da: Il Fatto Quotidiano – di Salvatore Cannavò
Le riforme di Draghi sono arrivate, finalmente mostrate nel Piano nazionale di ricostruzione e resilienza distribuito a ministri e partiti e che oggi sarà discusso in Consiglio dei ministri. Riforme in larga parte richieste dall’Unione europea tramite le “Raccomandazioni specifiche”, nitidamente riportate (e che, en passant, obbligano il governo a riconoscere la positività di quanto fatto dal governo Conte, ad esempio il “cashless”.)
Si possono sintetizzare in due assi: modernizzazione (Pubblica amministrazione e Giustizia) e mano libera alle imprese (concorrenza, appalti, semplificazioni varie).
Dal punto di vista dei progetti non ci sono differenze rilevanti, mentre è proprio nell’elencazione delle riforme che il documento di 319 pagine è importante. Accanto a quelle più rilevanti – se ne individuano di tre tipi: orizzontali, abilitanti e settoriali – ce ne sono alcune più limitate ma significative come la laurea che abilita direttamente all’esame di Stato, ma anche l’abolizione di “quota 100” sulle pensioni sostituita da un intervento sulle “mansioni usuranti”.
Il documento spiega anche la governance, anzi la spiega a metà. Attuazione in carico alle amministrazioni che potranno assumere un bel po' di personale in deroga e a tempo determinato; monitoraggio e controllo “cabina di regia” a Palazzo Chigi che però non viene dettagliata e su cui si appuntano le speranze e i malumori dei partiti di governo.
Sull’impatto economico, si prevede un aumento del Pil al 2026, del 3,6% ma solo nello “scenario alto” mentre si prevede anche uno scenario “medio”, al 2,7 e uno “basso” a 1,8%.
La distribuzione percentuale delle risorse beneficia soprattutto gli investimenti, un po’ meno i consumi privati e molto le importazioni, ma tra incentivi e defiscalizzazioni, il 20% finirà alle imprese – al netto della quota investimenti – e un 5% alle famiglie.
Le due riforme più importanti sono quella della Pubblica amministrazione e quella della Giustizia. Soprattutto la prima, il cui impatto sul Pil è stimato al 2026 nell’ordine del 2,2%, mentre quello della Giustizia allo 0,5%. Qui si tratta di capire se “accesso, digitalizzazione, competenza e buona amministrazione” produrranno una burocrazia di standard mediamente europeo. Di sicuro al momento ci sono le assunzioni: fuori dai concorsi sono previste tre modalità, per l’emergenza Recovery e quindi con contratti a tempo determinato. Addirittura il ministero di Renato Brunetta punta ad assumere “1000 esperti” per garantire il funzionamento del piano e a tutte le amministrazioni periferiche è lasciata la libertà di creare task force come se piovesse. Si provvederà in parte con un decreto legge previsto entro maggio.
La Giustizia si muove nel solco delineato dall’ex ministro Bonafede.
L’obiettivo è velocizzare i processi addirittura con una “selezione” per i ricorsi in appello sia nel procedimento civile che in quello penale. Ulteriori assunzioni rispetto alle 13.000 previste dal governo Conte, riorganizzazione degli uffici, responsabilizzazione dei capiufficio. Nel processo civile Si colloca qui l’ipotesi di velocizzare gli accessi in magistratura.
La
riforma si farà con legge delega e il suo impatto è previsto entrare in
vigore nel 2024. Sugli appalti e semplificazioni si procederà per decreto
legge. Nel primo caso è prevista l’abolizione del controllo della
Corte dei conti – visto che esiduzione della responsabilità “per danno
erariale”. Le semplificazioni saranno il cuore del Pnrr, infatti è
previsto un “ufficio” speciale a Palazzo Chigi – e prevedono anche una
“speciale Via statale”, la valutazione di impatto ambientale. La “concorrenza”
prevede l’approvazione, entro il 15 luglio 2021, del disegno di legge annuale
per il mercato e la concorrenza, ma nel piano è compresa anche la riforma
del fisco basata sulla revisione dell’Irpef, sulla riduzione della
pressione fiscale conservando la progressività, la riforma degli ammortizzatori
sociali e l’istituzione di un salario minimo legale.
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