da: Il Fatto Quotidiano
Lo
Porto e i due presidenti: I “Buchi” dei rapporti Italia-Usa
I
Servizi Segreti hanno collaborato? Cosa sapevano gli americani delle attività per
localizzare l’ostaggio poi ucciso dal drone? Silenzi e strategia del male
minore
di Enrico
Fierro e Valeria Pacelli
La verità sulla morte del cooperante
italiano Giovanni Lo Porto è lontana. Forse, col tempo riusciremo ad
acchiapparne pezzi sparsi, ma solo se riusciremo a orientarci nel tourbillon di
informazioni che saranno fatte filtrare dagli Stati Uniti e dall’Italia.
Sapendo, però, che si tratta di informazioni che alla base hanno una serie di
interessi da soddisfare. Quelle made in Usa andranno tutte decriptate. Se a
farle circolare sarà la Cia, la centrale investigativa responsabile
dell’operazione in Pakistan con l’uso di un drone, avranno l’obiettivo di
difendere pezzi e settori dell’organizzazione dalle ingerenze della Casa Bianca
e dalle mire del Pentagono. Le veline e le soffiate di ambienti vicini ai
nostri servizi saranno invece funzionali a dimostrare che il governo italiano,
e Matteo Renzi in primo luogo, non sapevano del blitz di gennaio e meno che mai
della morte del nostro cooperante.
È la strategia del male minore, accettare
che l’intelligence americana ha fatto tutta da sola passando sulla testa degli
007 italiani, mettere nel conto critiche e giudizi sul peso dell’Italia nel
rapporto con gli Usa, ma salvare la faccia del presidente del Consiglio.
Sperare nell’efficacia degli strumenti parlamentari per arrivare a una verità
accettabile, è pura utopia dopo lo squallore di un ministro degli Esteri che
parla davanti ai banchi vuoti di Montecitorio. Con una opposizione presente e
soprattutto degna del nome e della funzione, si sarebbero potute porre una
serie di domande al ministro Paolo Gentiloni probabilmente utili per iniziare a
ricostruire un percorso di verità. Così non è stato.
Aspettiamo martedì, quando il sottosegretario di governo con delega ai servizi
segreti, Marco Minniti, dovrà riferire al Copasir, il Comitato parlamentare di
controllo della nostra intelligence. Nell’attesa, proviamo noi a ragionare e a
mettere insieme le tessere del mosaico.
Ricostruzione di una morte
Il blitz del drone targato Cia è del 14
gennaio di quest’anno, l’obiettivo da colpire è nella Shawal Valley, nel nord
del Waziristan, un’area di montagna sul confine tra Pakistan e Afghanistan. Il
Predator centra il target e ammazza i due cooperanti, Lo Porto e l’americano
Weinstein. A quella data, quindi, Lo Porto è vivo.
La sua è una prigionia lunga, che dura dal 19 gennaio 2012. Questo è un primo
dato che dimostra l’esistenza di contatti tra i rapitori e l’intelligence
italiana. Non si tiene un ostaggio così a lungo in vita, con tutti i rischi e i
“costi” che la sua gestione comporta, se non si vuole arrivare ad incassare un
riscatto. Fonti dell’intelligence italiana fanno filtrare la notizia che già
nel 2013 ci sarebbero stati contatti con la banda dei sequestratori, e parlano
anche di una “pista” molto credibile per individuare l’area del covo dove Lo
Porto era prigioniero attiva fino a dicembre scorso, quindi un mese prima
dell’attacco americano. Informazioni arrivate all’intelligence italiana tramite
confidenti e contatti locali.
Alleati
che viaggiano su binari paralleli
E allora, una prima domanda da porre
all’onorevole Minniti è la seguente: i servizi italiani hanno informato i
colleghi americani sugli sviluppi della situazione, visto che sapevano che in
quei mesi gli americani avevano scatenato in quell’area una vera e propria
offensiva contro i covi qaedisti (si parla di almeno 30 operazioni con i
Predator)?
Hanno “socializzato” le fonti informative sul campo, come si dovrebbe fare tra
alleati?
Oppure, sapendo che gli americani sono
contrari ad ogni forma di trattativa con i terroristi, hanno deciso di fare
tutto da soli? Sono domande semplici, ma essenziali per capire lo sviluppo
degli avvenimenti.
La Cia afferma di non aver saputo della
presenza degli ostaggi nel covo bombardato. E c’è poco da credergli, perché non
è necessario essere un esperto di strategie di intelligence per sapere che il
monitoraggio di quelle aree attraverso i satelliti spia è continuo, soprattutto
quando si devono preparare operazioni di attacco. La certezza che Lo Porto fosse
vivo era tale almeno fino al 3 febbraio, quando nel suo discorso di
insediamento il capo dello Stato, Sergio Mattarella, rivolge un pensiero
accorato e denso di speranza alla liberazione dell’ostaggio.
Quirinale a sua insaputa
Delle due l’una, o i servizi italiani non
sapevano della morte di Lo Porto, oppure, pur avendo se non la certezza, almeno
dei sospetti, non hanno informato il Quirinale.
Punto finale da chiarire. Il 17 aprile,
Renzi e Obama si incontrano riservatamente alla Casa Bianca. Il premier
italiano mette sul piatto addirittura la possibilità di prolungare la presenza
dei militari italiani in Afghanistan oltre la data stabilita e contravvenendo a
quanto detto invece il 17 dicembre scorso dal ministro della Difesa Roberta
Pinotti: ossia che il contingente di 750 militari nell’area di Herat si sarebbe
pian piano ridimensionati in modo che a fine 2015 rimarranno solo 75 italiani,
concentrati a Kabul.
L’Italia, quindi, dà il proprio sostegno
agli americani, cedendo anche stavolta alla politica degli slogan, puntualmente
dimenticati.
Ma in quell’incontro si sarebbe parlato
anche di altro. Secondo indiscrezioni circolate e mai nettamente smentite, il
presidente Usa avrebbe informato il capo del governo italiano della eventualità
che un ostaggio italiano fosse una vittima collaterale del raid con il drone.
È questo un passaggio importante, che però
non annulla un dato fin qui emerso: l’assoluta subalternità dell’Italia alle
strategia Usa in materia di lotta al terrorismo qaedista su un campo difficile
come quello pachistano-afghano. Mancanza di coordinamento tra servizi,
informazioni tenute gelosamente nascoste agli alleati, tutto questo sarà
certamente ammesso nei vari passaggi parlamentari.
L’importante, per il momento, è salvare la
faccia del governo, del suo presidente e del ministro degli Esteri. La verità
può attendere.
Nessun commento:
Posta un commento