da: Il Fatto Quotidiano
Ma gli autori della nuova Costituzione
Italiana sono italiani? E, se sì, in che lingua parlano e scrivono?
La domanda sorge spontanea se si leggono,
per esempio, i commi 2 e 5 dell’articolo 2 del ddl costituzionale Boschi & C.
sul nuovo Senato. Il comma 2 riguarda chi elegge i senatori ed è già stato
approvato con “doppia conforme” (testo identico) a Palazzo Madama e a
Montecitorio, dunque il governo non vuole toccarlo neppure sotto tortura: “I Consigli regionali e i Consigli delle
Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i
senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i
sindaci dei Comuni dei rispettivi territori”.
Il comma 5 invece riguarda la data di
scadenza: “La durata del mandato dei
senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei
quali sono stati eletti”. Siccome nella prima versione del Senato si dice “nei quali” e in quella
della Camera “dai quali”, non c’è
stata doppia conforme, dunque il
governo – bontà sua – concede che il comma 5 venga emendato: infatti è lì
che vuole riversare l’emendamento Boschi-Finocchiaro per accontentare la
sinistra Pd che chiede il Senato elettivo.
L’emendamento aggiunge, dopo le parole “dai
quali sono stati eletti…”, questo periodo: “…in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati
consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità
stabilite dalla legge”.
Già è stravagante che, al comma 5 dedicato
alla durata dei senatori, si aggiunga una frase su chi li nomina, anziché
inserirla al comma 2 dedicato a chi li nomina (un errore blu che sarebbe già
riprovevole in un regolamento condominiale, figurarsi nella Costituzione
repubblicana).
Poi c’è un problema di forma, che poi è di
sostanza: alla fine, questi benedetti
senatori, chi li decide? Li “eleggono”
i Consigli regionali, come dicono il comma 2 e la prima metà del 5, oppure
li “scelgono” gli elettori, come
afferma la seconda metà del comma 5? Il contrasto insanabile fra maggioranza e
minoranza del Pd finisce dritto e filato, ma soprattutto irrisolto, nell’art. 2
del ddl Boschi&C. che modifica l’art. 57 della Costituzione. Per cui, quando gli insegnanti di diritto del futuro
dovranno spiegare ai loro studenti perché nell’articolo 57 della Costituzione non si capisce una mazza, diranno
così: “Sapete, ragazzi, nel 2015
l’Italia era governata da una banda di squilibrati che, pur di fare alla svelta
qualche ‘riforma’ purchessia, non erano d’accordo su nulla e capivano ancor
meno, così si lottizzavano pure i commi: uno e mezzo a Renzi e mezzo a
Bersani”.
Poi gli toccherà pure spiegare chi fossero
questo Renzi e questo Bersani, e peggio per loro. Come ha notato Michele Ainis,
chi prova a leggere tutto d’un fiato il
nuovo comma 5 rischia l’ipossia: è un unico periodo di 43 parole con due sole
virgole, roba da far stramazzare un campione di apnea. Del resto tutto il
ddl Boschi, che modifica la Costituzione sul Senato, il titolo V e il Cnel, è
un capolavoro di prolissità e cialtroneria. Il solo articolo 2 conta 6 commi,
il doppio della media di ogni articolo della Costituzione vera, quella del
1946-’47. Per giunta la prosa è il peggiore burocratese, cioè l’ “antilingua”
(copyright Italo Calvino) nata nei palazzi della politica apposta per non far
capire nulla ai cittadini.
Chi
legge gli articoli della Carta rimasti intatti,
nella prima parte, e quelli modificati
negli ultimi vent’anni, capisce lo
scadimento verticale, in picchiata,
della classe politica dal dopoguerra a oggi. E chi pensa male parla male e
scrive peggio. “La Costituzione – disse Meuccio Ruini, presidente della
Costituente, aprendone i lavori – si rivolge direttamente al popolo e deve
essere capita”. E i 556 padri costituenti,
provenienti dalle culture politiche più diverse, anzi opposte, lo seguirono.
Alla fine la stesura fu sottoposta a due grandi linguisti, Pietro Pancrazi e Concetto Marchesi, perché la rendessero ancor più
semplice, lineare e intelligibile. Risultato:
un testo agile e comprensibile a tutti, anche in un Paese largamente
analfabeta come l’Italia uscita dalla guerra: 9300 parole in tutto (secondo i
calcoli di Tullio De Mauro), con appena 1357 vocaboli e frasi lunghe non più di
20 parole.
Poi arrivarono i lanzichenecchi della Seconda Repubblica. Cominciarono nel ’99 col
“giusto processo” (da un’idea di Cesare Previti, scambiato per Cesare
Beccaria): 8 commi scritti coi piedi dal centrosinistra. Proseguirono, sempre
sotto l’Ulivo, nel 2001 col nuovo titolo V sul federalismo (il solo art. 117 si
divide in 9 commi, di cui il secondo è composto da 17 lettere, dalla a alla s:
infatti produsse un’infinità di contenziosi tra Stato e Regioni davanti alla
Consulta, e ora lo si cambia di nuovo). La destra completò l’opera nel 2005 con
la Devolution, che doveva cambiare 55 articoli (il solo art. 70 passava dalle 9
parole del testo originale a 717), ma per fortuna non ci riuscì perché
gl’italiani la bocciarono al referendum.
Ora tocca ai rottamatori, soprattutto della
lingua italiana: infatti parlano un idioma di ceppo non indoeuropeo e
necessitano di traduttore simultaneo e codice di decrittazione. Purtroppo
–avvertiva Beccaria –la norma oscura “strascina seco necessariamente
l’interpretazione”: crea enorme confusione “se le leggi siano scritte in una
lingua straniera al popolo, che lo ponga nella dipendenza di alcuni pochi”.
Infatti Piero Calamandrei, ai costituenti, raccomandò con Dante di fare “come
quei che va di notte, che porta il lume dietro e a sé non giova, ma dopo sé fa
le persone dotte”. E Benedetto Croce invocò in aula lo Spirito Santo, intonando
il Veni Creator. Ora Renzi invoca Verdini: “Denis Creator Spiritus…”.
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