giovedì 3 settembre 2015

Lucia Annunziata: Il passato oscuro che pesa sull'Europa



da: Huffington Post

Ungheria, Austria, treni, gas. Quattro parole evocative, memorie che ci aggrediscono inaspettatamente mentre parliamo di altro. Parliamo di immigrazione e la cronaca attuale improvvisamente prende un'altra forma, di un altro tempo. Parliamo, sì, di immigrazione e alla mente la parola arriva trasformata in "Jude", "Jew", "Ebreo".
Non siamo qui a dare la colpa ai figli dei peccati dei padri. Ma in queste ore drammatiche in Ungheria non solo è impossibile non dirlo, è obbligatorio denunciare la mortale associazione, è necessario dire che tutto quello che sta succedendo intorno agli immigrati nei Balcani ci riporta a galla la distruzione degli ebrei in quelle strade e in quei paesi, tanti anni fa. Ma non tanti da aver dimenticato.

Per i nostri Millennials che sono nati per fortuna in un secolo diverso, val la pena ricordare cosa è successo. Era il 1944, marzo, mesi finali della Guerra. In Ungheria vivevano 569.000 ebrei, il 69% della popolazione, la più grande comunità ancora esistente sul suolo europeo dopo l'annientamento di quelle dell'URSS e della Polonia (vedi i dati più in basso). In Marzo, temendo che gli ungheresi si sganciassero unilateralmente dal conflitto, come già successo con
altri alleati in Europa, Hitler "occupò" il paese, operazione affidata ad Adolf Eichmann in persona. I Nazi privarono di autorità l'ammiraglio Horthy, e consegnarono il potere a Ferenc Szálasi, capo del movimento filonazista delle Croci frecciate (16 ottobre 1944).
Il primo treno per Auschwitz partì il 28 aprile 1944 dal campo di Kistarcsa, vicino a Budapest. In totale, vennero deportati circa 438 000 ebrei ungheresi, nell'arco di tre mesi. Solo ad Auschwitz, comunque, arrivarono almeno 53 treni, ciascuno dei quali portava circa 3000 ebrei. Per far fronte a un flusso così imponente di nuovi deportati, il campo fu dotato di una terza rampa ferroviaria: gli ebrei ungheresi (e, più in generale, coloro che arrivarono a partire dal maggio 1944) non sbarcarono più sulla Judenrampe, ma all'interno stesso del campo di Birkenau, mentre una nuova torre di controllo, anch'essa terminata nel maggio del 1944, permetteva di sorvegliare dall'alto l'insieme delle operazioni.

[Quanti ebrei furono assassinati in ciascun paese e percentuale rappresentata della popolazione ebraica in ogni nazione prima della Guerra]
Austria 50.000 -- 27,0%
Italia 7.680 -- 17,3%
Belgio 28.900 -- 44.0%
Lettonia 71.500 -- 78,1%
Boemia, Moravia 78.150 -- 66,1%
Lituania 143.000 -- 85,1%
Bulgaria 0 -- 0.00%
Lussemburgo 1.950 -- 55,7%
Danimarca 60 -- 0.7%
Paesi Bassi 100.000 -- 71,4%
Estonia 2.000 - 44,4%
Finlandia 7 -- 0,3%
Polonia 3.000.000 -- 90,9%
Francia 77.320 - 22,1%
Romania 287.000 -- 47.1%
Germania 141.500 -- 25,0%
Slovacchia 71.000 -- 79,8%
Grecia 67.000 -- 86,6%
Unione Sovietica 1.100.000 -- 36,4%
Ungheria 569.000 -- 69,0%
Jugoslavia 63.300 -- 81,2%
[Fonte: Enciclopedia dell'Olocausto]

Uno sterminio particolarmente memorabile, per la sua vicinanza alla conclusione della Guerra (il 18 gennaio 1945 le ultime truppe Nazi si arresero), e per il ruolo attivissimo della collaborazione, anche sul finire del conflitto, delle forze e della popolazione ungheresi. Il Paese fu diviso in cinque zone: ogni zona corrispondeva a uno o due distretti della gendarmeria magiara, che accettò di partecipare all'operazione mettendo a disposizione 20.000 uomini.
Mi rendo conto di camminare su un terreno delicato nel ricordare queste vicende. Non intendo qui dire, infatti, che l'Ungheria attuale si comporta come in epoca nazista nei confronti dei migranti.

