Andrea Scanzi è un fan di Elly Schlein.
Sarà bravissima, ma non è in grado di attrarre i voti degli astenuti. La sua immagine e il suo eloquio sono un pò da elite di sinistra, "specie filosofica" che sta sulle balle a parecchi italiani.
In particolare, a quelli che non sono nè giornalisti, nè intellettuali, nè specie annesse e connesse.
I contenuti non arrivano se non “buchi”. Se non arrivano ai dubbiosi, agli incerti, a quelli che ne hanno pieni i coglioni dell'assenza di una classe politica onesta e capace. Tra lo “slogan pancista” e il “discorsetto prolisso elitario” ci sta una dialettica efficace di trasmettere contenuti politici.
In particolare, a quelli che non sono nè giornalisti, nè intellettuali, nè specie annesse e connesse.
I contenuti non arrivano se non “buchi”. Se non arrivano ai dubbiosi, agli incerti, a quelli che ne hanno pieni i coglioni dell'assenza di una classe politica onesta e capace. Tra lo “slogan pancista” e il “discorsetto prolisso elitario” ci sta una dialettica efficace di trasmettere contenuti politici.
A parte questa considerazione, Scanzi
riesce a fare osservazioni sensate sulla "sardina" Mattia Santori. Non è che gli riesca spesso di scrivere articoli che hanno un senso...
da: Il Fatto Quotidiano
Mattia Santori, dopo la foto ilare con
Benetton, il flop a Scampia e le tortoiate prese da Sallusti e Senaldi (avessi
detto Frazier), è tornato a spron battuto in tivù. Fa piacere. Lo ha fatto come
ospite di Merlino e Formigli, puntando sulle one to one per non correre il
rischio di qualche ospite impazzito che lo mettesse in difficoltà anche solo
chiedendogli “Pizza o calzone?”.
In tivù, e non solo in tivù, Mattia ride
sempre. Fa piacere pure questo, sebbene di tutta questa ilarità non se ne capisca
granché il motivo. Nelle interviste lo trattano spesso con un mix di indulgenza
e deferenza, e se la prima è naturale la seconda suona surreale, perché se
Santori induce deferenza allora Cacciari va eletto seduta stante Imperatore
delle Galassie.
Santori dice che i grillini ce l’hanno con
le Sardine perché “rappresentano quello che loro non sono più”, e ci prende il
giusto. Sentenzia che “non bisogna vergognarsi di essere di sinistra”, e lo fa
con la gravità definitiva di chi ha raccolto l’eredità morale di Bobbio.
Fa battute da asilo nido, asserendo – in
uno dei suoi frequenti crolli contenutistici – che “Salvini è un erotico
tamarro e noi un erotico romantico” (eh?). Propone (parola grossa) idee da
liceale che occupa la palestra per far colpo sulla compagna di classe in prima
fila, tipo “un Erasmus tra nord e sud” (autentica urgenza del Paese: altro che
Reddito di cittadinanza!). E arriva a rivelare che per incontrare Conte bisogna
“far coincidere le nostre agende”, quasi che la sua Smemoranda avesse di colpo
acquisito il peso granitico dei quaderni di Gramsci (che chiaramente Santori
mai ha letto).
Siam sempre lì: le Sardine sono uno
splendido movimento spontaneo (sì, spontaneo), eterogeneo e per questo
impossibile da tramutare in partito. Strepitose come catalizzatrici
democratiche di indignazione, al momento (legittimamente) afasiche nel
complicato passaggio da protesta a proposta. Va bene tutto: non puoi chiedere
la Luna a una Sardina. Solo che hanno scelto come frontman quello (forse) più
fotogenico, ma (sicuramente) più respingente e meno efficace. Siano benedette
le piazze che hanno riempito e riempiranno: lo siano un po’ meno le nenie
laiche espettorate dal principino azzurro delle Sardine.
Santori passa il tempo a criticare tutto
quello che non gli somiglia, e questo va benissimo, ma non si capisce a nome di
chi parli: se di se stesso va bene, se di tutte le Sardine allora è un
problema. Sì, perché il Santori bastona (per quel che può) leghisti, fascisti e
grillini, che per lui più o meno pari sono. E poi Conte, colpevole di avere
avallato quegli obbrobri dei due decreti Sicurezza (dei quali, va da sé,
Santori conosce giusto i bignami pubblicati dall’Espresso).
Il principino azzurro delle Sardine, con la
sua voce vezzosamente in slow motion e l’aria di chi al ristorante ordina per
ultimo per esser certo di distinguersi dalla massa, si dimentica però sempre di
criticare con analoga nettezza colui che più di tutti sta facendo il gioco
dell’odiato Salvini: ovvero Renzi. E perché mai non lo critica? Facile: perché
Santori era (era?) renziano. Gli piaceva (piaceva?) il nulla ammantato di nulla
del renzismo. Votò convintamente “sì” il 4 dicembre 2016. E ancora adesso,
quando parla, somiglia più a un Calenda impreparato che non alla bravissima
Elly Schlein (che vale 187 mila volte Santori).
Ecco, quasi-compagno Mattia, va bene tutto.
Le banalità un tanto al chilo, l’entusiasmo credo sincero e persino quel
buonismo posticcio da Benigni mai stato Cioni Mario. Va bene perfino la tua
idea di “cambiamento”, così annacquata da risultare graditissima a quello
stesso sistema che dici di voler – più o meno – scardinare. Però, di grazia,
prima di rampognare gli altri dall’alto di un piedistallo immaginario, fai una
bella cosa: scendi dal pero, esci dal favoloso mondo di Santorì e combatti
anche chi sta consegnando il Paese a Salvini. Ovvero quel Matteo che votavi
fino all’altroieri e che già sogna – spero invano – di cederti un giorno il
posto da vicecapitano nella bad company chiamata “Italia Viva”.
Tra uno strale moscio e un’invettiva
stitica, quasi-compagno Mattia, trova il tempo per criticare quel che eri e
forse ancora sei. Dicci che su Renzi sei stato come minimo un bischero. Che hai
sbagliato tutto. E che solo oggi hai compreso (se lo hai compreso) che in fondo
tra lui e Salvini l’unica differenza è il cognome. Fallo, una volta per tutte.
Solo a quel punto, forse, le tue intemerate disinnescate potranno sembrare
veramente convincenti.
Altrimenti, e perdonami la mezza grevità,
resterai sempre l’ex rappresentante di Liceo che faceva il politicizzato per
conquistare le fighe. In classe lo abbiamo avuto tutti, ed era proprio uguale a
te.
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