È un lungo video complottista che scredita il ricercatore ucciso in Egitto: se ne parla anche perché vi hanno partecipato alcune personalità italiane, più o meno involontariamente
Mercoledì 28 aprile è stato pubblicato su YouTube un video lungo poco meno di un’ora che si presenta come «il primo documentario» che cerca di indagare sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano dell’Università di Cambridge torturato e ucciso al Cairo, in Egitto, nel gennaio del 2016. Il video – che è in arabo con sottotitoli, si intitola The Story of Regeni e ha autori ignoti – è in realtà un tentativo di screditare Giulio Regeni e di scagionare il regime egiziano da ogni responsabilità per la sua morte, usando insinuazioni, invenzioni propagandistiche e teorie del complotto già in buona parte smentite.
Benché prometta di rivelare «dettagli che si pubblicano per a prima volta» (sic), come è scritto sulla pagina Facebook, il video non presenta nessun argomento nuovo o notevole, ma sta circolando abbastanza in questi giorni per un paio di ragioni: è stato pubblicato in concomitanza con la prima udienza del processo della procura di Roma contro quattro membri dei servizi di sicurezza egiziani accusati dell’omicidio di Regeni (si sarebbe dovuta tenere giovedì mattina ma è stata rimandata al 25 maggio perché uno dei legali è in isolamento a causa della COVID-19); e contiene interviste ad alcune personalità italiane, tra cui l’ex ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri e l’ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta.
Quasi tutti gli intervistati italiani, dopo la pubblicazione del documentario, si sono dissociati dal suo contenuto.
Non è chiaro chi siano gli autori del video e chi lo abbia pubblicato: né su YouTube né altrove sono specificati i nomi di un eventuale regista o di una casa di produzione. Il canale YouTube che lo ospita è stato creato lo scorso 22 aprile e ha in tutto quattro video caricati: le due versioni del filmato, una con sottotitoli in italiano e una con sottotitoli in inglese, e due trailer, pubblicati un paio di giorni prima.
Regeni scomparve mentre stava lavorando al Cairo, in Egitto, a una tesi di dottorato sui sindacati del paese. Il suo corpo, con i segni di innumerevoli torture, venne trovato nove giorni dopo, il 3 febbraio, abbandonato al lato di una strada.
Inizialmente le autorità egiziane sostennero che Regeni fosse stato vittima di rapinatori, ma secondo la procura di Roma fu torturato e ucciso dalle forze di sicurezza egiziane. Al processo sono imputati, tutti in absentia, il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim e il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif per reati che vanno dal sequestro di persona pluriaggravato al concorso in omicidio aggravato al concorso in lesioni personali aggravate. La vicenda Regeni ha anche portato a un grave scontro diplomatico tra Egitto e Italia, che per alcuni anni ha ritirato il suo ambasciatore dal Cairo.
Il video ha un montaggio e una fotografia semiprofessionali, nello stile di un documentario “true crime”, e usa attori per drammatizzare alcune scene, ma ha toni insinuanti e contiene molti errori nella grafica, nelle traduzioni e nei sottotitoli: Giulio Regeni a volte è indicato come Julio Regeni, altre come Giulio Regini, e i testi in italiano che accompagnano il filmato, come per esempio la descrizione del video su YouTube, sono pieni di frasi evidentemente mal tradotte, come per esempio: «Chi incontrava Regini nella strade principali e in quelle laterali?!!» (sic).
Le tesi del video ricalcano la versione delle autorità egiziane sul caso Regeni, con l’aggiunta di elementi complottistici o comunque non provati. Buona parte del filmato è dedicata a screditare la figura di Regeni con insinuazioni sul fatto che la sua ricerca sui sindacati indipendenti dei venditori ambulanti egiziani avesse in realtà un doppio fine.
Le insinuazioni cadono in diverse contraddizioni: dapprima uno degli intervistati – il giornalista italiano Fulvio Grimaldi – lascia intendere che Regeni avrebbe potuto essere molto vicino ai servizi segreti statunitensi e occidentali, ma in seguito si insinua che tramite la sua tutor a Cambridge, Maha Abdelrahman, Regeni fosse vicino alla Fratellanza musulmana, un’organizzazione islamista che aveva vinto le elezioni in Egitto nel 2012 ma era stata rovesciata da un colpo di stato militare guidato dall’attuale presidente egiziano, il dittatore Abdel Fattah al Sisi.
Per gran parte del video, dunque, le attività di ricerca di Regeni sono presentate come molto sospette e come potenzialmente pericolose per la stabilità del regime. Viene intervistato Mohamed Abdallah, un sindacalista degli ambulanti che fin dal primo periodo dopo la scomparsa di Regeni ebbe un ruolo mediatico molto forte e che fu la persona che denunciò il ricercatore italiano alle autorità egiziane.
