lunedì 13 aprile 2015

Stefano Feltri: “Non solo bonus, il vero costo delle promesse”



da: Il Fatto Quotidiano

Le promesse possono diventare una maledizione, anche e soprattutto quando vengono mantenute. L’ultima si trova nel Pnr, il Programma nazionale di riforme da mandare a Bruxelles, l’elenco degli impegni presi dal governo per ottenere i numeri indicati nel Documento di economia e finanza, il Def. Il premier Matteo Renzi si impegna con la Commissione europea ad approvare la riforma della legge elettorale entro maggio 2015. Nella bozza la scadenza era luglio, ma serve il voto prima che le elezioni regionali sconquassino il Parlamento. E quindi ecco la promessa, per poter poi dire alla minoranza riottosa del Pd “ce lo chiede l’Europa”.

Questa è una piccola promessa, però, infilata quasi abusivamente in un programma economico. Quelle che lasciano tracce pesanti sono altre.
Prendete gli 80 euro, molto utili a Renzi e al Pd per ottenere il 40,8 per cento dei voti alle elezioni europee di un anno fa: valgono circa dieci miliardi all’anno, il governo continua a spiegare che gli italiani ora possono spenderli in tutta serenità, visto che la copertura finanziaria da provvisoria è diventata strutturale, cioè duratura. Ma è così? I numeri del Def si reggono sulle “clausole di salvaguardia” pronte a scattare: in assenza di tagli di spesa di pari entità,
le aliquote dell’Iva e le accise sulla benzina saliranno per garantire all’erario 12,8 miliardi nel 2016, 19,2 nel 2017 e 22 dal 2018. In altre parole: per vincere le Europee Renzi ha adottato una misura da 10 miliardi all’anno e oggi, un anno dopo, al bilancio dello Stato mancano oltre 12 miliardi all’anno. E per questo incombe un aumento delle tasse analogo allo sconto concesso dal premier, come certifica il documento del Tesoro.

Con le promesse si vincono le elezioni ma poi si rischia di governare male. Anche lo scontro attuale con i Comuni, ora in fase di tregua armata, risale in parte a un’altra misura elettorale: l’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Il governo di larghe intese di Enrico Letta dovette concederla nel 2013, tamponando l’effetto contabile con un intreccio di altre imposte locali. Alcuni Comuni alzarono al massimo l’aliquota Imu appena prima della sua abolizione, così da poter reclamare poi dallo Stato centrale maggiori risarcimenti. Risultato: stanno ancora litigando su 625 milioni mentre già comincia la nuova lotta sui 10 miliardi che il governo deve trovare con la prossima legge di Stabilità. E almeno una parte toccherà ai Comuni. I sindaci si irritano parecchio quando vedono tabelle come quella a pagina 98 del Programma di stabilità del Def: nel 2015 le entrate delle amministrazioni locali scendono di 2,7 miliardi mentre le spese quasi del doppio, 4 miliardi. Nel frattempo a Roma le amministrazioni centrali aumentano sia le entrate (+7,1 miliardi) che le spese (+8 miliardi). L’ultima promessa elettorale è quella del “bonus Def”, il tesoretto da 1,6 miliardi che il governo si è attribuito lasciando correre di uno 0,1 per cento più del previsto il deficit nominale nel 2015 (cioè si spendono soldi che non ci sono e che andranno presi a prestito). Un margine di spesa che “sarà utilizzato per rafforzare l’attivazione delle riforme strutturali già avviate”. Si immagina che prima delle elezioni regionali seguiranno altri dettagli, a beneficio di elettori indecisi che potrebbero così orientarsi verso il Pd.

Eppure, a leggere la versione definitiva del Def, si scopre che tra le misure di revisione della spesa, cioè i tagli, c’è la “razionalizzazione” delle agevolazioni fiscali. Misura meritoria, ma che nel concreto significa che per qualcuno aumenteranno le tasse. Nello specifico, le agevolazioni fiscali dovranno contribuire per 2,4 miliardi di euro, mentre nelle bozze era soltanto 1,5. Poi il governo ha “ipotizzato”, così si legge nel documento, che invece varrà un miliardo in più. Riepilogando: nel giro di una settimana il governo ha deciso che c’è un tesoretto per 1,6 miliardi ma che per qualcuno le tasse saranno più pesanti di un miliardo. Cosa non si fa pur di avere un annuncio efficace da spendere in campagna elettorale. A Palazzo Chigi, e soprattutto al Tesoro, sono però consapevoli che l’equilibrio è delicato e che più impegni si prendono maggiori saranno i problemi in autunno. Ma a fine maggio ci sono le Regionali.

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