mezzojuso, e per premio il
generale Mario Mori e il capitano Ultimo vengono promossi; poi Ultimo, al
comando del Noe, fa indagini delicatissime su Bisignani, il tesoro della Lega,
il generale Adinolfi, Finmeccanica, i rapporti coop rosse-camorra, e viene
subito rimosso senza che nessuno faccia un plissè.
Il
Paese di Tartuffe si domanda cosa c’è dietro le complicità di
politici e forze dell’ordine con i Casamonica, ma se ne infischia allegramente di quelle di politici e forze
dell’ordine con Cosa Nostra che, dopo le stragi del 1992-’93, ottenne dallo
Stato non un funerale kitsch, ma quasi tutto quel che chiedeva (dalla revoca di
centinaia di 41-bis allo smantellamento della legislazione antimafia), dopo una
regolare trattativa condotta dal Ros e dai politici retrostanti, oggi imputati
nel silenzio generale davanti a magistrati condannati a morte nell’indifferenza
generale.
Il Paese
di Tartuffe combatte i boss da morti e i magistrati da vivi.
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