Abdallah spiega che Regeni era molto sospetto, che faceva domande sull’anniversario della rivoluzione e che offriva soldi agli ambulanti. Per dimostrare le accuse viene mostrato un video registrato di nascosto da Abdallah durante un colloquio con Regeni in cui il ricercatore italiano parla di soldi e di fondi esteri. Il video tuttavia è noto da tempo e dimostra esattamente il contrario: Abdallah chiede soldi a Regeni ma lui si rifiuta, dicendo di essere un accademico e di non avere fondi a sua disposizione oltre alla sua borsa di studio.
Dopo aver cercato di presentare Regeni come pericoloso per il regime, il video però ritratta e a un certo punto intervista un certo Wesam Ismail, presentato come un avvocato, che spiega che le forze di sicurezza egiziane non consideravano Regeni come pericoloso, lasciando intendere che non ci sarebbe stata ragione per ucciderlo.
La possibilità che siano state le forze di sicurezza egiziane a uccidere Regeni viene esclusa in fretta: uno degli intervistati, presentato come assistente del ministero dell’Interno egiziano, dice che le forze di sicurezza non sarebbero state tanto inette da uccidere Regeni e abbandonare il suo cadavere non lontano da una delle loro sedi, e la giustificazione è ritenuta come sufficiente. Sono smentiti sbrigativamente anche i testimoni della procura di Roma che sostengono di aver visto Regeni in due caserme la notte della sua scomparsa.
Il video inoltre promette di spiegare gli «strani» movimenti di Regeni la sera della sua scomparsa, senza che però risultino davvero come tali (Regeni avrebbe allungato un po’ la strada per prendere la metropolitana); sostiene che le autorità giudiziarie italiane non avrebbero collaborato con quelle egiziane (è un’accusa scambiata da entrambe le parti, ma secondo la maggioranza degli osservatori non soltanto italiani sarebbe vero il contrario: le autorità egiziane hanno ostacolato le indagini); e discredita la procura di Roma, che sta conducendo le indagini, per bocca di Maurizio Gasparri, secondo cui la procura non avrebbe «un ruolo molto apprezzato» perché «la magistratura italiana, purtroppo, ha molte cose da chiarire: non ci sono solo i misteri del Cairo o di Cambridge, ci sono anche i misteri della procura di Roma».
Un’altra teoria a cui viene dedicato molto spazio è quella secondo cui l’uccisione di Regeni sarebbe il risultato di un’operazione di un agente esterno (tendenzialmente la Fratellanza musulmana) per deteriorare i rapporti tra Italia ed Egitto: è una teoria già nota e non provata, che è stata fatta circolare dal regime egiziano. Il video accusa anche l’Italia di aver reagito troppo nervosamente e in maniera non responsabile dal punto di vista diplomatico.
Il ruolo degli intervistati italiani è fondamentale per dare forza alle tesi del video. I due più in evidenza sono Fulvio Grimaldi (presentato come Fulvio Gremaldi), un ex giornalista della Rai e oggi collaboratore tra le altre cose di siti complottisti come ByoBlu, che presenta varie teorie non confermate, compresa quella secondo cui Regeni sarebbe stato vicino ai servizi occidentali; e Leonardo Tricarico, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica, oggi in pensione, che a un certo punto sostiene di aver «letto da qualche parte» che la presenza di Regeni in Egitto sarebbe stata una «operazione… finanziata da una fondazione che ha un collegamento funzionale e forse anche operativo con i Fratelli musulmani».
Grimaldi (e in parte anche Tricarico) dà anche un certo credito alla tesi secondo cui l’uccisione di Regeni aveva come scopo la rottura dei rapporti tra Italia ed Egitto.
Gli altri italiani intervistati sono Gasparri che, oltre a screditare la procura di Roma, ribadisce i presunti collegamenti tra Regeni, Cambridge e la Fratellanza musulmana, ed Elisabetta Trenta, ex ministra della Difesa, che però cita Regeni soltanto di passaggio e parla in maniera generica dei rapporti tra Italia ed Egitto.
Dopo la diffusione del video e le reazioni negative da parte dei media, quasi tutti gli italiani coinvolti si sono dissociati dal suo contenuto. Elisabetta Trenta ha detto a Repubblica di essere stata «vittima di un raggiro»: la troupe che l’ha contattata per l’intervista le avrebbe detto di far parte del noto network Al Arabiya e che il tema del documentario non era Regeni ma i rapporti diplomatici ed economici tra Italia ed Egitto. Adesso Trenta definisce il documentario come una «schifezza vergognosa».
Anche
Tricarico ha
detto di essere stato contattato da un giornalista che diceva di lavorare
per Al Jazeera e Al Arabiya e ha aggiunto che le sue parole sono state
«rese funzionali alle tesi del filmato che io non condivido». Gasparri,
pur ribadendo che dovrebbero essere fatte delle indagini sull’Università di
Cambridge, ha aggiunto di non aver pronunciato «nessuna parola di discredito su
Regeni».
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