da: Huffington Post
Ungheria, Austria, treni, gas. Quattro
parole evocative, memorie che ci aggrediscono inaspettatamente mentre parliamo
di altro. Parliamo di immigrazione e la cronaca attuale improvvisamente prende
un'altra forma, di un altro tempo. Parliamo, sì, di immigrazione e alla mente
la parola arriva trasformata in "Jude", "Jew",
"Ebreo".
Non siamo qui a dare la colpa ai figli dei
peccati dei padri. Ma in queste ore drammatiche in Ungheria non solo è impossibile non dirlo, è
obbligatorio denunciare la mortale associazione, è necessario dire che tutto
quello che sta succedendo intorno agli immigrati nei Balcani ci riporta a galla
la distruzione degli ebrei in quelle strade e in quei paesi, tanti anni fa. Ma
non tanti da aver dimenticato.
Per i nostri Millennials che sono nati per fortuna in un secolo diverso, val la pena ricordare cosa è successo. Era il 1944, marzo, mesi finali della Guerra. In Ungheria vivevano 569.000 ebrei, il 69% della popolazione, la più grande comunità ancora esistente sul suolo europeo dopo l'annientamento di quelle dell'URSS e della Polonia (vedi i dati più in basso). In Marzo, temendo che gli ungheresi si sganciassero unilateralmente dal conflitto, come già successo con
Il primo treno per Auschwitz partì il 28
aprile 1944 dal campo di Kistarcsa, vicino a Budapest. In totale, vennero
deportati circa 438 000 ebrei ungheresi, nell'arco di tre mesi. Solo ad
Auschwitz, comunque, arrivarono almeno 53 treni, ciascuno dei quali portava
circa 3000 ebrei. Per far fronte a un flusso così imponente di nuovi deportati,
il campo fu dotato di una terza rampa ferroviaria: gli ebrei ungheresi (e, più
in generale, coloro che arrivarono a partire dal maggio 1944) non sbarcarono
più sulla Judenrampe, ma all'interno stesso del campo di Birkenau, mentre una
nuova torre di controllo, anch'essa terminata nel maggio del 1944, permetteva
di sorvegliare dall'alto l'insieme delle operazioni.
[Quanti ebrei furono assassinati in ciascun
paese e percentuale rappresentata della popolazione ebraica in ogni nazione
prima della Guerra]
Austria 50.000 -- 27,0%
Italia 7.680 -- 17,3%
Belgio 28.900 -- 44.0%
Lettonia 71.500 -- 78,1%
Boemia, Moravia 78.150 -- 66,1%
Lituania 143.000 -- 85,1%
Bulgaria 0 -- 0.00%
Lussemburgo 1.950 -- 55,7%
Danimarca 60 -- 0.7%
Paesi Bassi 100.000 -- 71,4%
Estonia 2.000 - 44,4%
Finlandia 7 -- 0,3%
Polonia 3.000.000 -- 90,9%
Francia 77.320 - 22,1%
Romania 287.000 -- 47.1%
Germania 141.500 -- 25,0%
Slovacchia 71.000 -- 79,8%
Grecia 67.000 -- 86,6%
Unione Sovietica 1.100.000 -- 36,4%
Ungheria 569.000 -- 69,0%
Jugoslavia 63.300 -- 81,2%
[Fonte: Enciclopedia dell'Olocausto]
Uno sterminio particolarmente memorabile,
per la sua vicinanza alla conclusione della Guerra (il 18 gennaio 1945 le
ultime truppe Nazi si arresero), e per il ruolo attivissimo della
collaborazione, anche sul finire del conflitto, delle forze e della popolazione
ungheresi. Il Paese fu diviso in cinque zone: ogni zona corrispondeva a uno o
due distretti della gendarmeria magiara, che accettò di partecipare
all'operazione mettendo a disposizione 20.000 uomini.
Mi rendo conto di camminare su un terreno
delicato nel ricordare queste vicende. Non intendo qui dire, infatti, che
l'Ungheria attuale si comporta come in epoca nazista nei confronti dei
migranti.
