giovedì 3 settembre 2015

Manager all’italiana: chi sbaglia non paga…



da Corriere della Sera – 30 giugno 2015

«In azienda chi sbaglia non paga (quasi) mai»
Davanti alle crisi finanziarie (quasi tutte prevedibili) il ceo lascia il posto solo nel 5% dei casi. Il presidente si fa da parte 26 volte su 266
di Stefano Righi

Oggi è il D-day, il giorno zero, l’inizio di una nuova storia per le ristrutturazioni aziendali in Italia. Giovedì scorso, nel pomeriggio, Intesa Sanpaolo, Unicredit e Kkr hanno firmato l’accordo che genera una nuova struttura, slegata dalle banche, per gestire i dossier più caldi tra i crediti problematici del sistema Italia.

Piano d’azione
Intesa, Unicredit e Kkr hanno poi deciso di avvalersi della collaborazione preferenziale di un soggetto quale A&M (Alvarez & Marsal) che, in Italia come all’estero ha sempre operato in un’ottica industriale ed indipendente e dove i professionisti coinvolti hanno esperienze di tipo operativo-gestionale di lunga data. Svincolati dai retaggi e dalle logiche bancarie i dossier saranno da oggi gestiti direttamente da Kkr, nella persona di Andrea Giovanelli, con la collaborazione di A&M, in un’ottica del tutto nuova per il mercato italiano.

Che ce ne fosse sostanziale bisogno era opinione di molti. Il centro di ricerca Cdr (Claudio Demattè research) in collaborazione con Entrepreneurial Lab dell’Università di Bergamo e la Sda Bocconi ha affidato a Valter Conca, Alessandro Danovi e Luca Riva una lunga indagine sugli effetti che ha avuto l’articolo 182 bis della legge fallimentare sugli accordi di ristrutturazione. Un’analisi empirica su alcuni dei principali tribunali italiani.
I dati raccolti ed elaborati hanno portato a conclusioni spesso sorprendenti. Sono stati analizzati 675 accordi nell’arco di 10 anni, venutisi a concretizzare in 136 tribunali italiani. Di questi 266 sono stati esaminati dalla Bocconi, per arrivare a individuare le cause della crisi e se, in qualche caso, si sarebbe potuto fare meglio.
L’analisi ha evidenziato che, anzitutto le cause delle crisi aziendali, secondo le attestazioni, risiedono nella larga parte dei casi in fattori endogeni alla società. Quindi, la crisi in cui sono state trascinate molte aziende italiane, non ha mandati orientali o è dovuta a singolari comportamenti ostativi degli istituti di credito. Per la maggior parte dei casi, è una crisi prettamente aziendale.

Sintomi
Non solo: i segnali di crisi si possono generalmente identificare in tempo. Già cinque anni prima del punto di non ritorno una percentuale preponderante delle società analizzate ha manifestato, bilanci alla mano, sintomi evidenti di vulnerabilità o rischio di insolvenza. Solo che in quei cinque anni nulla è stato fatto per intervenire a curare quei sintomi, quando ancora questo era possibile. Inoltre, se circa il 90 per cento degli accordi proposti viene omologato, è purtroppo vero che più della metà delle società esaminate deve intraprendere altri interventi per fronteggiare la crisi negli anni successivi e questo perché il primo intervento non è stato sufficientemente incisivo dal punto di vista industriale e finanziario.
Poi, l’Italia si conferma il Paese dove nessuno paga, men che meno il colpevole. Nei piani di ristrutturazione esaminati, infatti, risultano del tutto residuali gli interventi di governance che prevedono la nomina di un nuovo capo azienda, il cambio del consiglio di amministrazione e l’ingresso di nuovi soci.
Il rovesciamento del paradigma della crisi (aziende colpite da un destino avverso) è particolarmente interessante: il 70 per cento dei casi vede interna all’azienda la causa delle difficoltà. Se esternamente le dinamiche settoriali pesano, internamente l’indebitamento eccessivo (soprattutto al fine di finanziare il capitale circolante, la crescita per linee esterne oppure operazioni di Leverage buy out) è al centro del problema, come pure le tensioni causate dall’allungamento dei tempi di incasso dei crediti commerciali. Al riguardo ne sanno qualcosa le imprese fornitrici della Pubblica amministrazione.

Tutele
Gli effetti della crisi – anche a causa della struttura proprietaria – salvano comunque il presente e il futuro del management. La discontinuità nella gestione aziendale non è frequente. In soli otto casi su 169 esaminati si è registrato il cambio dell’amministratore delegato (4,73 per cento) e in 26 su 169 si è giunti alla sostituzione del presidente del consiglio di amministrazione (15,38 per cento), mentre la maggioranza del consiglio di amministrazione è stata fatta accomodare in 41 casi su 169 (il 24,26 per cento). E ancora più allarmante è che le crisi sono prevedibili. Utilizzando parametri come lo Zeta score o Cebiscore del Cerved i prodromi si possono individuare fino a 5 anni prima. Solo che poi andrebbe attivata una serie di procedure che invece, generalmente, si preferisce ignorare. Con gli effetti che sono sotto gli occhi di tutti.

Nessun commento:

Posta un commento