da: Lettera 43
Poletti vuole rottamare la
Fornero. Boeri punta a tassare gli assegni più pesanti. Gutgeld mira ai falsi
invalidi. Sulla previdenza è tutti contro tutti. Ma Renzi tace.
di
Francesco Pacifico
Chi dovrebbe dare la linea, Matteo Renzi,
sul tema tace. Così, sulla riforma delle pensioni, il governo e la maggioranza
marciano in ordine sparso: il titolare della politica previdenziale, il
ministro del Lavoro Giuliano Poletti, avverte di voler modificare la riforma
Fornero e abbassare l’età pensionabile; Tito Boeri, da poco presidente dell’Inps,
punta a ricalcolare con il sistema contributivo gli assegni in essere; Cesare
Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera e grande mediatore
per la minoranza dem del Jobs act con Renzi, chiede al bocconiano di stare al
suo posto e lavora su una proposta parlamentare che potrebbe essere bipartisan;
mr Spending review, Yoram Gutgeld, ha promesso di fare pulizia dei falsi
invalidi; Pier Carlo Padoan come il capo dell'esecutivo sta a guardare, sapendo
che toccare il nodo pensionistico vorrebbe dire mettere a rischio la maggiore
voce di risparmio nel bilancio italiano: quella che ha permesso al nostro Paese
di avere un avanzo primario superiore a quello tedesco.
Pensioni, niente rivoluzione. Un tempo il premier tuonava che «il sistema pensionistico italiano è folle, ci sono troppi privilegi». Come Beppe Grillo si scagliava contro lo «scandalo dei vitalizi per i politici». E annunciava che, se mai fosse andato al governo, avrebbe iniziato un’opera di giustizia sociale a partire dalle pensioni d'oro, considerando tali anche quelle oltre i 3.500 euro al mese. Ma questo avveniva tre anni fa. Da allora il tema è stato trattato con molta circospezione.
Dopo il Jobs act, e in prospettiva dell’Italicum che piace soltanto ai suoi
del Giglio magico, Renzi non vuole esacerbare le differenze
con la minoranza del Partito democratico. Ma soprattutto ha paura di spaventare
l’Europa, che considera il Belpaese un sorvegliato speciale dopo la sua
decisione di rallentare la corsa al pareggio di bilancio.
Fornero,
80 Mld di risparmi. Alla base di tutto c’è proprio una
questione economica. Alla voce pensioni va quasi un terzo del welfare.
La Ragioneria dello Stato ha calcolato che
la riforma Fornero, portando l’età di ritiro verso i 67 anni di età, garantirà
fino al 2019 risparmi pari a 80 miliardi, che saliranno nel 2060 quando
l’assegno (da fame) lo avranno quelli che hanno oggi pagato contributi
salatissimi e non più quelli che hanno accumulato il monte pensionistico con
l’oneroso sistema retributivo.
Non è un caso che nessun organismo
internazionale (l’Unione europea, l’Ocse o il Fondo monetario internazionale)
si permetta di chiedere un’ennesima riforma delle pensioni, da quando
l’economista torinese ha cancellato le pensioni di anzianità.
Lavoratori in azienda fino
a 67 anni: l'incubo delle imprese
Detto questo le aziende - sempre pronte a
richiamare i governi a riformare la previdenza - sono alquanto spaventate
dall’idea di tenersi sul groppone un lavoratore fino a 67 anni, illicenziabile
perché ancora protetto dall’articolo 18 e non più rottamabile con i soldi
pubblici attraverso compiacenti casse integrazioni e mobilità, che altro non
sono che scivoli alla pensione.
La cosa potrebbe peggiorare se le aziende -
allettate dagli sgravi del contratto a tutele crescenti - fossero tentate dal
non far rientrare parte dei 300 mila Over 40 coinvolti in processi di cassa
integrazione.