L'Italia è stata alleata dei Nazisti, buona
parte dell'Europa, se non tutta, lo fu, per forza o per volontà. E quella
storia è irripetibile. La stessa Ungheria, come altri paesi dell'Est, ha
vissuto poi per anni sotto un altro regime violento, quella dittatura sovietica
che nel 1956, in una delle decisioni più rilevanti per la storia europea del
dopoguerra, inviò i carri armati a spegnere ogni ambizione di governo
indipendente. Nel quasi totale, e repellente, silenzio dell'Europa di allora.
Alla faccia di ogni retorica sulla Resistenza al Nazifascismo.
Ma questa storia per quanto irripetibile è
dentro di noi, è parte del nostro Dna, dei nostri sogni e dei nostri incubi. La
mole di libri e materiale che la Seconda Guerra Mondiale, la Germania, il
nazismo, il comunismo, muovono ancora oggi basterebbe da sola a certificare il
nostro continuo senso di sgomento di fronte al nostro passato, la sua persistente
incomprensibilità, e, soprattutto, la sua incancellabilità persino per noi che
ne siamo solo figli e nipoti.
Al fondo, molto al fondo, della nostra
Europa Comune, essa stessa proiezione del nostro desiderio di non ripetere il
passato, la Barbarie ha ancora il suo posto - è ancora l'inconscio della nostra
età, il substrato oscuro psicanalitico delle nostre paure: l'estetica delle
guerre attuali e, a volte, della politica, è una eco degli stilemi di allora; i
crimini per razza, genere e cittadinanza trasformati in strumenti di
distruzione di massa sono ancora al centro dei conflitti dei nostri tempi. La
stessa debolezza dell'Europa oggi a qualsiasi impegno, e persino la nostra
stessa voluta insensibilità a qualunque cosa ci riproponga i dilemmi di allora,
nonché la riluttanza a riconoscersi parte di un mondo più grande, sono
espressione di quel fondo oscuro.
E però quel fondo oscuro poi risale a
galla, involontario. Nelle associazioni mentali, nell'uso di parole, nelle
nostalgie. Oggi l'intera vicenda integrazione/immigrazione può essere riletta
lungo il filo della eredità del passato. La paura di cedere i confini
nazionali, la rabbia contro lo straniero, lo zingaro, paesi forti, paesi
deboli, l'ossessione del dominio. E poi le stazioni, i treni, il gas lacrimogeno,
i campi di raccolta che diventano come campi di concentramento.
In ogni paese queste associazioni
riecheggiano ogni giorno in più anche nelle vicende politiche - il ritorno
della destra razzista, laddove nella storia essere di destra e razzista non è
mai stato un binomio obbligato; le nostalgie antisemite mai spente che poi
evolvono in sentimenti anti immigranti; infine il diniego delle forze
democratiche a riconoscere la vera dimensione del problema.
Degli anni fra le guerre abbiamo persino
riproposta oggi una grande crisi economica, che, come allora, ha spazzato bolle
di ricchezze finte, ma non per questo meno apprezzate.
È molto facile, su questa falsariga, farsi
prendere dalla vertigine dell'oscuro. Ma per questo è ancora più necessario
parlarne.
L'Europa ha oggi davanti a sé ogni
possibilità di non riprendere la strada del passato. La Germania per prima, con
tutte le sue responsabilità economiche nella attuale crisi, sembra aver capito
che l'immigrazione è uno dei volti oggi della Guerra fra Mondi, ed è
rilevantissimo che stia oggi interpretando un ruolo di paese guida
nell'indicare una soluzione: aprendo le frontiere, invece di chiuderle.
È una svolta, quella tedesca, che da sola
basta ad accelerare la creazione di un nuovo clima in Europa tutta.
Ma non bisogna farsi illusioni. Nessuna
soluzione istituzionale guarirà mai l'Europa delle sue malattie senza che ogni
individuo, ogni suo cittadino faccia i conti con se stesso. Il dubbio è dentro
ognuno di noi. Chi non si è mai chiesto nella vita, guardando al passato,
"cosa avrei fatto se fossi stato a Roma, a Berlino, in Ungheria, in
Olanda? Se avessi visto arrivare le SS, i fascisti, le milizie
collaborazioniste, avrei aperto la mia casa a un ebreo, a un resistente, a uno
zingaro, a un uomo in fuga? O avrei guardato altrove?"
Per il passato non sappiamo, ma qui e ora
abbiamo una nuova possibilità di darci una risposta.
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