mercoledì 23 settembre 2015

Papa Francesco: Laudato Sì / 1




L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a be­neficio di tutti. Se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri. Per questo i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamen­to “non uccidere” quando « un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere».

CAPITOLO TERZO
LA RADICE UMANA DELLA CRISI ECOLOGICA

A nulla ci servirà descrivere i sintomi, se non riconosciamo la radice umana della crisi eco­logica. Vi è un modo di comprendere la vita e l’azione umana che è deviato e che contraddice la realtà fino al punto di rovinarla. Perché non pos­siamo fermarci a riflettere su questo? Propongo pertanto di concentrarci sul paradigma tecnocra­tico dominante e sul posto che vi occupano l’es­sere umano e la sua azione nel mondo.

I. La tecnologia: creatività e potere

L’umanità è entrata in una nuova era in cui la potenza della tecnologia ci pone
di fronte ad un bivio. Siamo gli eredi di due secoli di enormi ondate di cambiamento: la macchina a vapore, la ferrovia, il telegrafo, l’elettricità, l’automobile, l’a­ereo, le industrie chimiche, la medicina moderna, l’informatica e, più recentemente, la rivoluzione digitale, la robotica, le biotecnologie e le nanotec­nologie. È giusto rallegrarsi per questi progressi ed entusiasmarsi di fronte alle ampie possibilità che ci aprono queste continue novità, perché « la scienza e la tecnologia sono un prodotto mera­viglioso della creatività umana che è un dono di Dio». La trasformazione della natura a fini di utilità è una caratteristica del genere umano fin dai suoi inizi, e in tal modo la tecnica « esprime la tensione dell’animo umano verso il graduale su­peramento di certi condizionamenti materiali».
La tecnologia ha posto rimedio a innumerevoli mali che affliggevano e limitavano l’essere uma­no. Non possiamo non apprezzare e ringrazia­re per i progressi conseguiti, specialmente nella medicina, nell’ingegneria e nelle comunicazioni. E come non riconoscere tutti gli sforzi di molti scienziati e tecnici che hanno elaborato alternati­ve per uno sviluppo sostenibile?

La tecnoscienza, ben orientata, è in grado non solo di produrre cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell’essere umano, a partire dagli oggetti di uso domestico fino ai grandi mezzi di trasporto, ai ponti, agli edifici, agli spazi pubblici. È anche capace di produrre il bello e di far compiere all’essere umano, immerso nel mondo materiale, il “salto” nell’ambito della bellezza. Si può negare la bellezza di un aereo, o di alcuni grattacieli? Vi sono preziose opere pit­toriche e musicali ottenute mediante il ricorso ai nuovi strumenti tecnici. In tal modo, nel deside­rio di bellezza dell’artefice e in chi quella bellezza contempla si compie il salto verso una certa pie­nezza propriamente umana.

Tuttavia non possiamo ignorare che l’e­nergia nucleare, la biotecnologia, l’informatica, la conoscenza del nostro stesso DNA e altre potenzialità che abbiamo acquisito ci offrono un tremendo potere. Anzi, danno a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio impressio­nante sull’insieme del genere umano e del mon­do intero. Mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta servendo. Basta ricordare le bombe atomi­che lanciate in pieno XX secolo, come il grande spiegamento di tecnologia ostentato dal nazismo, dal comunismo e da altri regimi totalitari al ser­vizio dello sterminio di milioni di persone, senza dimenticare che oggi la guerra dispone di stru­­menti sempre più micidiali. In quali mani sta e in quali può giungere tanto potere? È terribilmen­te rischioso che esso risieda in una piccola parte dell’umanità.

Possiamo perciò affermare che all’origine di molte difficoltà del mondo attuale vi è anzitut­to la tendenza, non sempre cosciente, a imposta­re la metodologia e gli obiettivi della tecnoscienza secondo un paradigma di comprensione che con­diziona la vita delle persone e il funzionamento della società. Gli effetti dell’applicazione di que­sto modello a tutta la realtà, umana e sociale, si constatano nel degrado dell’ambiente, ma questo è solo un segno del riduzionismo che colpisce la vita umana e la società in tutte le loro dimensioni. Occorre riconoscere che i prodotti della tecnica non sono neutri, perché creano una trama che fi­nisce per condizionare gli stili di vita e orientano le possibilità sociali nella direzione degli interessi di determinati gruppi di potere. Certe scelte che sembrano puramente strumentali, in realtà sono scelte attinenti al tipo di vita sociale che si inten­de sviluppare.

Non si può pensare di sostenere un altro paradigma culturale e servirsi della tecnica come di un mero strumento, perché oggi il paradigma tecnocratico è diventato così dominante, che è molto difficile prescindere dalle sue risorse, e an­cora più difficile è utilizzare le sue risorse sen­za essere dominati dalla sua logica. È diventato contro-culturale scegliere uno stile di vita con obiettivi che almeno in parte possano essere in­dipendenti dalla tecnica, dai suoi costi e dal suo potere globalizzante e massificante. Di fatto la tecnica ha una tendenza a far sì che nulla riman­ga fuori dalla sua ferrea logica, e « l’uomo che ne è il protagonista sa che, in ultima analisi, non si tratta né di utilità, né di benessere, ma di domi­nio; dominio nel senso estremo della parola ».87 Per questo « cerca di afferrare gli elementi della natura ed insieme quelli dell’esistenza umana ».88 Si riducono così la capacità di decisione, la libertà più autentica e lo spazio per la creatività alterna­tiva degli individui.

Il paradigma tecnocratico tende ad eser­citare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza pre­stare attenzione a eventuali conseguenze negati­ve per l’essere umano. La finanza soffoca l’eco­nomia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale. In alcuni circoli si sostiene che l’economia attuale e la tecnologia risolveranno tutti i problemi am­bientali, allo stesso modo in cui si afferma, con un linguaggio non accademico, che i problemi della fame e della miseria nel mondo si risolve­ ranno semplicemente con la crescita del merca­to. Non è una questione di teorie economiche, che forse nessuno oggi osa difendere, bensì del loro insediamento nello sviluppo fattuale dell’e­conomia. Coloro che non lo affermano con le parole lo sostengono con i fatti, quando non sembrano preoccuparsi per un giusto livello della produzione, una migliore distribuzione della ric­chezza, una cura responsabile dell’ambiente o i diritti delle generazioni future. Con il loro com­portamento affermano che l’obiettivo della mas­simizzazione dei profitti è sufficiente. Il mercato da solo però non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale.89 Nel frattempo, abbiamo una « sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico che contrasta in modo inaccet­tabile con perduranti situazioni di miseria disu­manizzante »,90 mentre non si mettono a punto con sufficiente celerità istituzioni economiche e programmi sociali che permettano ai più poveri di accedere in modo regolare alle risorse di base. Non ci si rende conto a sufficienza di quali sono le radici più profonde degli squilibri attuali, che hanno a che vedere con l’orientamento, i fini, il senso e il contesto sociale della crescita tecnolo­gica ed economica.

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