Ma la produttività potrebbe anche portare
alla chiusura molte imprese, in piedi adesso soltanto grazie alla Cig in
deroga. E questo vorrebbe dire la creazione di nuovi esodati: gente troppo
giovane per andare in quiescenza e troppo vecchia per trovare un lavoro.
Più
flessibilità in uscita. Per tutto questo Poletti ha
annunciato in Senato di voler «rimettere mano alla riforma Fornero per attivare
una maggiore flessibilità in uscita che sia graduale e sostenibile
economicamente».
Salvo poi aggiungere: «L'intervento potrà
avvenire solo all'interno della legge di Stabilità perché è lì che bisogna
quantificare e qualificare le risorse per le scelte da fare».
Al riguardo la Ragioneria, quando Damiano e
l’attuale sottosegretario Pier Paolo Baretta, avevano lanciato una proposta
analoga (pensionamento a 62 anni con una riduzione dell’anticipo dell’8%) aveva
calcolato un costo di 4 miliardi di euro. Ma l’ex presidente di Lega Coop si è
affrettato a «escludere categoricamente interventi sulle penalizzazioni
previste in caso di pensionamento anticipato».
Mancano
i soldi. Non è ancora chiaro dove Poletti troverà i soldi.
Maurizio Landini, pur non usando il termine part-time, guarda all’esempio
americano e consiglia a Renzi un’uscita più morbida attraverso «la riduzione
dell’orario di lavoro».
Nel Documento di economia e finanza (Def)
si legge che il governo intende tagliare soprattutto sul versante
degli enti locali.
L’uomo deputato alla bisogna, il
commissario alla Spending review Gutgeld, prima ha annunciato controlli a
tappeto sulle pensioni d’invalidità, poi, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo,
ha tranquillizzato il Paese: «Le pensioni non verranno toccate: abbiamo
ritenuto che per ottenere un risparmio significativo avremmo dovuto toccare
anche quelle da 2-3 mila euro che sono buone, ma non da ricchi. Perciò abbiamo
deciso di non farlo».
Boeri: tassare gli assegni
più pesanti per aiutare chi è svantaggiato
Tutto chiaro? Non proprio. A rendere
poi più caotica la situazione l’attivismo di Boeri.
Già prima di diventare presidente
dell’Inps, l’economista aveva lanciato la proposta di tassare gli assegni più
pesanti, per garantire un contributo di solidarietà alle categorie più giovani.
Una volta alla guida dell’istituto
previdenziale ha iniziato a parlare di ricalcolare - sempre per quelle più
ricche - gli assegni in essere con il sistema contributivo. Ne sanno qualcosa i ferrovieri,
già 'offerti' al pubblico ludibrio dopo che l’Inps ha calcolato che il
retributivo garantisce al 96% della categoria assegni superiore al 20% di
quanto prenderebbero con le attuali regole.
Tensioni
con Poletti. Boeri dice di muoversi su due fronti: fa
proposte per «introdurre una maggiore flessibilità in uscita dal mondo del
lavoro» e per «ricostituire il patto intergenerazionale, magari attraverso un
prelievo sulle pensioni più alte».
Pare che l’approccio del bocconiano non
dispiaccia a Renzi. Ma fa imbufalire gli altri membri del governo. In maniera
molto diplomatica Poletti lo ha rimesso al suo posto.
Parlamento
col Ministro. «Oggi l'Inps», ha sostenuto il ministro,
«è impegnata a un lavoro di analisi, valutazione e predisposizione di
simulazioni con cui verificare quali siano le azioni più efficaci ed
economicamente sostenibili, dati i vincoli che abbiamo». Più espliciti Damiano
e il viceministro all’Economia, Enrico Morando: «È il ministro del Lavoro che
fa la politica previdenziale». Cioè Poletti, il quale sa di avere dalla sua in
parlamento uno schieramento che va dal Movimento 5 stelle e Sinistra ecologia e
libertà a Forza Italia - passando per Pd, alfaniani e leghisti - pronto a
pensionare la riforma Fornero.
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