da: https://www.avvenire.it/ - lettera di Enrico Letta
Caro direttore,
come
se otto anni non fossero serviti a nulla. Come se la tragedia di quei corpi
senza vita al largo della "Spiaggia dei Conigli", a Lampedusa, si
fosse consumata invano. Siamo davvero così assuefatti alla morte collettiva da
non riuscire a trasformare il senso di impotenza in un impegno concreto per
gestire questo fenomeno? L’ennesimo naufragio semplicemente impone all’Europa
di scrivere la parola fine alle stragi in mare. È un dovere storico.
Ci troviamo, lo sappiamo, nel pieno di un passaggio d’epoca. Ormai sono
numerose e tutte gravi le crisi che l’Europa ha dovuto fronteggiare in questo
inizio di secolo. Spesso scoprendosi sprovvista degli strumenti, delle risorse,
delle procedure adatte per risolverle.
La crisi dei debiti privati e quella dei debiti sovrani, prima, con un impatto devastante sull’economia reale e sul lavoro. Oggi, il trauma della pandemia e il disastro di un intero sistema economico e produttivo congelato per mesi e mesi. Tutte vicende diverse, connotate però da un tratto comune: l’assenza di competenze condivise e istituzioni unitarie per uscirne tutti insieme, a livello europeo.
Certo, sia sul versante economico-finanziario sia soprattutto su quello sanitario, molto ancora
c’è da costruire per colmare del tutto quella mancanza. Eppure, è indubbio che le lezioni apprese dalle crisi abbiano rafforzato o stiano rafforzando la capacità di reazione della Ue.Next
Generation EU è la dimostrazione di questa evoluzione. Una reazione fatta di
lungimiranza, solidarietà, concretezza. E soprattutto di tempismo. Quattro mesi
dopo l’esplosione della pandemia, la Ue è riuscita a mettere a punto una
risposta senza precedenti. Ben quattro anni erano, invece, stati necessari, tra
il 2008 e il 2012, per giungere al «whatever it takes» (tutto ciò che è
necessario, per difendere la moneta comune) di Mario Draghi.
Dunque, un oggettivo miglioramento nell’allerta e nella decisione conseguente.
Ma perché questo avviene in tutti i campi, dalla sanità ai debiti o alla
sostenibilità ambientale e sociale, e non avviene per la questione migratoria?
Perché la tragedia dei viaggi della speranza e dei naufragi non è abbastanza
grave, nella percezione delle classi dirigenti degli Stati membri, da stimolare
una presa di coscienza collettiva equiparabile? Perché siamo costretti, anno
dopo anno, a guardare quelle immagini senza un sussulto di dignità della
politica di tutti i Paesi della Ue?
Oggi sono queste, solo queste, le domande da porci. E la risposta deve avere lo
stesso grado di pragmatismo e senso della convenienza collettiva che ha
qualificato la reazione alle altre crisi comuni. Senza più alibi o rinvii.
Senza più cedere al richiamo del consenso facile o al timore di dare un
vantaggio di posizione alle forze populiste che lucrano sulla paura dei
migranti. Le soluzioni le conosciamo, passano tutte dalla fine del vergognoso
scaricabarile tra capitali e da una chiara assegnazione di competenze e compiti
tra Stati membri e istituzioni comunitarie. Passano attraverso la scelta dei
corridoi umanitari come via maestra per la gestione dei flussi. Passano
attraverso il definitivo salto di qualità della missione europea Irini, che
cessi di essere solo un’operazione di blocco navale dell’export di armamenti, e
diventi un vero e proprio strumento di controllo, con compiti di ricerca e
soccorso nelle parti del Mediterraneo che rischiano di nuovo di diventare un
enorme cimitero.
Le soluzioni passano da un rapporto più chiaro con le autorità dei Paesi che
affacciano sulla sponda Sud. Infine, in concreto, subito, dobbiamo rivedere la
proposta fatta dalla Commissione a settembre in materia di politiche migratorie
e trasformarla in un vero Next Generation Migrations, che contenga tutti i
tasselli della soluzione, a partire dal superamento definitivo della
Convenzione di Dublino.
All’Italia
il compito di imporre il senso di urgenza ai tavoli europei e nelle varie
capitali. Esattamente come si è riusciti a fare un anno con Next Generation Eu.
Non c’è più tempo.
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