L'Italia è stata alleata dei Nazisti, buona parte dell'Europa, se non tutta, lo fu, per forza o per volontà. E quella storia è irripetibile. La stessa Ungheria, come altri paesi dell'Est, ha vissuto poi per anni sotto un altro regime violento, quella dittatura sovietica che nel 1956, in una delle decisioni più rilevanti per la storia europea del dopoguerra, inviò i carri armati a spegnere ogni ambizione di governo indipendente. Nel quasi totale, e repellente, silenzio dell'Europa di allora. Alla faccia di ogni retorica sulla Resistenza al Nazifascismo.
Ma questa storia per quanto irripetibile è dentro di noi, è parte del nostro Dna, dei nostri sogni e dei nostri incubi. La mole di libri e materiale che la Seconda Guerra Mondiale, la Germania, il nazismo, il comunismo, muovono ancora oggi basterebbe da sola a certificare il nostro continuo senso di sgomento di fronte al nostro passato, la sua persistente incomprensibilità, e, soprattutto, la sua incancellabilità persino per noi che ne siamo solo figli e nipoti.
Al fondo, molto al fondo, della nostra Europa Comune, essa stessa proiezione del nostro desiderio di non ripetere il passato, la Barbarie ha ancora il suo posto - è ancora l'inconscio della nostra età, il substrato oscuro psicanalitico delle nostre paure: l'estetica delle guerre attuali e, a volte, della politica, è una eco degli stilemi di allora; i crimini per razza, genere e cittadinanza trasformati in strumenti di distruzione di massa sono ancora al centro dei conflitti dei nostri tempi. La stessa debolezza dell'Europa oggi a qualsiasi impegno, e persino la nostra stessa voluta insensibilità a qualunque cosa ci riproponga i dilemmi di allora, nonché la riluttanza a riconoscersi parte di un mondo più grande, sono espressione di quel fondo oscuro.
E però quel fondo oscuro poi risale a galla, involontario. Nelle associazioni mentali, nell'uso di parole, nelle nostalgie. Oggi l'intera vicenda integrazione/immigrazione può essere riletta lungo il filo della eredità del passato. La paura di cedere i confini nazionali, la rabbia contro lo straniero, lo zingaro, paesi forti, paesi deboli, l'ossessione del dominio. E poi le stazioni, i treni, il gas lacrimogeno, i campi di raccolta che diventano come campi di concentramento.
In ogni paese queste associazioni riecheggiano ogni giorno in più anche nelle vicende politiche - il ritorno della destra razzista, laddove nella storia essere di destra e razzista non è mai stato un binomio obbligato; le nostalgie antisemite mai spente che poi evolvono in sentimenti anti immigranti; infine il diniego delle forze democratiche a riconoscere la vera dimensione del problema.
Degli anni fra le guerre abbiamo persino riproposta oggi una grande crisi economica, che, come allora, ha spazzato bolle di ricchezze finte, ma non per questo meno apprezzate.
È molto facile, su questa falsariga, farsi prendere dalla vertigine dell'oscuro. Ma per questo è ancora più necessario parlarne.
L'Europa ha oggi davanti a sé ogni possibilità di non riprendere la strada del passato. La Germania per prima, con tutte le sue responsabilità economiche nella attuale crisi, sembra aver capito che l'immigrazione è uno dei volti oggi della Guerra fra Mondi, ed è rilevantissimo che stia oggi interpretando un ruolo di paese guida nell'indicare una soluzione: aprendo le frontiere, invece di chiuderle.
È una svolta, quella tedesca, che da sola basta ad accelerare la creazione di un nuovo clima in Europa tutta.
Ma non bisogna farsi illusioni. Nessuna soluzione istituzionale guarirà mai l'Europa delle sue malattie senza che ogni individuo, ogni suo cittadino faccia i conti con se stesso. Il dubbio è dentro ognuno di noi. Chi non si è mai chiesto nella vita, guardando al passato, "cosa avrei fatto se fossi stato a Roma, a Berlino, in Ungheria, in Olanda? Se avessi visto arrivare le SS, i fascisti, le milizie collaborazioniste, avrei aperto la mia casa a un ebreo, a un resistente, a uno zingaro, a un uomo in fuga? O avrei guardato altrove?"
Per il passato non sappiamo, ma qui e ora abbiamo una nuova possibilità di darci una risposta.

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