giovedì 17 settembre 2015

Accoglienza e integrazione per i profughi: presidio No Borders a Ventimiglia




Frontiera di chi sogna un futuro
In Liguria un luogo di accoglienza autogestito dove persone in attesa di una vita nuova non riescono ad arrivare in Francia a causa delle  frontiere chiuse con l’Italia. 
di Elisa Palagi

Lo chiamano “la bolla” perché, al suo interno, tutto è diverso. Nel presidio permanente No Borders di Ventimiglia accoglienza, integrazione, collaborazione, processi decisionali condivisi sono alla base della vita quotidiana. Per capirlo bastano pochi minuti in questo preziosissimo campeggio autogestito, nato lo scorso 12 giugno sul lato italiano della frontiera con la Francia di Ponte san Ludovico. Lo spiega subito un’attivista: «Qui tutto si fa insieme».

Non tutti i ventimigliesi conoscono il presidio, o almeno non tutti forniscono volentieri le indicazioni per raggiungerlo. Ma una volta arrivati lo spirito che lo anima è chiaro: italiani, francesi e africani provenienti soprattutto dal Sudan si attivano subito per aiutarci a scaricare l’acqua e le provviste che abbiamo in macchina. Fervono i preparativi per il pranzo. «Ieri il macellaio ci ha regalato
tre polli – dice una ragazza italiana – abbiamo preparato un cous cous buonissimo».

Qualcuno a Ventimiglia e nelle zone limitrofe dà una mano ai “No Borders”, per i quali ogni singolo contributo è importante. Nell’accampamento gli attivisti hanno messo in piedi una cucina popolare, docce e servizi igienici. Ma anche corsi di inglese e francese, momenti informativi e di consulenza legale, una postazione attrezzata a energia solare per ricaricare i cellulari e controllare l’email: attività cruciali per chi è lontano da casa. Con le pentole sbattute sulle transenne, di notte si manifesta contro l’impossibilità di circolare liberamente. Dopo quasi tre mesi di resistenza, il luogo continua a essere un esempio concreto di collaborazione interculturale e un simbolo di lotta contro le politiche europee sull’immigrazione, confuse e violente. 

Nato a sostegno di chi scappa da guerre e massacri e viaggia sognando un futuro, magari in Gran Bretagna o in Svezia, il presidio è una sosta attrezzata, punto di ristoro e di incontro, per riorganizzarsi, studiare, riprendere il cammino con più consapevolezza. È da metà giugno che decine e decine di rifugiati sostano nei pressi della frontiera di Ponte san Ludovico, da quando in occasione del G7 il trattato di Schengen fu sospeso e la Francia chiuse le frontiere con l’Italia.
Centinaia di persone arrivate con mezzi di fortuna, soprattutto dal Sudan ma anche dall’Eritrea, e determinate ad attraversare il confine manifestarono compatti al grido di “We are not going back”. Per resistere alle cariche della polizia e non essere identificati si accamparono sugli scogli a due passi dalla frontiera, minacciando di buttarsi in mare. Dopo poco tempo una rete di persone solidali si mobilitò per sostenere la loro richiesta. Fu organizzata una staffetta da Bologna per preparare i pasti e non lasciare solo chi esercitava il proprio diritto alla libera circolazione in Europa, ma presto l’alternanza pianificata non è stata più necessaria. 

Per tutta l’estate i supporter sono arrivati numerosi e spontaneamente. Lavoratori in ferie, studenti in pausa da esami e lezioni, comuni cittadini che si impegnano in prima persona a sostegno della causa. E poi ci sono gli “africani”, tecnicamente migranti ma più propriamente persone in fuga da povertà e violenze. In tanti vengono dal Darfur o dal Sud Sudan, giovane Stato martoriato da una violentissima guerra civile cominciata a dicembre 2013. Parlano poco, non hanno voglia di raccontare la propria storia. Hanno vissuto orrori indicibili e non hanno più paura di niente: a tutti i costi vogliono raggiungere la loro meta, un parente, un amico, un paese sognato. Alcuni si affidano ai passeurs, trafficanti senza scrupoli che offrono passaggi costosissimi e rischiosi. La polizia francese, coordinata con quella italiana, blocca e controlla continuamente i neri che circolano nel vicino centro abitato di Mentone, ma anche a Nizza, Marsiglia, Parigi, sui treni e nelle campagne. Chi non ha i documenti in regola viene rispedito in Italia, in container che fungono da prigioni temporanee collocati sulla frontiera alta di Ponte san Luigi a Ventimiglia, e poi spesso verso il C.a.r.a. (centro di accoglienza per i richiedenti asilo) di Bari, dove perdono ogni contatto col mondo esterno. Mentre chi ha la pelle chiara può attraversare indisturbato la frontiera, i neri sono oggetto di continui rastrellamenti e di vere e proprie deportazioni, sulla base dell’uso discrezionale di un garbuglio di accordi e trattati sul quale è difficile far luce.

Gli attivisti “No Borders” che monitorano e contrastano le deportazioni sono colpiti duramente dalla polizia italiana e francese, con ben 18 denunce per occupazione, un arresto e 7 fogli di via emessi fino a oggi. Provvedimenti che non scoraggiano i solidali del presidio, che si preparano alle difficoltà dell’autunno facendo appello a tutti i singoli e le collettività che sostengono i rifugiati, contro il razzismo e la militarizzazione dei territori.
La bolla, in realtà, è perfettamente comunicante con l’esterno. Dal presidio permanente di Ventimiglia, come spiega Emanuele Giacopetti nella sua graphic novel (graphic-news.com/stories/la-bolla-di-ventimiglia), si entra in contatto diretto con l’Europa di oggi e le sue contraddizioni. In un luogo di grande bellezza naturale, l’estrema povertà dei rifugiati convive col lusso di un ristorante per turisti ricchi che si raggiunge con dieci passi dall’accampamento. E mentre grazie ai nostri “visi pallidi” come lasciapassare ci avviamo indisturbate verso la Costa Azzurra, decine di sguardi si allungano oltre i pochi metri che li separano dalla frontiera e dal viaggio verso il futuro. A ricordarci che la dignità, l’uguaglianza e il rispetto dei diritti umani, su cui si fonda l’Unione Europea, sono ancora principi relativi e variabili, per i quali occorre lottare partendo da questi scogli.

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