Lo scorso maggio ci siamo riaffacciati al mondo dopo settimane. Ora è facile che la nostra mente ci sussurri che sta per ripetersi qualcosa di simile. Sarebbe un errore madornale
Allora proviamoci a «ragionare» su questo rischio, sebbene non sia facile. Ci proviamo a partire dai numeri, come sempre, e dal confronto con il passato recente, pur consapevoli che rispetto a certe situazioni che abbiamo attraversato, ci sono adesso ancora più forze in campo, forze di segno contrario, pro e contro che competono rendendo il raffronto difficile. Scegliamo due momenti diversi. Nella settimana del 18 maggio 2020, al termine del lockdown duro, avevamo meno di mille nuovi contagi al giorno, e un totale di 66mila positivi. Vero è che la capacità di testing era molto inferiore a oggi e che si trattava quasi sicuramente di sottostime, ma tali erano gli ordini di grandezza. Qualche mese dopo, il 6 novembre, il giorno del dpcm che inaugurava l’Italia nelle fasce di colore e in cui ci avvicinavamo al picco di contagi della seconda ondata, i nuovi positivi erano quasi quarantamila, e si aggiungevano a una base di circa mezzo milione.
Il passo di maggio
Domani, lunedì 26 aprile, faremo un passo che assomiglia a quello del maggio 2020, ma con numeri più confrontabili a quelli di novembre. Infatti, se i nuovi casi
giornalieri sono dimezzati rispetto ad allora, appena sotto i quindicimila e con trend in discesa, la totalità di positivi è pressoché identica. Mezzo milione. Ci sono delle differenze importanti di cui tenere conto, dicevo.La prima, a nostro vantaggio, è senza dubbio la campagna vaccinale. Gli operatori sanitari sono in salvo, come lo sono gli over 80, se supponiamo che la curva dei contagi e quelle di ospedalizzazioni e decessi si disaccoppino già intorno all’80% della popolazione vaccinata con la prima dose. Non è poco. Ma lo stesso non si può ancora dire per la fascia 70-79, per loro manca ancora tempo prima di spezzare la micidiale consequenzialità fra contagi e malattie gravi. Per la fascia 50-69, poi, la situazione è all’incirca la stessa dell’autunno. Come se non li avessimo vaccinati affatto. Per questo intervallo anagrafico, la letalità non è trascurabile, varia dallo 0,6% al 2,6%. Nel frattempo Rt è sotto 1, ma i reparti sono ancora pericolosamente vicino alla soglia critica in molte zone. L’incidenza è pressoché ovunque inferiore ai 250 casi ogni centomila abitanti, ma in quasi tutte le regioni è superiore ai 100 su centomila, il valore oltre il quale molte agenzie considerano la trasmissione virale elevata. E certo, arriva la bella stagione, la più favorevole. D’altra parte, circola una variante del virus molto più contagiosa, che a maggio e novembre 2020 praticamente non esisteva.
Le vele con il vento forte
Misurare la mutua combinazione di tutte queste forze è difficile. Il Cts lo avrà fatto con i dati a sua disposizione e ne avrà tratto delle conclusioni. Da questa altezza, più grossolanamente, si ha l’impressione che quello di domani sia un dispiegare le vele non proprio nella burrasca, ma comunque con un vento molto forte. Se al «ragionato» non contribuissero almeno altrettante considerazioni di urgenza socio-economica, oggi non saremmo sul punto di fare ciò che stiamo per fare. È meglio essere sinceri su questo: dal punto di vista epidemiologico gli allentamenti non sono giustificati, non siamo affatto pronti. Ma c’è molto altro da guardare evidentemente. Dire giusto/sbagliato richiede ormai troppe valutazioni simultanee di carattere troppo diverso.
Siamo abbastanza coscienti?
Chi ha ragionato per il Paese pare esserne cosciente, ma ne siamo abbastanza coscienti noi? Siamo coscienti del fatto che da domani, pur nel sollievo comprensibile, le circostanze diventeranno ogni giorno più pericolose e che il livello personale di allerta va da qui in avanti innalzato, contrariamente a quanto il contesto ci suggerisce? E abbiamo ancora in mente che questa è una malattia subdola anche per molti adulti non anziani, una malattia che comporta disagi a prescindere e può avere strascichi, complicazioni neurologiche, effetti a lungo termine che ancora non conosciamo? Il fatto è che, a livello individuale, sul rischio non si «ragiona» quasi mai, per lo più il rischio lo si «percepisce». E nella percezione entrano in gioco una quantità di fattori irrazionali, bias cognitivi e analogie implicite e fuorvianti. Perfino una giornata di bel tempo ci suggerisce maggiore sicurezza laddove non c’è.
Un pericoloso déjà-vu
Fra le analogie la più pericolosa è senz’altro il senso di déjà-vu rispetto al maggio scorso, quando ci siamo riaffacciati al mondo dopo settimane. È stato l’inizio di una lunga parentesi tranquilla, durata fino all’autunno. Ora è facile che la nostra mente ci sussurri che sta per ripetersi. Ma il 18 maggio 2020 uscivamo di casa con un migliaio di nuovi positivi al giorno, non tredicimila; con meno di un centinaio di migliaia di positivi in totale, non mezzo milione. La circolazione virale era stata massicciamente abbattuta ovunque. Ora no. Eravamo molto suggestionati dal contagio, ora no. Con i numeri attuali, la situazione potrebbe deteriorarsi velocemente ancora una volta. Quello che ci porta indenni all’estate è purtroppo un passaggio stretto.
«Non vi accalcate»
Perciò si dice «adesso dipende anche dai cittadini», e si dice che questo «non è un liberi tutti»: raccomandazioni che sono diventate la versione pandemica del «non vi accalcate» quando c’è una massa di persone che preme per varcare un cancello. Cosa succede quasi sempre in quei casi? Le persone si accalcano. A meno che il percorso di distillazione del loro passaggio non sia stato preparato adeguatamente. Nei giorni scorsi la discussione si è concentrata soprattutto sulla mancata estensione del coprifuoco serale. Sembra che ormai propendiamo tutti per le affermazioni science-based (chissà quanto durerà questa smania positivista), perciò le fazioni opposte si sventolano in faccia studi sull’utilità o meno di un’ora in più di restrizioni. Le evidenze, da entrambe le parti, sono tutt’altro che tali, ma non si è avuto il coraggio di dire che non hanno così importanza: non estendere il coprifuoco anche solo di un’ora è un modo di agire soprattutto sulla nostra percezione, sul nostro punto debole da qui in avanti. Perché avere una serata «intera» di fronte a sé, e avere un turno pieno o perfino due al ristorante, sono occasioni che suscitano in noi delle ovvie risposte psichiche.
Se fossimo davvero prudenti
Se
così non fosse, se noi fossimo davvero i cittadini prudenti, accuratamente
distanziati e mascherati di un modello teorico di epidemiologia, un’ora
di libertà in più all’aperto sarebbe perfettamente gestibile. Come lo
sarebbero altri allentamenti. Ma non è così. Qualunque sia la narrazione che ci
stiamo concedendo di noi stessi, abbiamo dimostrato più volte fino a qui che l’inerzia
della vita senza virus è più forte di ogni imposizione momentanea, che
torniamo elasticamente a occupare tutto lo spazio sociale di prima
appena ne abbiamo l’occasione. È un’ottima cosa. Bisognerebbe solo aspettare
il momento giusto.
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